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Inflazione, stime aggiornate e azioni di politica monetaria

Alla luce delle ultime stime fornite dalla BCE, analizziamo insieme il fenomeno inflazionistico e le scelte di politica monetaria adottate.


Gli economisti di tutto il mondo, nel secondo semestre del 2021, si erano divisi tra il Team transitory – che sosteneva che si stesse assistendo a un fenomeno temporaneo destinato a svanire nel breve termine – e il “Team persistent – che sosteneva l’ipotesi opposta. I primi 9 mesi del 2022, purtroppo, danno ragione al team Team persistent.

L’Eurostat ha diffuso il dato finale sull’andamento dei prezzi al consumo in area euro a settembre 2022. L’inflazione ha registrato nell’area euro un incremento annuale del +9,9 per cento, rispetto al +9,1 per cento di agosto e al +3,4 per cento dello stesso mese del 2021. 

Gli shock che stanno alimentando l’aumento dell’inflazione non permettono una soluzione “accademica” al problema, in quanto se da un lato hanno limitato l’offerta a livello mondiale, dall’altro hanno anche determinato una ricomposizione della domanda e generato un’ampia e persistente risposta inflazionistica. Gli shock a cui ci riferiamo sono ovviamente la pandemia e il conflitto russo-ucraino ancora in corso.

Rispetto al primo shock, la pandemia, il rafforzamento reciproco delle strozzature dal lato dell’offerta e l’incremento generale dei prezzi hanno portato le imprese, in reazione al rischio di approvvigionamento, ad accrescere e anticipare gli ordini. Questi comportamenti hanno finito per alimentare il cosiddetto “bullwhip effect” che ha comportato rincari lungo la catena di formazione dei prezzi.

Al contempo, se da un lato la politica monetaria e le politiche di bilancio adottate per contrastare la pandemia hanno salvaguardato i redditi nominali sostenendo quindi una rapida ripresa della domanda, dall’altro una maggior variabilità dei consumi − 10 volte superiore per beni durevoli e quasi 30 volte maggiore per i servizi rispetto ai due decenni precedenti − alimentata dalla tenuta dei redditi ha finito per innescare ampi spostamenti della domanda fra settori, dando impulso a fenomeni inflazionistici in modo generalizzato sia nei beni industriali sia nei servizi.

Quanto appena delineato trova riscontro nelle voci comprese nel paniere di riferimento dell’inflazione di fondo: circa il 75 per cento delle voci registra tassi di incremento dei prezzi superiori al 2 per cento.

Rispetto al secondo shock, il conflitto russo-ucraino, questo ha determinato un significativo incremento dei prezzi dei beni energetici rispettivamente del 105 e del 75 per cento rispetto a quanto registrato nel 2022, fino al giorno prima dell’annuncio dell’ingresso delle truppe di Mosca in Ucraina – ossia rispetto ai livelli medi registrati tra il 1° gennaio 2022 e il 23 febbraio 2022 – e di circa il 650 e il 450 per cento dalla prima metà del 2021.

L’incremento delle quotazioni dei beni energetici ha contribuito direttamente all’aumento del tasso di inflazione complessiva dall’inizio del 2022 (circa il 30 per cento) e indirettamente ha favorito l’accrescimento generalizzato delle pressioni sui prezzi. Gli effetti indiretti dei rincari dell’energia, secondo i modelli utilizzati dalle banche centrali nazionali, contribuiscono attualmente per circa un terzo all’inflazione di fondo.

Le stime della BCE

L’incremento delle quotazioni dei beni energetici ha giocato un ruolo cruciale anche negli errori di previsione fatti dalla BCE sul tema inflazione. Infatti, come riportato nel Bollettino economico Bce, n. 3 – 2022, «[…] le proiezioni elaborate dagli esperti dell’Eurosistema e della BCE hanno notevolmente sottostimato il forte rialzo dell’inflazione che si è verificato, in ampia misura, per via di circostanze eccezionali, quali dinamiche dei prezzi dei beni energetici senza precedenti e strozzature dal lato dell’offerta.

Le proiezioni per l’inflazione complessiva misurata sullo IAPC per il 2020 si sono rivelate piuttosto accurate, nonostante l’insorgere della pandemia di coronavirus (COVID-19). Nel primo trimestre del 2021, tuttavia, hanno iniziato a verificarsi episodi di stima per difetto, fenomeno che è andato accentuandosi dal terzo trimestre del 2021 in poi. La sottostima dell’inflazione per il primo trimestre del 2022 ha rappresentato l’errore a un trimestre più rilevante mai registrato sin dalle prime proiezioni formulate dagli esperti nel 1998, con uno scarto di 2,0 punti percentuali tra il dato rilevato e la proiezione di dicembre 2021 […]».

Come si può evincere dalle analisi rappresentate all’interno del Bollettino economico Bce, n. 6 – 2022, gli esperti hanno rivisto in significativo rialzo le proprie stime rispetto a quelle fornite nel Bollettino economico Bce, n. 4 – 2022 (le “precedenti stime”).

Nello specifico, le nuove proiezioni macroeconomiche formulate dagli esperti prevedono, in media, un tasso annuo di inflazione del 8,1 per cento nel 2022 (+1,3 per cento rispetto alle precedenti stime), che si ridurrebbe al 5,5 per cento nel 2023 (+2,0 per cento rispetto alle precedenti stime) e al 2,3 per cento nel 2024 (+0,2 per cento rispetto alle precedenti stime). Stante queste stime, alla fine dell’orizzonte di analisi, l’inflazione si attesterebbe al di sopra dell’obiettivo del 2 per cento.

Volendo scendere a un livello più granulare dell’analisi, valutando l’andamento dell’inflazione al netto dei beni energetici e alimentari, si prevede, in media, un tasso annuo di inflazione del 3,9 per cento nel 2022 (+0,6 per cento rispetto alle precedenti stime), che si ridurrebbe al 3,4 per cento nel 2023 (+0,6 per cento rispetto alle precedenti stime) e al 2,3 per cento nel 2024 (stabile rispetto alle precedenti stime). Secondo la BCE «[…] la maggior parte delle misure delle aspettative di inflazione a più lungo termine si colloca attualmente intorno al 2 per cento, sebbene le recenti revisioni di alcuni indicatori al di sopra dell’obiettivo richiedano un continuo monitoraggio […]».

Tali stime rappresentano un considerevole rallentamento della crescita nell’area dell’euro, con l’economia che dovrebbe ristagnare nel prosieguo dell’anno e nel primo trimestre del 2023. A tale peggioramento del quadro macroeconomico contribuiscono il perdurare di quotazioni dell’energia molto elevate che limitano il potere di acquisto dei redditi delle famiglie e, seppur in attenuazione, la presenza di significative strozzature dal lato dell’offerta continuano a frenare l’attività economica. 

Tali prospettive si riflettono nelle ultime proiezioni per la crescita economica formulate dagli esperti, alla luce delle quali ci si attende che la crescita del PIL in termini reali si collochi in media d’anno al 3,1 per cento nel 2022 (+0,3 per cento rispetto alle precedenti stime), allo 0,9 per cento nel 2023 (-1,2 per cento rispetto alle precedenti stime) e all’1,9 per cento nel 2024 (-0,2 per cento rispetto alle precedenti stime). 

Tali proiezioni, rispetto alle precedenti stime, sono state riviste al rialzo per il 2022, in quanto i dati del primo semestre sono stati migliori rispetto a quanto stimato in precedenza, e al ribasso per il 2023 e il 2024, a causa dell’impatto delle interruzioni nell’offerta di energia, dell’aumento dell’inflazione e del connesso deterioramento del clima di fiducia.

Le decisioni di politica monetaria

«[…] Non permetteremo che questa fase di alta inflazione si trasmetta ai comportamenti economici creando un problema di inflazione persistente. La nostra politica monetaria perseguirà un chiaro obiettivo: assolvere il nostro mandato di stabilità dei prezzi […]». Questo è quanto affermato dalla Presidente Christine Lagarde, nel suo intervento alla Karl Otto Pöhl Lecture, organizzata dalla Frankfurter Gesellschaft für Handel, Industrie und Wissenschaft che si è tenuto lo scorso 20 settembre.

Dopo una fase fortemente attendista nel primo semestre 2022, approccio corroborato da una lettura “transitory” del fenomeno inflazionistico, nel corso delle due ultime riunioni del Consiglio direttivo è stato deciso un innalzamento dei tassi di interesse di riferimento rispettivamente di 0,50 e 0,75 punti base.

Riprendendo le parole della Presidente Lagarde pronunciate a Francoforte: «[…] è il ritmo di innalzamento più rapido della nostra storia e ha inviato un segnale forte riguardo alla nostra determinazione a ricondurre tempestivamente l’inflazione al nostro obiettivo di medio termine. Questo intervento sostanziale ha altresì tenuto conto del livello insolitamente basso dei tassi di interesse e del rischio limitato di una reazione eccessiva all’inizio del ciclo di incrementi […]».

Pertanto, alla luce dell’ultimo rialzo, i tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale si attesteranno rispettivamente al 1,25 per cento, allo 0,75 per cento e all’1,5 per cento.

Appare quindi chiaro come la BCE, in una metamorfosi da colomba in falco, stia cercando in modo fortemente risoluto di far cambiare rotta al carovita. Su eventuali successivi rialzi, la Presidente Lagarde ha affermato che «[…] il ritmo adeguato dei prossimi aumenti sarà deciso di volta in volta a ogni riunione. Come più volte sottolineato, continueremo infatti a essere guidati dai dati in tutti gli scenari. Il livello su cui si collocheranno in ultimo i tassi e l’entità dei nostri interventi dipenderanno dall’evolvere delle prospettive di inflazione man mano che procederemo […]». Come riportato da Milano Finanza, secondo gli economisti di Bloomberg Economics, il rialzo dei tassi procederà fino a marzo 2023, arrivando fino al 2,25 per cento. 

L’aumento dei tassi di interesse di riferimento non è tuttavia l’unico tema caldo nelle agende del Consiglio direttivo. Stante quanto affermato dalla Presidente Lagarde, la BCE ha iniziato a discutere del “Quantitative Tightening“, processo noto anche come “normalizzazione di bilancio” che determina una riduzione delle riserve monetarie attraverso la vendita di titoli di stato (o lasciandoli maturare o rimuovendoli dai suoi saldi di cassa) al fine di ridurre la liquidità presente all’interno dei mercati finanziari.

Di fatto, si tratta di un’operazione simmetricamente opposta a quella del Quantitative Easing, termine che si riferisce alle politiche monetarie adottate dalle banche centrali post grande crisi finanziaria per ampliare il balance sheet, che molto probabilmente ricoprirà un ruolo importante nella politica monetaria della BCE a partire dal 2023.


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