Perché Biden non piace più agli americani
Dopo aver ottenuto più voti di qualsiasi candidato alla presidenza, Biden è ora uno dei presidenti più impopolari nella storia degli Stati Uniti.
I sondaggi degli ultimi mesi hanno quantificato in maniera puntuale la crescita progressiva del malcontento nei confronti della presidenza Biden. La generale percezione di sfiducia nei confronti del Presidente è stata ulteriormente rimarcata dalla sconfortante fotografia riportata dai risultati dell’ultimo sondaggio condotto dalla CNN. Quasi sei americani su dieci si trovano in disaccordo con il modo in cui Biden sta gestendo la sua presidenza, mentre solo il 41% degli intervistati ha dimostrato di approvare la sua linea di condotta. Il 56% non è stato nemmeno in grado di nominare almeno un aspetto positivo della performance complessiva dell’attuale Presidente.
Nel frattempo, il suo indice di gradimento in area economica è in calo di 8 punti dall’inizio di dicembre e solo il 45% degli intervistati ha sostenuto di approvare apertamente le misure di contenimento della pandemia, per la cui gestione era stato tanto invocato durante la campagna elettorale.
Il cupo ritratto delineato finora ha inevitabilmente animato la stampa e l’opinione pubblica. La reazione dell’inquilino della Casa Bianca tuttavia rimane contenuta. Durante una conferenza stampa tenutasi nel mese di gennaio, alla domanda di un giornalista che gli chiedeva in che modo avrebbe riguadagnato il consenso che i sondaggi danno come perduto tra moderati e indipendenti, il Presidente risponde ermeticamente: «Non credo ai sondaggi».
Sebbene la volatilità dei risultati non li rendano uno strumento di analisi assoluto, i sondaggi restano in ogni caso un rilevante indicatore del sostegno popolare. Un uomo politico come Biden conosce profondamente la politica statunitense, per questa ragione infatti sceglie di deviare l’attenzione dai numeri riguardanti la perdita del suo consenso, nella speranza che legislatori democratici e sostenitori facciano lo stesso.
Eppure il Presidente si trova in una situazione insolita: dopo essere stato acclamato per aver restituito il decoro alla Casa Bianca, il Presidente si trova adesso circondato da un consistente numero di detrattori che per rilevanza supera quello dei sostenitori. Nondimeno, il paradosso è ulteriormente evidenziato dallo scollamento tra la figura di Biden e quella delle sue politiche: se al momento il Presidente è generalmente impopolare, ciò non vale per le misure adottate dalla sua amministrazione. Molti elettori, infatti, non collegano gli investimenti nelle infrastrutture o il successo dell’American Rescue Plan alla figura politica di Biden, sebbene questi siano interventi figli della sua presidenza.

In parte il motivo di tale dissociazione ricade sul clima di forte contrasto all’interno del Partito Democratico a Washington, il quale rende l’approvazione delle politiche complessa e piena di punti di impasse. Se gli elettori sembrano approvare i risultati, questi arrivano comunque in certa misura pregiudicati dal contesto caotico in cui si sviluppano.
È lecito affermare infatti che il calo del consenso non è interamente imputabile all’operato del Presidente, anzi, numerose variabili di contesto che sfuggono al suo controllo esercitano un’influenza rilevante sulla percezione generale della sua amministrazione. La presidenza Biden deve gestire uno Stato lacerato politicamente e stremato dall’inflazione più alta degli ultimi quarant’anni e da una pandemia fuori controllo. La singolare convergenza di crisi che dall’inizio ha intriso la campagna elettorale di retorica positiva ed emozionale non ha potuto che portare quest’ultima a risolversi in un disincanto generale.
È evidente come la speranza e la promessa di sconfiggere il virus entro il 2021 si sia rivelata pura illusione, in quanto il “piano Biden” si è dovuto scontrare con la diffusione della variante Omicron. Se nel 2020 il Presidente affermava di avere intenzione di «chiudere con il virus, non di chiudere il Paese», nel 2022 questa frase gli si è ritorta contro.
Ma il colpo di grazia alla presidenza è stato dato dalle conseguenze del ritiro delle truppe statunitensi in Afghanistan. Se, da una parte, gli elettori solitamente non tendono a considerare troppo la gestione della politica estera nella costruzione della loro opinione e, dall’altra, la maggioranza dell’opinione pubblica aveva sostenuto per anni l’abbandono dell’Afghanistan, la smobilitazione si è trasformata in disfatta per Biden.
L’uccisione di 13 soldati americani a seguito di un attentato suicida all’aeroporto di Kabul, la caduta della capitale e il ritorno sotto l’egida dei talebani sono eventi dinanzi ai quali la presidenza si è dimostrata profondamente impreparata, convertendo un potenziale momento di trionfo per il Presidente in sconfitta generale.
Ad aggravare ulteriormente la condizione dell’amministrazione Biden è la puntualità con la quale questa non ha mantenuto promesse sulle quali ha costruito il consenso che ha condotto il candidato democratico alla Casa Bianca. Molti giovani elettori, adirati per l’inazione sui cambiamenti climatici, sull’assistenza sanitaria e sulla remissione dei debiti degli studenti, hanno scelto di ritirare il proprio sostegno, così come l’elettorato ispanico e nero, quest’ultimo deluso dalla totale assenza di progressi significativi in materia di diritto di voto e riforma della polizia.
Biden sembra essere rimasto solo, abbandonato da chi aveva scelto di sostenerlo e fortemente ostacolato dai suoi detrattori. L’evidente debolezza di un leader stimola inevitabilmente l’aggressività degli oppositori e non solo, dal momento che la profonda frammentazione interna al partito democratico può fungere da terreno fertile per ulteriore caos.
Cercando di non annaspare nell’informe magma della politica interna statunitense, Biden deve anche confrontarsi con le sfide poste dalla politica estera. In particolare, la recente crisi ucraina rappresenta per l’America di Biden sia una minaccia che un’opportunità. A tal proposito, l’amministrazione ha scelto di adottare la “strategia del megafono”, rendendo cioè pubblica ogni tipo di informazione inerente ai presunti piani del Cremlino, ribadendo con forza la minaccia di un’imminente invasione russa in Ucraina.
In questo modo, nel caso in cui l’aggressione avvenisse, l’amministrazione potrà affermare di aver portato alla luce i piani del Cremlino sin dall’inizio, oppure, qualora non si verifichi alcuna invasione, l’America di Biden potrà dichiarare di aver evitato l’occupazione esponendo le intenzioni della Russia all’Occidente.
Sebbene tale strategia non sia efficace sul lungo periodo, la decisa presa di posizione di Biden in politica estera potrebbe rivelarsi uno strumento di ricompattamento interno e una strategia utile a un potenziale recupero del consenso perduto.
Linda Accardi