Il punto sul JCPOA, l’accordo sul nucleare iraniano

Dopo la ripresa dei negoziati nel 2021, la prospettiva di un ripristino del JCPOA si presenta ancora lontana. Quali sono gli sviluppi recenti?


«I negoziati sul nucleare sono a un punto morto». Così Josep Borrell, Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, si è espresso sulla trattativa tra Washington e Teheran sul ripristino dell’accordo sul nucleare iraniano. L’estrema complessità dei negoziati, ripresi nel 2021, e la significativa divergenza tra le parti lasciano intendere che «non ci si può aspettare alcuna svolta a breve termine».  

Le ragioni di questa impasse sono molteplici e affondano le proprie radici nelle intenzioni programmatiche del Piano d’azione congiunto globale siglato nel 2015. 

Il JCPOA, Joint Comprehensive Plan of Action o accordo sul nucleare iraniano, venne concordato tra l’Iran, l’Unione Europea e il P5+1, cioè i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (Francia, Regno Unito, Cina, Russia e Stati Uniti) più la Germania, per arginare la corsa al riarmo nucleare in Medio Oriente e, conseguentemente, limitare le ambizioni geopolitiche iraniane nell’area.

Sul piano concreto, tra le condizioni più rilevanti, l’Iran ha accettato di tagliare massivamente le riserve di uranio e di non costruire nuovi reattori nucleari ad acqua pesante per i successivi 15 anni, mantenendo per questo periodo la soglia di arricchimento dell’uranio al 3,67%. Tale impegno è stato assunto in vista di una cessazione delle sanzioni economiche imposte allo Stato iraniano proprio a causa del suo programma nucleare da Unione Europea, Stati Uniti e dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Il mutamento dello scenario geopolitico internazionale ha inevitabilmente impattato la stabilità dell’accordo. L’irruenza della presidenza Trump ha comportato l’estensione della condotta America First anche al JCPOA, provocando nel maggio del 2018 l’uscita unilaterale degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano e, di conseguenza, la ripresa dell’imposizione delle sanzioni economiche contro il Paese mediorientale. 

Sebbene l’ex presidente avesse ereditato una situazione strategica gestibile, con il pericolo del nucleare sotto controllo in Medio Oriente, l’intenzione di perseguire il sistematico disimpegno americano nell’area ha comportato, da una parte, l’espandersi di una catastrofica crisi economica in Iran – conseguenza dell’imposizione delle sanzioni – e, dall’altra, un indebolimento dei rapporti transatlantici, in quanto il mantenimento degli impegni presi e i significativi interessi economici in ballo hanno unito l’Europa nella difesa dell’accordo con lo Stato iraniano.

E le conseguenze non hanno tardato ad arrivare. Nel 2019, mentre premeva sull’Unione Europea affinché le sanzioni statunitensi potessero essere aggirate, l’Iran annunciava l’aumento del tasso di arricchimento dell’uranio dal 3,67 % (soglia prevista dall’accordo) al 5%

Il colpo di grazia è arrivato con l’uccisione del generale iraniano Qasem Soleimani nel gennaio del 2020, a seguito della quale l’Iran ha annunciato di riprendere l’arricchimento dell’uranio «senza restrizioni in base alle sue esigenze tecniche».

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Qasem Soleimani

Alla fine dello stesso anno, gli Stati Uniti hanno affermato di aver ripristinato tutte le sanzioni ONU antecedenti al 2015 e di aver sanzionato interamente il settore finanziario iraniano, escludendo lo Stato iraniano anche dal commercio di beni di prima necessità, quali cibo e medicinali.

L’uccisione in un agguato di Mohsen Fakhrizadeh-Mahabadi, direttore del programma nucleare iraniano, ha incrinato ulteriormente lo scenario geopolitico nell’area e portato il parlamento iraniano ad approvare una legge che pone un ultimatum sulla rimozione delle sanzioni statunitensi, in assenza della quale l’uranio sarebbe stato arricchito al 20% con conseguente espulsione degli ispettori dell’AIEA dal Paese. Tale processo è iniziato nel gennaio del 2021, come annunciato da Teheran.

Dinanzi a questo scenario, l’attuale presidente degli Stati Uniti Joe Biden, sia durante la campagna elettorale sia successivamente al suo insediamento, ha reso manifesta l’intenzione di risanare le relazioni internazionali minate o allentate dall’America First dell’era trumpiana e, di conseguenza, ritornare al multilateralismo come cardine nella conduzione della politica estera. 

In particolare, la presidenza Biden, in merito alla delicata questione sul nucleare iraniano, si è dimostrata aperta a ritornare parte dell’accordo a condizione che l’Iran si conformi pienamente al JCPOA. 

Da parte sua, l’Iran ha puntualizzato come le misure compensative da esso adottate siano state conformi al paragrafo 36 del JCPOA, il quale prevede che, a seguito di violazioni dell’accordo e imposizione di sanzioni contro il Paese mediorientale, quest’ultimo avrebbe diritto di parimenti ridurre il proprio impegno verso l’accordo. Dal momento che a recedere sono stati gli Stati Uniti, secondo lo Stato iraniano adesso è loro il turno di agire e, una volta rimosse le sanzioni, l’Iran tornerà a rispettare la soglia di arricchimento dell’uranio stabilita dal JCPOA. 

Nel 2021 infatti, gli Stati Uniti e l’Iran hanno dato inizio a una serie di colloqui indiretti a Vienna grazie agli intermediari europei per discutere l’accordo sul nucleare. 

Nel quadro così delineato, l’Europa riveste un ruolo cruciale. Se da una parte si ritrova a far fronte alla pressione sempre maggiore esercitata da Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita per minare i suoi rapporti con lo Stato iraniano, dall’altra deve conciliare e mantenere sane le relazioni con Teheran in quanto, data la rigidità delle sanzioni americane, l’Iran deve comunque avere a disposizione delle buone ragioni per adempiere nuovamente all’accordo. 

Con queste intenzioni, la mediazione europea ha prodotto a fine luglio una nuova bozza di testo per rilanciare l’accordo sul nucleare iraniano. Sia Iran che Stati Uniti si sono ampiamente confrontati su questo testo e, sebbene i funzionari americani abbiano dichiarato di essere disponibili ad accettare la bozza dell’UE, la revisione di Teheran avrebbe incartato il processo negoziale. 

Il testo presenterebbe numerose criticità – specialmente in riferimento ad alcune delle principali richieste iraniane volte agli Stati Uniti – che sarebbero state scartate, come la rimozione delle Guardie della rivoluzione dalla lista delle organizzazioni terroristiche e la garanzia che il nuovo presidente non esca unilateralmente dall’accordo come il suo predecessore. 

L’amministrazione Biden, da parte sua, contribuisce allo stallo dei negoziati data l’ampia maggioranza bipartisan contraria al JCPOA e l’intenzione di non voler portare una questione così complessa al Congresso in un momento storico critico per il Partito Democratico, in vista delle elezioni di metà mandato. 

A complicare ulteriormente il quadro è l’influenza di Israele, che preme affinché l’accordo non venga ratificato, l’Iran rimanga oggetto di sanzioni e venga comunemente identificato come attore antagonista della stabilità in Medio Oriente. A preoccupare Israele è l’installazione di un nemico forte alle porte, considerato il significativo allargamento della sfera d’influenza iraniana in Medio Oriente. A tal proposito il premier israeliano, Yair Lapid, ha più volte invitato le potenze occidentali a non proseguire le trattative.

Il mancato rispetto degli standard fissati dagli Stati Uniti e lo spettro dell’Iran come Stato nucleare mantengono i negoziati in una fase di stallo  che, a quanto sembra, si manterrà tale almeno fino ai mid-terms.


rosalinda accardi

Rosalinda Accardi

Classe 1999, studio Scienze Politiche e Relazioni Internazionali e lavoro nel settore degli appalti. Coltivo la curiosità come "forma più pura di insubordinazione".