Narges Mohammadi, il secondo Nobel per la pace che punta i riflettori sulle donne in Iran
«La sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e per la promozione dei diritti umani e di libertà», con questa motivazione è stato assegnato a Oslo il premio Nobel per la Pace a all’attivista iraniana per i diritti umani Narges Mohammadi, un premio che punta il dito sulla condizione delle donne in Iran.
«Questo premio è prima di tutto un riconoscimento per il lavoro importante di un intero movimento in Iran e della sua leader, per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e la promozione dei diritti umani e della libertà per tutti», questa la motivazione del comitato norvegese per l’assegnazione del premio Nobel per la Pace a Narges Mohammadi, una donna che ha dedicato la sua intera vita alla lotta per la libertà e per i diritti umani violati nel suo Paese.
Nata nel 1972 a Zanjan, in Iran, Narges Mohammadi è dal 2009 vicepresidente del DHRC, Defenders of Human Rights Center (fondato dal premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi) che finché ha potuto ha difeso i prigionieri politici e di coscienza nei procedimenti giudiziari.
Il regime iraniano l’ha arrestata tredici volte, condannata a trentuno anni di prigione e a centocinquantaquattro frustrate, con l’accusa di diffondere ideali contrari allo Stato.
Le mancano ancora dieci anni da scontare, è in carcere mentre il mondo la celebra, e dal carcere non ha mai smesso di lottare.
Mohammadi entra ed esce dalle prigioni dagli anni ’90 ed è sempre stata in prima fila nella battaglia nelle piazze contro la legge che obbliga le donne a indossare l’hijab.
Una battaglia, quella contro l’obbligo di indossare il velo, che è stata parte dell’ultima e clamorosa ondata di proteste scoppiate dopo l’omicidio di Masha Amini, il 16 settembre del 2022. Da quel momento ha organizzato proteste dalla sua cella, dove ha scritto articoli informativi e organizzato workshop per permettere alle altre detenute di conoscere i propri diritti.
Dopo la sua nomina, Narges Mohammadi è stata irraggiungibile per più di due giorni. Non ha potuto fare un discorso di ringraziamento, non ha mostrato la fierezza negli occhi di chi sa che i propri sforzi vengono riconosciuti.
Ci aveva sperato un po’ che quel premio arrivasse, e la prova la tiene in mano la figlia diciassettenne. Un discorso preparato “nella remota ipotesi in cui avesse vinto”, letto dagli occhi di una ragazza ancora troppo giovane per comprendere quanto il dolore di quella mancanza, quel vuoto che sta provando lasciato da una madre che non vede da più di otto anni, è un sacrificio che sta facendo in nome di tutte le donne iraniane:
«Starò dalla parte delle madri coraggiose dell’Iran e continuerò a combattere contro la discriminazione senza sosta, contro la tirannia, l’oppressione su basi di genere da parte del governo religioso finché le donne non verranno liberate […] Il sostegno globale e il riconoscimento della mia difesa dei diritti umani mi rendono più risoluta, più responsabile, più appassionata e più fiduciosa. Spero anche che questo riconoscimento renda gli iraniani che protestano per il cambiamento, più forti e più organizzati. La vittoria è vicina», recita il discorso di Narges Mohammadi.
Un premio che ha il compito di accendere di nuovo i riflettori su una situazione che non può semplicemente passare in secondo piano, nascosta sotto il tappeto dai conflitti internazionale e gli interessi delle grandi potenze, ma che ha bisogno di attenzione costante per salvare le donne iraniane e restituire loro i diritti negati.
Le parole che hanno seguito la proclamazione, il supporto ed l’orgoglio da parte della comunità internazionale, non devono restare dei semplici convenevoli, ma diventare l’occasione giusta per supportare chiunque, insieme a Narges Mohammadi, stia portando avanti questa lotta.1
Immagine in copertina di Voice of America