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Come si è parlato delle violenze sessuali del Capodanno a Milano

Male, malissimo. Perché dopo settimane gli abusi di Capodanno hanno (davvero) fatto notizia? Sono emerse le origini dei ragazzi fermati dalla Polizia: gli “stranieri”.


Al momento sono almeno 12 gli indagati per le violenze sessuali del Capodanno milanese e 11 le vittime che hanno denunciato gli abusi, alcune sono studentesse straniere. Sono molti di più i perquisiti che potrebbero essere fermati, anche grazie all’ausilio dei numerosi video presenti in rete, e per questo motivo, sicuramente, dopo diverse settimane, i fatti della notte del 31 dicembre continueranno a far parlare di sé. 

Anche se si è trattato di un fattaccio dove è inimmaginabile l’orrore provato dalle ragazze che hanno subito violenze, il dibattito italiano, dai grandi giornali – in particolare quelli schierati a destra – ai programmi televisivi sulle reti ammiraglie, si è concentrato su una questione, neanche troppo sottile: l’origine dei violenti. E indovinate perché dopo due settimane gli abusi di Capodanno hanno fatto notizia? Semplice, sono uscite fuori – e in modo neanche tanto corretto o preciso – le origini dei ragazzi fermati dalla Polizia, perlopiù “italiani di seconda generazione”. Siamo alle solite: gli immigrati con una “cultura arretrata”, l’integrazione fallimentare, e così via.

Qualche cenno (non morboso) sui fatti di Capodanno

Appena dopo la notte di Capodanno diverse ragazze hanno denunciato di aver subito furti e aggressioni a sfondo sessuale in piazza del Duomo a Milano e nelle vie limitrofe. Le ragazze sono state aggredite in momenti diversi, in luoghi piuttosto vicini, e hanno tutte un fattore agghiacciante in comune: il branco che accerchia e aggredisce una vittima rimasta isolata. 

I gruppi degli aggressori – tra di loro ci sono sia minorenni che maggiorenni – si riuniscono in “pattuglie” numerose, secondo alcune testimonianze, arrivando fino a diverse decine di bestie. Scelgono una vittima, la travolgono contemporaneamente – tanto che alcune ragazze hanno parlato di «mille mani addosso» e «dappertutto» – e oltre a rubargli soldi e telefono, la svestono e la toccano in tutto il corpo.

Lo shock pubblico, in ritardo

Lo scossone mediatico è arrivato piuttosto lentamente: a imbastire talk in televisione e brillanti articoli di opinione su “quanto l’immigrazione sta facendo male all’Italia” ci hanno pensato le informazioni arrivate dalle indagini della Polizia. Fra le 18 persone raggiunte dalle forze dell’ordine ci sono otto stranieri (di cui sei egiziani) e cinque italiani di seconda generazione, ovvero nati e cresciuti in Italia, a differenza dei loro genitori che sono immigrati dall’estero in Italia. «Sociologicamente italianissimi», li definisce Lorenzo Vidino in un’interessante opinione su Repubblica.

Le indagini hanno snocciolato via via un quadro cristallino per alcuni cacciatori di scoop: i ragazzi di origine straniera non hanno appreso appieno la democratica, egualitaria cultura italiana e le violenze di Capodanno sono il naturale risultato di questa mentalità maschilista importata dal Maghreb, dal Medio Oriente e da quegli altri Paesi retrogradi. Una situazione ottimamente descritta su Valigia Blu e che parla di questa «razzializzazione del sessismo».

Questo è più o meno il ritratto ricavato dalla sommatoria di violenza sessuale e indagati di origine straniera. Addirittura alcune testate mettono in evidenza come tutti e 18 i ragazzi interessati dall’azione della Polizia siano, ad esempio, “nordafricani” o “magrebini”, chissà magari tentando di indovinare nella confusione qualche nazionalità. Così la questione etnica è balzata in cima fra i temi chiave per comprendere un evento così sconvolgente – lo è certamente nelle modalità, nei numeri, nella dimostrazione di violenza brutale – in un Paese, l’Italia, che non è propriamente estraneo alla violenza di genere. Sì, ma in che modo?

Integrazione buona, quella mancata

Sono almeno due le questioni scottanti: l’integrazione mancata e, quindi, dannosa e il fatto che un Paese come l’Italia, senza ombra di dubbio, non abbia certo dato prova di essere il buon esempio egualitario al confronto con le culture definite da certa stampa “strutturalmente maschiliste”. 

Da un lato, dunque, la totale mancanza di politiche di integrazione negli ultimi vent’anni (e anzi la totale criminalizzazione e l’isolamento di qualunque immigrato o soggetto ruotante e di aiuto intorno a lui) aggrava un problema già evidente presso le comunità di origine straniera. Qui emarginazione, ghettizzazione, dispersione scolastica, carenza di possibilità, difficoltà ad accedere alle misure di welfare – il reddito di cittadinanza, per dirne una, è stato specificatamente evitato per chi risiede da meno di dieci anni in Italia – provocano ambienti fortemente disagiati. 

I ragazzi, in questi casi, quando non escono dal vortice fatto di povertà e pregiudizi sul loro essere periferia (poco importanti, di fatto, per qualunque amministrazione) entrando di fatto in uno stato di “accettazione”, cadono nel tranello esattamente opposto, ovvero quello di incarnare esattamente lo stereotipo alla massima potenza, entrare in gang, divenire “eroi contro il mondo”, proprio per emergere e non continuare a subire. Ma lungi da questa affermazione una qualche giustificazione delle violenze di Capodanno e di altre nel nostro Paese. Si chiama contestualizzazione.

L’integrazione perversa: maschilismo, violenza, oppressione

Dall’altro lato abbiamo invece il dato, netto, sulla maggioranza dei protagonisti della vicenda milanese, composta sostanzialmente da italiani. Perché chi nasce e cresce in Italia, seppur educato da un modello familiare forte o spesso dominante – come accade normalmente per ogni bambino con una famiglia attorno – dovrà aver assorbito il mondo circostante in un modo o nell’altro. E che mondo.

Se così tanti ragazzi “italiani di seconda generazione” sono stati coinvolti in questo orrore che, ricordiamolo, ha tramortito delle ragazze, giovanissime in molti casi, è anche colpa di un modello culturale italiano superiore inesistente. Anzi, di un Paese che oltre all’emarginazione impone, ancora oggi, oggettificazione e colpevolizzazione della donna. Ed è quello che non è entrato a sufficienza nei dibattiti televisivi, alcuni addirittura chiosati da perle nostalgiche facenti riferimento a “quanto i ragazzi in passato fossero meno violenti”, come se il maschilismo o la violenza di genere fossero problematiche assenti o meno forti alcuni decenni fa (forse meno percepite per l’ampia soppressione dell’emancipazione, questo sì).

L’unica integrazione o, per meglio dire, l’unica possibilità dimostrata in Italia è sembrata essere solo quella afferente a un modello machista, violento, oppressore e con una logica di branco, peraltro già vista in ben altri contesti, dalla Germania all’Egitto. Le approfondite statistiche sui detenuti in Italia per reati a sfondo sessuale – da vedere, però, in controluce insieme a quelli delle sentenze che ribaltano la percezione di un’Italia “vittima della violenza e del machismo straniero” – continueranno a essere mostrate fra i cartelli in onda o tra le grafiche che interrompono il testo degli articoli, e il dibattito mediatico tornerà a dimenticare loro, le vittime, quelle che pagano tutto.


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Daniele Monteleone

Caporedattore, responsabile "Società". Scrivo tanto, urlo tantissimo. Passione irrinunciabile: la musica. Ho un amore smisurato per l'arte, tutta.