La prima dimora dei Florio nascosta tra le vie del centro storico palermitano
Da dove è partita la fortuna palermitana dei Florio? Un’azione di tutela e un progetto fotografico, Sicily in Decay, hanno permesso dopo duecento anni di rivedere i locali appartenenti ai primi Florio in città.
In seguito al terremoto che, nel 1783, sconvolse Bagnara Calabra, la loro cittadina d’origine, i fratelli Paolo e Ignazio Florio, insieme a Giuseppina, moglie di Paolo, e con il piccolo Vincenzo ancora in fasce, si imbarcarono su una nave mercantile diretta a Palermo, pronti ad iniziare una nuova vita.
Tuttavia, nonostante la città borbonica fosse all’epoca in pieno fermento, la situazione socioeconomica dell’Isola, che favoriva le attività del latifondo a scapito di quelle marinare, non lasciava ben sperare rispetto al futuro dei loro affari, incentrati proprio sul commercio marittimo. Pertanto, per far fronte al problema, Paolo Florio decise di rilevare, insieme al cognato Paolo Barbaro, un negozio di spezie, prodotti coloniali e chinino, situato in via dei Materassai, alle spalle di Piazza San Domenico, riuscendo così ad evitare il fallimento.
L’esercizio commerciale divenne, in breve tempo, uno dei più fiorenti della città di Palermo, soprattutto grazie all’intervento di Vincenzo Florio, figlio di Paolo che, subentrando nelle attività di famiglia, avvió numerose iniziative industriali, come quella dei vini Marsala, del tabacco, del cotone, del tonno e dei battelli a vapore.
Inoltre, al numero 53 di via dei Materassai, sorse, nello stesso periodo, la prima residenza di quei bottegai arricchiti, destinati a passare agli onori della cronaca come “i regnanti senza corona”, autori di una fra le più importanti pagine di storia siciliana.

L’edificio, immerso in una dimensione popolare, come quella del mandamento di Castellammare, è stato di recente acquistato dalla famiglia Iraci che, nel tentativo di preservarne il ricordo e la memoria storica, prima di procedere al suo restauro, ha deciso di contattare Carlo Arancio, fotografo e laureando in architettura, nonché ideatore del progetto “Sicily in Decay”, finalizzato a rivelare la bellezza nascosta dei tanti edifici abbandonati dell’Isola.

Arancio, che in questo periodo sta preparando il suo primo evento espositivo, ha avuto così modo di accedere, a distanza di duecento anni, negli spazi decadenti di una residenza che reca, ancora oggi, l’impronta di una dimensione quotidiana, quasi intimista, familiare e per molti versi inedita. In particolare, l’ingresso dell’abitazione è già stato oggetto di ristrutturazione, mentre gli spazi interni sono assolutamente autentici, eccezion fatta per i ripetuti furti e gli atti vandalici che hanno interessato il mobilio.

Per la didascalia della fotografia soprastante, scrive Arancio: «Sopravvissuta al logorio tempo nonostante i rimaneggiamenti continui dell’immobile, almeno nell’alzato, resta intatta l’alcova di Ignazio Florio, con la sua eco di un’era perduta, le impronte che il tempo e gli oggetti han lasciato sulle sue pareti e col suo luccichio… tratto distintivo di tutta una stirpe che ancora oggi non smette di ammaliare».
In una stanza dell’appartamento, raccontano nel rione, sembra vi fosse un baldacchino, intarsiato d’oro, che racchiudeva il letto di Ignazio Florio. Inoltre, in fondo alla corte, era presente un muro, oggi abbattuto, che divideva la residenza da quella un tempo appartenuta al banchiere Benjamin Ingham, inviato a Palermo sin dal 1806 da una società di tessuti inglesi, perché lavorasse come piazzista. Questi, in particolare, costituì con gli emergenti Florio una società di battelli a vapore per il trasporto delle merci, e sempre con loro diede vita ad un’attività che si occupava della produzione dei derivati dallo zolfo. Il resto è la storia di un grande successo e di un nome legato per sempre al Capoluogo siciliano.
Foto in copertina Maria Teresa Natale