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La Legge di Bilancio del Governo Meloni

Nella conferenza stampa del 22 novembre, il Presidente del Consiglio ha presentato la manovra del 2023. Verifichiamo, per sommi capi, contenuto e coperture della legge di bilancio.


L’ammontare complessivo della manovra finanziaria consta di 35-37 mld di euro. La fonte di finanziamento principale è costituita dalla spesa in deficit, per un ammontare di circa 21,2 mld, come indicato il 5 novembre nella Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (NADEF) e confermato dal Documento Programmatico di Bilancio (DPB). Un’altra parte di finanziamento dovrebbe provenire da tagli della spesa dei Ministeri, per circa 800 mln nel 2023, che dovrebbero crescere nel corso del triennio fino al 2025 come indicato nella NADEF. 

Ulteriori fonti di copertura, indicati dal DDL Bilancio del prossimo anno, provengono dalla riduzione del cosiddetto “sconto” sulle accise su benzina, gasolio e gpl che caleranno di 10 centesimi per quanto riguarda i primi due e di 3 centesimi per quanto riguarda l’ultimo prodotto. Verrà, inoltre, aumentata la tassazione sugli extraprofitti delle imprese energetiche, che passerà dal 25 per cento al 50 per cento anche se colpirà non più il fatturato, come in precedenza, ma direttamente il differenziale degli utili rispetto all’anno precedente. Questa voce è indicata all’art. 28 della legge di Bilancio come “Contributo di solidarietà temporaneo per l’anno 2023”. Da questa imposta il Governo stima di incassare circa 2,6 mld di euro.

Una piccola fonte di entrata, poco più di 150 mln, proverrà dal settore delle sigarette (con un aumento probabile di almeno 20 centesimi a pacchetto); sembrano escluse le sigarette elettroniche. Una piccola entrata proverrà dalla rivalutazione delle partecipazioni e dei beni statali, valutata quest’ultima circa 1 mld. Un’altra voce non consistente è quella proveniente dalla rimodulazione del superbonus all’edilizia, i cui risparmi dovrebbero ammontare a 300 mln.

Reddito di Cittadinanza e pensioni

La parte della finanziaria che ha scatenato le maggiori polemiche proviene dalla riduzione e poi dalla totale abolizione del Reddito di Cittadinanza (RDC) per la platea di coloro che sono considerati “impiegabili”, cioè percettori di età compresa fra 19 e 60 anni, in assenza di minori, disabili o persone con più di sessant’anni nel nucleo familiare.

Il contributo, per costoro, verrà mantenuto soltanto per i primi otto mesi del prossimo anno, in presenza di determinati caveat, fra i quali la partecipazione a programmi di formazione e l’accettazione della prima proposta di impiego. Il RDC verrà del tutto abolito a partire dal 2024 e sostituito con un nuovo programma assistenziale. La riforma-abolizione del RDC comporterà una riduzione della spesa stimata in circa 1 miliardo per il prossimo anno.

L’ultima fonte di finanziamento della manovra è rappresentata dalla rivalutazione delle pensioni. Il Governo ha preventivato un aumento delle pensioni del 7,3 per cento l’anno prossimo, a copertura dell’aumento dell’inflazione; inflazione, questa, che, in realtà, sfonderà il 10 per cento. Questo parziale recupero del costo della vita non avverrà in modo eguale tra le pensioni: esso sarà pieno soltanto per quelle fino a quattro volte la pensione minima, circa 2.100,00 euro lordi al mese.

Al di sopra di questa soglia, la rivalutazione sarà tagliata in cinque fasce al crescere dell’ammontare pensionistico, riducendosi all’80 per cento, poi al 55 per cento, al 50 per cento, al 40 per cento e al 35 per cento. In sintesi, a titolo esemplificativo, le pensioni oltre la soglia dei 5.000,00 euro saranno rivalutate solo del 35 per cento, perdendo notevolmente dai rincari dovuti all’inflazione. Il tutto dovrebbe valere poco più di 2,1 mld di euro, che dovrebbero essere usati a copertura di altre voci previdenziali.

Oltre alla rivalutazione degli assegni limitata, vengono confermate le misure di agevolazione all’età di uscita dal mondo del lavoro: dall’Ape sociale a Opzione donna. In particolare, Opzione donna vede, però, ridursi gli ambiti di applicazione: essa riguarderà le sessantenni che fanno da caregiver nei confronti di un invalido con almeno 35 anni di servizio. Sarà previsto uno sconto di un anno in caso di un figlio a carico, quindi uscita a cinquantanove anni, raddoppiato se i figli a carico sono due (cinquantotto anni).

La nuova quota di uscita, Quota 103, di cui almeno 41 anni di servizio e sessantadue anni di età prevede una platea compresa fra 41.000 e 47.500 persone. Il costo della misura previsto è di 571 mln nel 2023 che salgono a 1,18 mld nel 2024. Essa prevede, inoltre, un tetto all’assegno a 36.600,00 euro lordi annui e un divieto di cumulo con altri redditi, eccetto quelli da lavoro autonomo occasionale con un tetto di 5.000,00 euro.

Coloro in possesso dei requisiti di Quota 103, che non si avvarranno della misura, potranno ottenere un bonus del 10 per cento circa del proprio reddito (la componente previdenziale), ma vedranno il proprio assegno pensionistico congelato. La platea prevista è di 6.500 persone (portando la soglia dei beneficiari di quota 103 al minimo di 41.000 persone indicate), con un costo per le casse dello Stato di circa 10 mln di euro.

Le pensioni minime verranno aumentate al di sopra di quanto previsto dalla rivalutazione generica, anche se non toccheranno la cifra di 600,00 euro mensili promessa. L’assegno mensile dovrebbe fermarsi a circa 571,00 euro il prossimo anno e toccare i 581,00 euro nel 2024. Il costo della misura è di 210 mln di euro per il prossimo anno e 380 mln per il 2024.

Date le cifre complessive della manovra e delle fonti, sembra mancare qualcuna delle voci per raggiungere il totale dei 14 miliardi non provenienti dall’extra-deficit. Al riguardo, una critica puntuale è stata effettuata dall’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano, dove si evince come nel DPB alcune voci non siano ben delineate. Proprio nel DPB sono presenti due generiche voci che riguardano altre entrate per 6,3 mld e tagli delle spese per 7 mld. Bisogna prestare particolare attenzione al Documento citato perché è proprio su questo che le Istituzioni comunitarie faranno le proprie osservazioni.

Caro energia e sanità

Analizzando le spese previste, la voce principale è costituita dai rinnovi delle misure del Governo precedente per contrastare il caro energia e l’esplosione dell’inflazione. Nel complesso, queste misure dovrebbero drenare circa 21 mld delle risorse stanziate e proverrebbero dall’extradeficit programmato nel DPB. Il finanziamento di queste misure ha, però, un limite temporale: esse sono coperte soltanto fino al 31 marzo; successivamente a questa data, sarà necessario un nuovo stanziamento per rinnovarle o una presa in carico delle misure da parte delle Istituzioni comunitarie (come da auspicio del Governo).

Un’altra voce consistente è quella destinata al comparto sanità, cui dovrebbero andare circa 2,2 mld. Inizialmente erano previsti soltanto 2 mld, ma a seguito delle rimostranze del comparto e dei Governatori regionali, cui è assegnata la materia, si sono aggiunti 200 mln per il personale del Pronto Soccorso, su cui non è chiaro se lo stanziamento partirà dal prossimo anno o dal 2024. Le risorse sono molto limitate e il timore maggiore è che sia lo stesso andamento inflattivo, in particolare il rincaro dei costi energetici, a divorare per intero i maggiori finanziamenti.

Cuneo fiscale, Flat tax e riduzione dell’IVA

Sostanzioso è anche lo stanziamento previsto per il taglio del cuneo fiscale. La misura prevederebbe il permanere della riduzione del taglio del 2 per cento per i redditi fino a 35.000,00 euro lordi annui, varata dal precedente Governo, alla quale viene aggiunto un ulteriore taglio di un punto per i redditi fino a 20.000,00 euro lordi annui. Il costo totale della misura dovrebbe aggirarsi sui 4 mld.

Una fonte di spesa non ingente riguarda l’estensione della tassazione forfettaria (flat tax) dal limite attuale dei 65.000,00 euro di reddito agli 85.000,00 euro. Il costo della misura dovrebbe essere di circa 300 mln. Sono presenti una serie di limitazioni per evitare fenomeni di sotto-fatturazione volti a rimanere all’interno della soglia.

L’Imposta sul Valore Aggiunto verrà ridotta al 5 per cento, dal 10 per cento previsto, per alcuni prodotti: in particolare, si tratterebbe dei prodotti per l’infanzia (fra essi i pannolini) e degli assorbenti. Quella sugli assorbenti è un’ulteriore riduzione che fa seguito alla riduzione dal 22 per cento al 10 per cento portata avanti dal precedente Governo. 

Il ritorno dei Voucher

Fanno ritorno, dopo la stretta del 2017, i Voucher da 10 euro, di cui 7,5 euro di pagamento netto al lavoratore. Ricordiamo che essi vennero fortemente ridimensionati per lo smodato, ai limiti della legalità (se non oltre), utilizzo che ne fu fatto e che vide un picco del 500 per cento fra l’anno di introduzione, il 2012, e l’ultimo anno di utilizzo pieno, il 2016. Essi vengono reintrodotti per il lavoro “occasionale” in tre settori nevralgici: il settore agricolo, la ristorazione, il settore alberghiero e il lavoro domestico. 

Il tetto annuale di pagamento con questi strumenti è di 10.000,00 euro, quindi tanto occasionale non sembrerebbe, a condizione che l’impresa utilizzatrice abbia almeno dieci dipendenti con contratti stabili. Riguardo il numero di dipendenti utilizzati, è abolito ogni tetto lasciando piena libertà di utilizzo alle imprese, specialmente nel settore alberghiero e nel settore agricolo, per i lavori stagionali. Importante precisazione riguardo i lavori stagionali nell’agricoltura è presente all’art. 64 del testo: «…per ogni giornata lavorativa va corrisposto al lavoratore un compenso pattuito per la prestazione in misura pari a quella minima fissata per la remunerazione di tre ore lavorative prevista per il settore agricoltura».

“Tregua fiscale” e uso del contante

Viene previsto all’interno della manovra un forte condono fiscale. Esso si sostanzia in due parti: la prima riguarda le cartelle al di sotto dei 1.000,00 euro, notificate fra il 2010 e il 2015; la seconda, grossomodo, tutte le altre cartelle. La scelta del periodo, fra il 2010 e il 2015, è dovuta al precedente colpo di spugna effettuato dal Governo Draghi col “Decreto Sostegni”, attraverso il quale venivano cancellate tutte le cartelle fino a 5.000,00 euro, dal 2000 fino al 2010, per coloro i cui redditi non fossero superiori ai 30.000,00 euro lordi annui.

Fra l’altro in quella occasione, durante la conferenza stampa di presentazione della misura, il Presidente Draghi ammise candidamente si fosse in presenza di un condono: «Sì, è un condono, necessario perché lo Stato non ha funzionato bene».

Per le cartelle rimanenti si diminuiscono, e di molto, sanzioni e interessi e, in base all’avanzamento del contenzioso con l’amministrazione tributaria, si permette la rateizzazione in cinque anni. Riguardo l’impatto per il bilancio dello Stato di tutte le misure, rinviamo alla manovra di bilancio completa della relazione illustrativa e tecnica. La parte della legge di Bilancio in questione è quella relativa al Capo III, “Misure di sostegno in favore del contribuente”, negli articoli dal numero trentotto al quarantotto. 

Nelle tabelle della relazione tecnica è possibile verificare il costo per il bilancio pubblico che si aggirerebbe, complessivamente, per tutte le misure, in circa 1,5 mld, senza considerare l’impatto che queste misure avrebbero sulla cosiddetta “fedeltà fiscale”. Quando si agisce nel settore fiscale, è necessario ricordare come l’ammontare di tasse evase già accertato da parte dell’Agenzia delle Entrate sia superiore ai 1.100 miliardi di euro, a fronte di un debito pubblico di 2.700 miliardi di euro. Un Paese, il nostro, che più che fondato sul lavoro, sembra essere fondato sull’infedeltà fiscale.

Le maglie sull’uso del contante sono nuovamente allargate attraverso la finanziaria, in particolare attraverso due strumenti: l’innalzamento dell’uso del contante a 5.000,00 euro per singola operazione e la rimozione delle sanzioni per il mancato utilizzo di carte di pagamento per le operazioni al di sotto dei 60,00 euro. In una nazione normale, il variare di queste misure avrebbe un impatto assente in termini di finanza pubblica, ma l’Italia non è una nazione normale. 

Misure di questo tipo agevolano, da una parte, l’evasione fiscale e, dall’altra, l’economia sommersa nel suo complesso. Per fornire un quadro chiarificatore dell’impatto, un opportuno rimando è fatto a un lavoro di Michele Giammatteo, Stefano Iezzi e Roberta Zizza per le Questioni di Economia e Finanza della Banca d’Italia, dall’evocativo titolo “Pecunia olet. Cash usage and the underground economy”. 

In questo articolo, figlio dell’allargamento dell’uso del contante consentito dall’allora Governo Renzi, si può vedere come, al netto degli evidenti problemi di misurazione di attività poco trasparenti in se stesse, la crescita dell’1 per cento delle transazioni in contanti comporti una crescita del sommerso in un range tra lo 0,8 per cento e l’1,8 per cento. Come è evidente da queste premesse, le due misure in questione comporteranno una riduzione del gettito fiscale e un ammanco per le casse pubbliche. 

Sono infine presenti una serie di misure minori, come un’imposta di bollo sulle cripto-attività, il differimento di plastic tax e sugar tax, la proroga delle agevolazioni per l’acquisto della prima casa per gli under 36, il potenziamento del congedo parentale, la detassazione delle mance nel settore della ristorazione, tutta una serie di finanziamenti per opere nel settore infrastrutturale (fra i quali il finanziamento per 50 mln di euro per la riattivazione della società per il ponte sullo Stretto di Messina), fino alle risorse per il rinnovo delle missioni internazionali e ai finanziamenti per la cybersicurezza. 

Conclusioni

La manovra, nel suo impianto centrale, è in piena continuità con quella del Governo precedente e ne rinnova molte delle misure. Ma proprio nei dettagli sorgono i problemi: le misure “di bandiera” hanno generato una pletora di uscite o di mancate entrate, nelle quali è difficile districarsi e che potrebbero rappresentarne il limite principale. Questo andamento è stato reso plastico dal lievitare degli articoli e delle risorse nel corso della stesura: partita da una somma di 32 mld e 136 articoli, si è passati a 35 mld e 156 articoli, fino a oltre 35 mld definitivi e 174 articoli.

Un altro grosso limite è di tipo temporale, con quasi tutte le misure di mitigazione del caro energia che scadranno il 31 marzo: cosa succederà da quel momento? Resta, infine, l’incognita delle reazioni europee: il DPB e la legge di Bilancio presentano forti limiti nello stabilire le fonti di copertura: è probabile che le Istituzioni europee richiedano chiarimenti e correttivi. Probabilmente partirà in quel momento la litania dei “sacrifici che richiede l’Europa”, per scaricare su quest’ultima il costo politico delle correzioni.

(Foto di Copertina: MTI/EPA/ANSA/Massimo Percossi)


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