Germania, la locomotiva d’Europa sulla soglia della crisi
La congiuntura economica tedesca e, di conseguenza, quella europea tendono a un deciso peggioramento. La recessione è alle porte?
In questo momento, a livello europeo, sembra di assistere alla quiete prima della tempesta. Gli indicatori attuali sottolineano come l’economia, nonostante gli effetti di sei mesi di conflitto e le difficoltà nel dipanarsi della catena del valore, soprattutto in Cina, continui a tenere. La prova è nell’andamento della disoccupazione nell’Unione e nell’Eurozona, sostanzialmente stabile o in lieve decrescita.
Nonostante questa bonaccia, le nuvole si fanno sempre più fosche all’orizzonte, soprattutto per lo Stato considerato leader dell’Unione, la Germania: e questo non potrà non avere ricadute sull’intero continente. Sembrerebbe che linee di politica estera ed economica consolidatesi negli ultimi decenni, soprattutto dal Paese teutonico, stiano presentando il conto trasformandosi in boomerang. Questo andamento è evidente per quel che concerne il rapporto privilegiato – ovvero, detta diversamente, la dipendenza in campo energetico – costruito nel corso del tempo fra Europa e Russia.
In modo speculare, un altro rapporto privilegiato, quello fra l’economia tedesca e quella cinese, sta presentando un conto salato, figlio delle difficoltà di approvvigionamento e della logistica mondiale e, in futuro, del presunto avvicinamento, e reciproco sostegno, fra le economie russa e cinese e della tagliola delle sanzioni che colpirebbero a quel punto le aziende cinesi in affari coi russi.
Prima di avventurarci negli scenari futuribili sull’economia europea, analizziamo quelli che sono gli ultimi dati pubblicati. Il problema principale che affligge l’economia europea è quello dell’elevata inflazione che non riesce a essere contenuta in alcun modo. Come ben sappiamo, essa è figlia dell’aumento dei costi dei beni energetici importati dai Paesi dell’UE e si sta propagando lentamente ad altri settori, soprattutto quello alimentare.
Per contrastarne gli effetti, la Banca Centrale Europea (BCE) ha deciso di modificare la propria politica monetaria andando verso un deciso aumento dei tassi d’interesse: l’ultimo aumento dello 0,75 per cento sul tasso principale è avvenuto a inizio mese.
Nonostante il cambio di passo e la stretta monetaria, gli effetti tardano a palesarsi e la prova è l’ultimo report Eurostat sull’inflazione nel mese di agosto. Come è possibile leggere nelle prime righe del documento, l’inflazione, nonostante gli sforzi profusi, è in crescita rispetto al mese precedente (9,1 per cento contro l’8,9 per cento del mese di luglio) e ha stabilito il nuovo record per l’Area. Anche in questo caso, come è possibile osservare dal grafico in basso, presente nel documento Eurostat, la componente di traino è il settore energetico, che però ha contagiato, trascinandoli verso l’alto, gli altri settori esaminati, in particolare quello alimentare.
Spostando il nostro focus sull’economia tedesca, due documenti recenti chiariscono quali siano le difficoltà nelle quali quest’ultima si dibatte e i rischi cui va incontro. Il primo proviene dalla Bundesbank ed è stato pubblicato il 22 agosto. In questo documento si indica come l’economia tedesca sia stata nel primo semestre dell’anno sostanzialmente stagnante. Molto più interessante è quanto viene sottolineato circa i rischi futuri: anche in questo caso i due “moloch” economici sono rappresentati dalla dipendenza dal gas russo e dalla forte pressione inflattiva.
Per quel che concerne il primo problema, il documento è chiarissimo: «Secondo gli esperti, lo sviluppo economico in Germania sarà influenzato nel terzo quarto (di quest’anno, n.d.r.) e oltre da sviluppi poco favorevoli sul mercato del gas. Quindi, gli economisti credono che la probabilità di un PIL in calo nel prossimo quarto quarto del 2022 e nel primo quarto del 2023 sia consistentemente aumentata».
La seconda difficoltà, l’inflazione, sembra non arrestarsi in alcun modo, fino a toccare vette pesanti il prossimo autunno: «Il tasso d’inflazione potrebbe raggiungere intorno al 10 per cento il prossimo autunno». A peggiorare la situazione sarebbe l’andamento del rapporto euro-dollaro, col forte deprezzamento del primo.
In particolare, sebbene un deprezzamento normalmente favorisca le esportazioni nel medio periodo, risulta problematico nel breve a causa dell’aumento di prezzo dei prodotti esteri, causato dall’apprezzamento della moneta estera, incrementando ulteriormente l’impatto inflattivo. In secondo luogo, non bisogna dimenticare come i beni principali da cui dipende l’economia tedesca in particolare – e quella europea, in generale – siano indicizzati normalmente proprio in dollari. Fra questi beni spiccano, ovviamente, i beni energetici.
Il secondo documento è l’aggiornamento del mese di agosto del Business Climate Index rilasciato dall’IFO Institute il 25 agosto. Il dato indica sostanzialmente lo stato attuale e le aspettative da parte delle imprese circa il clima economico e rappresenta un indicatore fondamentale per capire l’evoluzione delle imprese stesse. Il dato tedesco mostra un continuo calo dall’inizio del conflitto e il dato più incisivo risulta quello sulle aspettative, come mostra la tabella tratta dallo stesso documento.
Secondo quanto previsto dalle aziende, e diversamente da quanto indicato dalla Bundesbank, un calo del PIL è già atteso nel terzo quarto di quest’anno e potrebbe prolungarsi fino al 2023.
Date queste condizioni di partenza, è possibile anticipare alcuni possibili scenari economici del prossimo futuro, scenari che sono in parte concatenati e potrebbero sovrapporsi. Il primo è quello il cui impatto peserebbe in misura minima sull’economia europea e riguarda l’andamento dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve e della BCE. Allo stato attuale, le due Istituzioni stanno viaggiando nettamente nella stessa direzione: un deciso aumento dei tassi. Nel prossimo futuro questo scenario potrebbe mantenersi o cambiare e le ragioni di un eventuale cambiamento sono da ricercare nella condizione economica europea, molto più in difficoltà rispetto agli Stati Uniti.
Di fronte a una recessione più o meno grave, la BCE manterrebbe la politica monetaria restrittiva aggravando la situazione? Nel caso in cui la BCE allentasse l’aumento dei tassi e le politiche monetarie fra le due sponde dell’Atlantico si divaricassero, cosa sarebbe lecito attendersi? Potrebbe presentarsi una fuoriuscita di capitali europei, attratta dai maggiori tassi USA, che andrebbe a incidere ulteriormente sull’andamento del rapporto euro/dollaro, rafforzando quest’ultimo. Ciò potrebbe provocare nuovamente un aggravio del costo delle materie prime, in particolare di quelle denominate in dollari, con un impatto deciso nei confronti delle aziende continentali.
Il secondo scenario è molto più preoccupante ed è legato a un possibile contagio della crisi economica al settore finanziario. La base di questo scenario è il continuo aumento dei costi dell’energia. Questo avrebbe due ripercussioni sulle aziende che forniscono energia, ossia le società elettriche: la prima è legata al possibile aumento di mancati pagamenti da parte di aziende e privati non in grado di saldare; la seconda dipende dal funzionamento della piattaforma European Energy Exchange (EEX), il principale luogo di scambio dei futures sull’elettricità.
A ogni aumento di prezzo sul mercato dell’energia è richiesto alle società elettriche di fornire garanzie aggiuntive per i futures posti in essere. Le società elettriche si trovano, quindi, in mezzo a una tempesta perfetta fatta di forniture sempre più costose, clienti sempre più in difficoltà e finanziamenti bancari sempre più necessari per tirare avanti e fornire garanzie. Il rischio è che molte di queste società non siano in grado di reggere a lungo, fallendo e creando una sorta di fattore scatenante simile a quello rappresentato dal mercato immobiliare nella recessione del 2008. Questo è proprio lo scenario indicato da alcuni analisti: una sorta di Lehman Brothers dell’elettricità.
Se una recessione profonda dovesse scatenarsi con una forte esplosione di fallimenti da parte delle imprese energivore, di cittadini non più in grado di sostenere costi e prestiti, di piccole e medie imprese e delle società di intermediazione elettrica, il rischio è che il contagio possa espandersi al settore finanziario, con il conseguente corollario di fallimenti, nuove esposizioni e un nuovo “credit crunch”.
A quel punto, a fare fronte alla situazione, dovrebbero essere ancora una volta gli Stati e non è un caso che il Governo francese stia già nazionalizzando la principale compagnia elettrica del Paese, Électricité de France (EDF), e che la più grande impresa tedesca di intermediazione di gas, Uniper SE, abbia richiesto al proprio Governo un piano di salvataggio.
Il timore è che un ingente piano di salvataggio pubblico, non diretto e finanziato direttamente dalle Istituzioni europee, possa comportare una nuova diversificazione del rischio degli Stati membri, con un impatto sui costi di finanziamento dei rispettivi debiti sovrani. Si potrebbe assistere a un replay di quanto accaduto fra il 2008 e il 2011, con il salto dalla Grande Recessione alla Crisi del Debito Sovrano. Allo stato attuale, le Istituzioni europee, in particolare la BCE, hanno fatto tesoro di quanto accaduto lo scorso decennio, allargando la “cassetta degli attrezzi” e avendo maturato una lunga esperienza sul come maneggiare questo tipo di crisi. Ciò nonostante, qualche timore resta.
Infine, vale la pena notare come risanare e intervenire prima che la crisi esploda (ovvero, in questi giorni) avrebbe un impatto economico notevolmente diverso che agire a crisi conclamata e sotto pressione dei mercati. Il prossimo autunno e il prossimo anno si preannunciano quanto mai problematici per la Germania e il continente europeo: speriamo solo di non avere altre sorprese con una rinnovata esplosione pandemica.