Good Morning, Iran

L’attacco statunitense all’aeroporto di Baghdad che ha ucciso il generale delle Guardie Rivoluzionarie dell’Iran Qassem Soleimani ed altre 7 persone, ha gettato il fuoco su una situazione già incandescente in tutto il Medio Oriente. Un vero atto di guerra. Secondo Mosca, l’azione americana è stata una grave violazione del diritto internazionale, mentre Pechino ha invitato Washington a non abusare della forza.

Chi era Qassem Soleimani? Visionario militare, Soleimani ha creato unità paramilitari specializzate in attività all’estero come le forze Quds e, più recentemente, le forze di mobilitazione popolari in Iraq. È l’uomo che ha esteso l’influenza dell’Iran ben oltre i suoi confini, sviluppando quella che gli iraniani chiamano una politica di difesa avanzata, che si basa sul reclutamento di partiti e sostenitori lontani dai confini per scoraggiare attacchi diretti sul suolo iraniano.

Lui ne era la mente, ha sviluppato connessioni e reti profonde in tutta la regione, dal Libano all’Iraq, passando per la Siria, lo Yemen e l’Afghanistan. Soleimani inoltre è stato tra i più grandi nemici degli Stati Uniti e in una dichiarazione provocatoria rivolta a Donald Trump disse: «voi inizierete la guerra ma noi la finiremo».

Nel frattempo però, com’è noto, l’Iran ha già nominato il successore di Soleimani: si tratta di Esmail Qaani, nominato dalla Guida Suprema Khamenei nuovo comandante delle forze Quds dei pasdaran. Ufficiale meno carismatico del suo predecessore ma di grande esperienza sul campo.

Oggi la tensione tra Stati Uniti e Iran è alle stelle. Nei giorni scorsi il ministro Zarif ha definito l’assassinio di Soleimani un atto di terrorismo internazionale. «La Repubblica Islamica ha il diritto di rispondere in qualsiasi momento, in qualsiasi modo ritenga opportuno, non ci pieghiamo alla propaganda americana»: queste le parole del ministro degli esteri.

Mentre gli Stati Uniti hanno mandato altri 2800 soldati in Medio Oriente, la Nato ha sospeso l’addestramento delle forze di sicurezza irachene e la Coalizione Internazionale nella lotta all’Isis ha ridimensionato le operazioni. Dopo l’uccisione di Soleimani, in particolare, nella notte di sabato due razzi hanno colpito la Green Zone della capitale irachena e una base aerea che ospita militari statunitensi. Tutto questo mentre altri 700 soldati americani sono stati mandati in Medio Oriente: un totale dunque di 3500 soldati americani schierati tra in Iraq e Kuwait, che vanno ad aggiungersi ai circa 5000 soldati schierati in Iraq come parte della Coalizione Internazionale contro lo Stato Islamico.

Successivamente Donald Trump ha minacciato di bombardare 52 siti iraniani, tra cui 17 zone storico-artistiche e, nel frattempo, gli Stati Uniti non solo hanno riposizionato le loro forze militari, ma hanno anche dispiegato 6 bombardieri B-52H Stratofortress nella base aeronavale britannica di Diego Garcia, nell’Oceano Indiano, un atollo al largo della punta meridionale dell’India, il più grande dell’arcipelago delle isole Chagos. La forza strategica proviene dalla base aerea di Barksdale, in Louisiana.

La Diego Garcia è una delle basi più importanti della US Navy con annessa struttura gestita dalla CIA e dall’MI6. La Diego Garcia è un potente avamposto concepito inizialmente per combattere l’influenza sovietica e difendere gli interessi petroliferi in Medio Oriente. La base, nota anche come la “portaerei”, funge da trampolino di lancio per le operazioni militari statunitensi in Medio Oriente ed Afghanistan (come le operazioni Enduring Freedom ed Iraqi Freedom) e come punto di rifornimento per i pattugliamenti dell’Air Force nel Mar Cinese Meridionale.

Questo permette agli Stati Uniti di preservare una forza di reazione dai missili balistici dell’Iran. La base, inoltre, è stata equipaggiata con i B-2 Shelter Systems ed è configurata per armare e supportare fino a quattro bombardieri strategici B-2. Anche se l’Iran riuscisse a neutralizzare temporaneamente la potenza aerea americana nella regione del Golfo Persico, gli Stati Uniti preserverebbero le capacità convenzionali e strategiche da Diego Garcia.

Inoltre in questo avamposto è presente un munizionamento pesante, come le GBU-57A / B: conosciuta come Massive Ordnance Penetrator, la GBU-57 rientra nella categoria dei sistemi d’arma bunker buster, pensati cioè per penetrare nel terreno e distruggere le strutture corazzate come bunker e tunnel in profondità. La GBU-57A / B da 30 mila libbre (14 mila kg) è progettata per essere imbarcata sui bombardieri stealth B-2. Il sistema Massive Ordnance Penetrator è strutturato su un corpo in grado di penetrare fino a 60 metri nel terreno prima di far esplodere i suoi 2400 kg di alto esplosivo al suo interno.

Inoltre, a differenza delle basi statunitensi nel Golfo Persico, Diego Garcia è armata con asset termonucleari ed è configurata per gestire in piena autonomia un attacco convenzionale/termonucleare contro l’Iran.

Foto dall’alto della base aeronavale Diego Garcia

E mentre l’Iraq è diventata una polveriera, i soldati tedeschi che addestrano i militari iracheni hanno lasciato le basi a Baghdad e Taji e sono stati trasferiti in Giordania e Kuwait, per via della pioggia di RPG (mortai leggeri ma letali) che in questi giorni hanno investito diverse basi Nato in Iraq. Anche i soldati italiani hanno dovuto lasciare la base americana a Baghdad, stanziati lì per l’addestramento delle forze irachene.

All’1:20 della notte di martedì 7 è scattata la vendetta dell’Iran, con l’operazione “Soleimani martire”: decine di missili balistici provenienti dall’Iran hanno colpito la base di Ain Al Asad ed Erbil, in Iraq. Ain Al Asad ospita 1500 soldati americani della Coalizione Internazionale anti Isis. Ad Erbil in particolare si trovava anche il contingente italiano; i soldati italiani sono rimasti illesi e si sono rifugiati in un bunker di sicurezza della base. I missili, secondo il Pentagono, hanno colpito due basi statunitensi che ospitano militari americani.

In risposta, Trump ha twittato: «tutto va bene, abbiamo l’esercito più forte al mondo». Inoltre ha minacciato nuove sanzioni contro l’Iran e ha chiesto all’Europa di sganciarsi dal patto sul nucleare. Un accordo dal quale lo stesso Iran ha minacciato il ritiro, dopo l’uccisione di Soleimani, ma Trump ha rilanciato la prova di forza a parole: «siamo ora il produttore numero uno di petrolio e gas naturale in tutto il mondo, siamo indipendenti e non abbiamo bisogno del petrolio del Medio Oriente».

Il presidente americano ha annunciato ieri sera una tregua ma la pressione su Teheran resta alta. Trump ha proposto in particolare tre condizioni: nuove sanzioni all’Iran, coinvolgimento delle altre potenze mondiali per cambiare l’accordo sul nucleare e offerta di dialogo diretto con i leader iraniani.

In risposta, il ministro iraniano Zarif ha dichiarato di non volere una guerra contro gli Usa, ma la Guida Suprema Khamenei è apparso meno conciliante, dichiarando invece che l’attacco iraniano contro le basi americane non è stato sufficiente come rappresaglia per l’assassinio del Generale Soleimani.

Quali saranno gli sviluppi per questa guerra? Lo stretto di Hormuz potrebbe essere lo scenario del prossimo braccio di ferro tra Iran e USA. La regione è da tempo una delle zone maggiormente sensibili nelle tensioni tra Iran e Stati Uniti: per avere un’idea dell’importanza dello stretto di Hormuz basta un dato statunitense, secondo il quale il 21 % di tutto il petrolio trasportato al mondo passa da qua, facile dunque immaginare le conseguenze economiche su scala globale di un possibile blocco iraniano su quelle acque. Secondo l’analista economico Edward Bell, «se si interrompe il flusso del greggio in uscita dalla regione avremmo necessariamente una forte pressione al rialzo dei prezzi».

Da qui passa in effetti il petrolio estratto da Arabia Saudita, Iraq, Kuwait, Emirati Arabi Uniti e Qatar. Nonostante i tentativi di diversificare la distribuzione degli idrocarburi con la costruzione di oleodotti e l’apertura di nuovi canali, la quota di petrolio che attraversa lo Stretto di Hormuz rimane decisiva. Scenari col prezzo del petrolio alle stelle non allarmano più di tanto gli Stati Uniti che grazie al boom di produzione di Shale Oil sono saliti al terzo posto nella classifica dei paesi produttori, dopo Arabia Saudita e Russia.

Quali pericoli affronta invece l’Italia con questa guerra occidentale contro l’Iran? «Ora l’Italia è più esposta», ha affermato in un’intervista all’Ansa il generale italiano Vincenzo Camporini, ex capo di stato maggiore della Difesa. Si dice invece “meravigliato” il generale Franco Angioni, già comandante delle truppe terrestri Nato nel Sud Europa e del contingente italiano in Libano durante la guerra civil, che in questa intervista definisce l’eliminazione di Soleimani «un’azione mafiosa».


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