Le torri d’acqua di Palermo, quei testimoni secolari dimenticati

Una presenza inosservata che è parte integrante del paesaggio urbano di Palermo: le torri d’acqua sono testimonianza storica di un’antica saggezza.


Non è solo una città anticamente attraversata da diversi e importanti corsi d’acquaKemonia e Papireto nello specifico – ma un territorio in possesso di un ricco patrimonio idrico diffuso: Palermo, nei secoli, ha dovuto “amministrare” una consistente quantità di sorgenti sotterranee, fiumi interrati e qanāt (canali idrici artificiali nel sottosuolo). 

A trasportare tutta quest’acqua, oltre alle modalità sopra citate, hanno contribuito anche delle strutture “alternative”. Sbucano un po’ dappertutto: le torri d’acqua, o castelletti, si possono trovare all’interno di un cortile, appoggiate alle antiche mura urbane, quasi seppellite dall’edilizia residenziale, o pressoché immutate, campeggianti nel mezzo di aree coltivate.

Si tratta di una presenza spesso inosservata ma parte integrante del paesaggio urbano palermitano. Le torri d’acqua sono testimonianza storica sopravvissuta alle trasformazioni radicali dello sviluppo cittadino e raccontano una secolare cultura dei sistemi di irrigazione e della gestione dell’acqua – un bene prezioso, oggi come in passato – le cui origini risalgono alla dominazione araba e giungono almeno sino agli inizi del secolo scorso.

Torre d’acqua di Piazza Sette Fate (Wikipedia)

Come funzionavano

Le torri d’acqua sono costruzioni di mattoni strette ed alte: delle torri, appunto, basate sul principio dei vasi comunicanti. L’acqua, proveniente da sorgenti presenti a una certa altitudine, arrivava sotterraneamente fino in cima a queste torri di raccolta, progettate per garantire una certa pressione dovuta alla stessa altezza rispetto alla sorgente, lontana chilometri. Ingegneria d’altri tempi, geniale ed efficace.

L’acqua veniva raccolta in dei contenitori all’interno della torre, vere e proprie vasche, a loro volta collegate con altre tubature che raggiungevano i castelletti secondari, questi invece adiacenti agli edifici da rifornire. Il flusso dell’acqua, successivamente all’interno delle tubature, scorreva ancora forte, quasi al livello di quella che definiamo acqua corrente.

Un sistema di tubi d’argilla, a seconda della dimensione, permetteva il calcolo del volume dell’acqua e di conseguenza la quantità oggetto del consumo e il relativo costo da pagare ai gestori proprietari degli impianti (l’acqua, come è prevedibile, non è stata mai gratis!).

La fine delle torri d’acqua 

L’abbandono del sistema secolare delle torri d’acqua a Palermo – e quindi il disuso delle strutture che svettano in città – fu dovuto a problematiche di igiene. I materiali delle condutture permettevano la contaminazione con ben altri passaggi idrici, quelli dedicati ai pozzi neri. Le giunture, inoltre, non erano esenti da infiltrazioni vegetali che, nel tempo, finivano per rendere l’acqua insalubre, anche se per molti anni è stata utilizzata per i più svariati usi domestici e personali. Nel 1914, il sistema delle torri d’acqua venne definitivamente abolito in favore di impianti idrici più avanzati, con materiali più sicuri e, soprattutto, dotati di una meccanica differente.

Le poche decine di torri d’acqua non rendono giustizia della diffusione, un tempo, capillare di queste strutture verticali sul territorio palermitano, dal Cruillas a Ciaculli, da Baida all’Acquasanta, passando per la parte antica della città, quella circoscritta dalle storiche mura di Palermo

L’affascinante skyline palermitano contraddistinto dalla presenza di decine e decine di torri dal XVIII secolo sino agli inizi di quello scorso, quando il nuovo acquedotto di Scillato fu inaugurato (nel 1893), cambiò per sempre con l’abbandono della tradizionale distribuzione dell’acqua secondo il sistema a caduta.

Cosa è sopravvissuto 

Le torri d’acqua rimaste, a una più attenta osservazione, presentano una sezione trapezoidale o rettangolare, sono munite di scalette esterne in ferro, appaiono come veri e propri sbilenchi “obelischi”, talvolta ridotti a ruderi condannati alla solitudine, alle intemperie, e ancora oggi di nessun apporto estetico, data la loro configurazione iperessenziale – dovuta alla semplice funzione di raccoglitori di acque – priva di ornamenti e decorazioni. 

Alcune eccezioni sono rappresentate dalla torre di piazzetta Sette Fate, di fronte Santa Chiara, dotata di un coronamento merlato e, sui due lati principali, ornata da una sequenza verticale di archi a sesto acuto. Altri merli si trovano sulla sommità della torre in piazza Malaspina, mentre quella del Cortile delle Officine si mostra con l’aspetto “pesante” di un castelletto medievale. Altra storia è quella della torre di via degli Angelini, proprio accanto alla Villa Whitaker, sulla cui sommità sfoggia una decorazione studiata sui motivi della architettura islamica, a dimostrazione di un impegno architettonico non indifferente oltre alla classica costruzione funzionale delle torri d’acqua.

Torre d’acqua in via dei Quartieri

Menzione speciale per l’originalità va alla torre di via dei Quartieri, nel quartiere San Lorenzo, che risulta oggi intonacata in bianco, un faro senza mare né coste da segnalare “poggiato” nel cuore di una borgata agricola, al centro della Conca d’Oro, area drammaticamente travolta dalla speculazione edilizia confinante con il parco della Favorita.


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