FMI, previsioni economiche in peggioramento

Dalle precedenti previsioni di gennaio, il quadro economico internazionale sembra in netto peggioramento e la situazione potrebbe ulteriormente aggravarsi.


L’ultimo numero di aprile del World Economic Outlook (WEO) del Fondo Monetario Internazionale (FMI) mostra un quadro in peggioramento rispetto a quello di gennaio, con una tendenza alla forte instabilità. La situazione economica delineata nel mese suddetto, che avevamo analizzato, non mostrava già allora uno scenario roseo; al contrario, presupponeva una forte instabilità e una tendenza al peggioramento. 

L’unica buona notizia rispetto alla pubblicazione di inizio anno è rappresentata dalla forte ripresa per l’economia cinese. Essa è sostanzialmente figlia della fine delle politiche di contenimento della pandemia del Covid-19 e ha permesso una maggiore produzione e una più rapida distribuzione.

La catena di distribuzione, infatti, sembra essere ripartita dopo le difficoltà dello scorso anno, che avevano in molti settori strozzato l’offerta, permettendo anche una discesa dei prezzi. L’unica ombra per l’economia del dragone sembra riconducibile alle difficoltà ancora irrisolte del settore immobiliare, che potrebbero comportare un rallentamento della crescita qualora scoppiasse una bolla con ripercussioni sul settore finanziario.

Le dolenti note, secondo il Fondo, proverrebbero sostanzialmente dalle recenti turbolenze del mercato del credito, che potrebbero influire sulla crescita attraverso due strade: una diretta, fatta di fallimenti e salvataggi; una indiretta, determinata da una stretta del credito.

Il Fondo non si sente di escludere nessuna delle due ipotesi e, al contrario, sostiene come entrambe risultino plausibili. In particolare, la stretta creditizia delle banche nei confronti dell’economia reale potrebbe essere determinata proprio dalla necessità di salvaguardare i bilanci delle banche stesse, rendendoli più “sani” e cercando di scongiurare fallimenti. 

Il problema è che sui mercati sembra essersi scatenata, anche dal punto di vista dell’importante Istituzione internazionale, una sorta di caccia all’anello debole della catena (la cui ultima vittima sembra essere nuovamente First Republic Bank), con il rischio di creare un effetto domino.  

La persistenza dell’inflazione

Un altro fattore che può deteriorare le previsioni al ribasso è il quadro inflattivo. L’inflazione appare essere più persistente di quanto in precedenza prospettato e, secondo il Fondo, sarà molto più complesso per le Banche centrali contrastarne efficacemente gli effetti.

Nelle previsioni, il ritorno a un tasso vicino al 2 per cento, già abbastanza complicato anche per le Istituzioni europee nel breve periodo, è slittato per l’Eurozona di un ulteriore anno, al 2025, con buone probabilità di un ulteriore allungamento dei tempi.

Al netto di queste difficoltà, gli analisti di Washington non vedono al momento il rischio di una spirale prezzi-salari; al contrario, nonostante il mercato del lavoro presenti una buona solidità, le dinamiche salariali sembrano essersi discostate di poco rispetto a prima dello scoppio dell’inflazione.

I due scenari prospettati dal WEO

Alla luce dei rischi e delle dinamiche fin qui descritte, il WEO ha delineato due scenari: uno base e uno peggiore, ma definito plausibile. Nella tabella in basso, presente nella pubblicazione di cui sopra, è possibile verificare le diverse previsioni di crescita a livello mondiale dello scenario considerato base e gli eventuali spostamenti, molti dei quali al ribasso, rispetto alle pubblicazioni precedenti temporalmente di gennaio 2023 e ottobre 2022.

Gli effetti di un peggioramento delle condizioni di rischio globale e l’avverarsi di quelle problematiche delineate in precedenza scaverebbero un profondo solco sulla crescita indicata nello scenario base, peggiorando nettamente tutte le stime, come indicato nel grafico in basso presente nella pubblicazione del Fondo.

Come è evidente, a pagare il prezzo peggiore in caso di peggioramento dello scenario a livello globale sarebbero le economie avanzate (United States e AEs nel grafico), mentre un impatto più leggero si avrebbe per le economie in via di sviluppo (EMDEs) e un contraccolpo quasi nullo per la Cina.

La forte dipendenza dell’economia globale nei confronti di quella statunitense e gli eventuali effetti di riallocazione nelle economie avanzate dei capitali in fuga dai Paesi poveri, in particolare per quel che riguarda gli investimenti esteri, provocherebbe, come evidente nel grafico, un serio effetto sulla crescita globale.  

Oltre ai due scenari, già di per sé non idilliaci, gli economisti del Fondo non escludono un quadro ancor più devastante: «Nel complesso, la probabilità stimata che la crescita globale nel 2023 scenda al di sotto del 2,0 per cento, un risultato che si è verificato solo in cinque occasioni dal 1970 (in 1973, 1981, 1982, 2009 e 2020) – al momento è del 25 per cento: più del doppio della probabilità normale.

Una crescita al di sotto del 2,0 per cento potrebbe verificarsi in caso di grave interruzione del credito o per una combinazione di shock che si materializzino insieme». Da notare come nel testo le date indicate coincidano con quelle delle peggiori contrazioni economiche degli ultimi cinquanta anni dallo Shock Petrolifero del 1973, alla Recessione Globale del 1982, dalla Grande Recessione, alla pandemia. 

La disintegrazione dei mercati e i suoi effetti

Infine, un ultimo punto fondamentale è rappresentato dal richiamo sui rischi della disintegrazione dei mercati, cui si assiste oggi, prodotto delle tensioni politiche e commerciali fra le principali economie mondiali.

Un quadro che va avanti da circa un decennio e che sembra rafforzarsi: «La continua ritirata dall’integrazione economica mondiale è iniziata più di un decennio fa dopo la crisi finanziaria globale, con notevoli sviluppi tra cui Brexit e tensioni commerciali Cina-USA.

La guerra in Ucraina ha rafforzato questa tendenza aumentando le tensioni geopolitiche e la suddivisione dell’economia mondiale in blocchi geopolitici. Gli ostacoli al commercio sono costantemente in aumento». 

Gli effetti della disintegrazione però potrebbero cominciare a essere visibili secondo quanto ha messo nero su bianco il Consigliere economico del Fondo Pierre Olivier Gourinchas, sebbene non possa essere chiaramente imputabile a quest’ultima una correlazione diretta con il rallentamento economico di questi anni: «Infine, le nostre ultime proiezioni indicano anche un complessivo rallentamento delle previsioni di crescita a medio termine.

Le previsioni di crescita per i futuri cinque anni sono diminuite costantemente dal 4,6 per cento nel 2011 al 3,0 per cento nel 2023. Parte di questo calo riflette il rallentamento della crescita precedente nelle economie in rapida crescita come la Cina e la Corea.

Questo è prevedibile: la crescita rallenta man mano che i Paesi convergono. Ma alcuni dei rallentamenti più recenti potrebbero riflettere anche forze più minacciose: l’impatto cicatriziale della pandemia; un ritmo più lento delle riforme strutturali, così come la crescente minaccia della frammentazione geoeconomica che sta provocando maggiori tensioni commerciali; meno investimenti diretti; e un ritmo più lento di innovazione e tecnologia adozione attraverso “blocchi” frammentati (aprile 2023 WEO Capitolo 4).

È improbabile che un mondo frammentato possa permetterci di ottenere progresso per tutti o possa consentirci di affrontare le sfide globali come il cambiamento climatico o la preparazione a una potenziale futura pandemia. Dobbiamo evitare quel percorso a tutti i costi».

Quello che emerge in realtà, in conclusione, a una lettura più approfondita del documento, è che questo rallentamento della crescita indicato nelle previsioni del FMI possa semplicemente essere la norma per il prossimo futuro. Un futuro nel quale le ragioni della politica internazionale hanno la meglio sulle ragioni dell’economia e dove la sicurezza degli Stati prevale sul benessere globale.


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