L’altro volto della pandemia: la violenza di genere

Un altro 25 novembre si tinge di rosso, tra nuove declinazioni di vecchi soprusi e difficoltà dei centri antiviolenza nel garantire i servizi territoriali a sostegno delle vittime.


Il 2020 non è ancora concluso, pertanto non ci è possibile fare un bilancio relativo alla violenza di genere nell’anno corrente. L’Istat, grazie ai numeri forniti dal 1522, ci permette tuttavia di avere la mappatura di un periodo che va da marzo a giugno. Si tratta di un servizio promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri a sostegno delle vittime di violenza e stalking, una help line a cui ci si può rivolgere in qualunque momento per chiedere aiuto o anche un consiglio. 

Al numero verde è associato anche il servizio chat per poter comunicare con un’operatrice. Durante il lockdown, l’uso del servizio di messaggistica ha visto un incremento di utenti, passando da 417 a 2.666. Le richieste di aiuto, in totale, sono passate da 6.956 a 15.280, registrando un’impennata del 119,6%. Nella maggior parte dei casi (il 60,6%) le chiamate arrivano fra le 9 e le 17, mentre la notte e la mattina presto solo il 17,5% contatta il servizio. Inoltre, c’è un 23,9% che chiama o scrive solo per fini meramente informativi e in alcuni casi viene indirizzato verso altri sportelli. Numeri alla mano, sono 2.979 le utenti guidate verso servizi di supporto sociale e psicologico, mentre il 77,2%  sono dirottate verso altri servizi.

Le disposizioni introdotte in termini di distanziamento non hanno per nulla agevolato l’accoglienza delle vittime nei Cav (centri antiviolenza) e nelle case rifugio, rimaste attive nel rispetto delle prescrizioni igienico-sanitarie. ActionAid testimonia la riduzione del personale nelle strutture lombarde per motivi legati alla pandemia: la metà delle operatrici rientrava in quella fetta anagrafica ad alto rischio di contagio.

Inoltre, i finanziamenti previsti dal Piano antiviolenza 2017-2020 e destinati per l’anno 2019 sono arrivati a singhiozzo e quantificabili solo nel 10% del totale. Tutto ciò ha fatto emergere anche problemi legati al coordinamento e difficoltà gestionali, che si sommano a quelle relative al reperimento dei fondi, ai ritardi nella ripartizione delle risorse da parte dello Stato centrale verso le regioni. Emblematici sono i casi di Lombardia, Calabria e Sicilia, come descritto nel rapporto “Tra retorica e realtà. Dati e proposte sul sistema antiviolenza in Italia“. 

ActionAid ha voluto istituire un fondo di intervento chiamato closed 4 women, dando la possibilità ad alcuni centri italiani di acquistare mascherine, guanti, disinfettante e tutti quei dispositivi sanitari utili a svolgere le attività in piena sicurezza; ma anche aiuti alimentari e sostegni economici per donne che hanno dovuto interrompere percorsi lavorativi a causa del Covid 19. ActionAid ha inoltre deciso di rilanciare il fondo di emergenza per far fronte a questa nuova ondata pandemica che ha già messo a dura prova il sistema assistenziale territoriale che si è rivelato, grazie alle risorse operanti negli stessi, capace di adattarsi per garantire supporto alle vittime. Ma è ancor di più importante che ci sia una piena e consapevole coordinazione che preveda una cabina di regia locale, una definizione dei ruoli della rete territoriale per far fronte alle diverse difficoltà che la pandemia pone in essere e costruire una rete di supporto forte e duratura che possa far fronte agli imprevisti dei tempi, come afferma la responsabile di ActionAid Elisa Visconti. Presenza sul territorio non è solo intervento ma anche prevenzione e informazione circa l’esistenza dei centri antiviolenza.

La retorica nostrana spesso ci porta a far scadere temi, come quello della violenza contro le donne, in qualcosa di scevro di contenuti, senza dare mai concretezza a ciò che si dice e che andrebbe realizzato. Capita di soffermarsi sulla dinamica di consumazione della violenza: soggetti, luoghi, considerazioni che scagionano il carnefice, relative magari al suo tasso alcolemico, alla sua presunta gelosia, alla difficoltà nel metabolizzare la fine del rapporto. Raramente, se non quasi mai, ci si ferma a riflettere sull’impatto che ha la violenza sulla qualità della vita della vittima, sul modo in cui questa concepisce il vivere quotidiano e si senta toccata nella propria identità.

La violenza di genere è anche un problema culturale, lo stesso con cui quotidianamente ci scontriamo: quel sentire comune che deresponsabilizza il maschile e colpevolizza il femminile, come se si dicesse alla vittima «ti sei meritata il disprezzo, tuo è l’odio, lo scherno, il sopruso e l’abuso». Parliamo del c.d. victim blaming, un approccio nocivo sia per chi lo perpetra (e interiorizza e legittima l’odio e la violenza) sia soprattutto per chi lo riceve, che si sente responsabile delle molestie, consapevole che ci sia una buona fetta di società che non prenderà le sue parti. Sono molte le donne che portano avanti una mentalità castrante e patriarcale. Fatto della stessa retorica è lo slut shaming, termine con cui si indicano gli insulti a sfondo sessuale che vanno a offendere, ammonire e svalutare le donne, che si tratti del modo in cui sono vestite o del modo in cui vivono la loro vita sessuale, etichettando e creando uno squilibrio fra condotta e desiderio la cui legittimazione è di genere e non di diritto.

In Europa circa nove milioni di ragazze hanno subito violenze online in età adolescenziale. Una declinazione di queste violenze è la cosiddetta vendetta pornografica, meglio conosciuta come revenge porn, di cui le cronache degli ultimi tempi hanno dato più volte un saggio. Si tratta della diffusione di contenuti, immagini o video sessualmente espliciti, senza il consenso di una delle parti. Il periodo del lockdown ha visto un’impennata di casi di revenge porn: la pandemia, che ci ha costretti in casa per mesi, ha offerto a molti la possibilità di usare Zoom o Skype in maniera impropria con il fine di perpetuare questo genere di abusi.

Le violenze, dunque, possono anche nascere in seno al web e alle volte il giudizio virtuale sa essere tagliente tanto quanto quello reale. Ad ogni modo, la violenza di genere non riguarda solo chi la subisce ma è un problema politico che riguarda tutti: il suo significato va al di là del singolo e porta in superficie la necessità per tutti di prendere una posizione.