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Cupe previsioni nei dati del Fondo Monetario Internazionale

I dati recenti pubblicati dal Fondo Monetario Internazionale confermano un forte peggioramento per l’economia mondiale nei prossimi mesi.


Il nuovo report del “World Economic Outlook” del Fondo Monetario Internazionale (FMI), intitolato “Cupo e più incerto”, ha impressionato per la dinamica economica di forte rallentamento prevista per il futuro. I rischi per l’economia mondiale rimangono gli stessi previsti da altre Istituzioni internazionali e che avevamo in precedenza affrontato: rischio pandemico, guerra in Ucraina, inflazione. Il quadro complessivo, però, sta radicalmente mutando in peggio, estendendo il periodo di difficoltà e presentando una serie di rischi derivati che potrebbero ulteriormente aggravare il crollo della crescita o, in questo caso, la futura recessione.

Le previsioni sulla crescita del Fondo Monetario Internazionale

Prima di analizzare i tre maggiori rischi per l’economia mondiale, esaminiamo i dati pubblicati per quel che riguarda le previsioni sul Prodotto interno lordo (Pil). A livello mondiale, il Pil crescerà del 3,2% quest’anno e del 2,9% il prossimo, in calo rispetto alle previsioni di aprile dello 0,4% e dello 0,7%. Gli Stati Uniti vedono ridursi il proprio Pil previsto al 2,3% quest’anno e all’1% secco il prossimo, con una contrazione rispetto alle stime precedenti dell’1,4% e dell’1,3%.

La zona euro presenta una contrazione meno marcata nelle stime rispetto agli USA per quest’anno, con un taglio del solo 0,2%, e con una crescita finale prevista del 2,6%. Diversa la previsione per il prossimo anno, con un taglio dell’1,1% e una crescita finale che si fermerà all’1,2%. Fra i Paesi che hanno contribuito a stabilizzare il Pil dell’Eurozona quest’anno vi è l’Italia, che ha presentato una stima in crescita (in controtendenza rispetto alle maggiori economie) dello 0,7%. Anche il nostro Paese, però, vedrà una forte riduzione della crescita prevista il prossimo anno, con un Pil previsto solo allo 0,7%, in linea con quello tedesco, allo 0,8%, e a quello francese, all’1%.

Riduzioni nell’ordine del mezzo punto o del punto percentuale, rispetto alle stime precedenti, vedono le maggiori economie fuori dall’area del dollaro e dell’euro: il Giappone presenta una crescita prevista dell’1,7% sia per il 2022 che per il 2023, in calo, rispettivamente, dello 0,6% e 0,7%; il Regno Unito vedrà una crescita del 3,2% nel 2022 e del solo 0,5% nel 2023, con una riduzione della stima dello 0,5% e 0,7%; il Canada crescerà del 3,2% quest’anno e dell’1,8% il prossimo, in contrazione dello 0,5% e dell’1%.

Un dato simile a quello europeo è presente nelle maggiori economie mondiali. In particolare, il dato cinese mostra i segni di un deciso rallentamento, con un taglio delle stime dell’1,1% per l’anno in corso e dello 0,5% per il prossimo. Il dato della crescita del 2022 si fermerebbe, quindi, al 3,3%, ben al di sotto del 5% indicato come obiettivo di riferimento dalle autorità di Pechino. L’India mantiene proiezioni di crescita buone al 7,4% quest’anno e al 6,1% il prossimo, in calo dello 0,8% per ciascun anno.

La pandemia

Tornando ai rischi in corso per l’economia mondiale individuati dal Fondo Monetario Internazionale, uno dei maggiori è rappresentato dalla pandemia: un rischio non solo futuro, in prospettiva autunnale, ma attuale. Questo rischio è particolarmente importante per la Cina che ha sempre combattuto il diffondersi dei casi con strettissime politiche di lockdown. Purtroppo, il virus ha ripreso a diffondersi e il Paese asiatico ha reagito: notizia confermata dai media principali è la chiusura della città di Wuhan dopo la comparsa di quattro positivi e il contagio che, purtroppo, si sta diffondendo in altre aree.

La politica di “zero-covid” ha un forte impatto a livello economico: i dati succitati dimostrano come l’economia cinese sia in forte rallentamento; inoltre, il blocco delle attività economiche sta portando molte compagnie ad abbandonare il Paese, rilocalizzando produzioni intermedie, per accorciare la catena di fornitura delle merci minacciata anche dalla logistica ingolfata.

A peggiorare ulteriormente il quadro è la forte sofferenza del settore immobiliare che ha visto diversi giganti cadere, come Evergrande e Shimao. Questa sofferenza influenza direttamente la domanda aggregata cinese, con importanti ricadute anche sulla domanda verso l’estero: quest’ultima si sta riducendo, portando ad un ulteriore deterioramento degli scambi commerciali e della catena di fornitura. 

La guerra in Ucraina

Il conflitto fra Russia e Ucraina, le sanzioni occidentali e le contromisure moscovite hanno un profondo impatto sull’economia mondiale, soprattutto su quella europea. I Paesi europei rischiano, secondo il FMI, un forte rallentamento economico nel caso in cui Mosca sospenda del tutto la fornitura di prodotti energetici, al punto da non poterne escludere una recessione. L’Unione Europea e i suoi Stati membri stanno mettendo in campo ogni tipo di politica per ridurre la dipendenza russa, diversificare le fonti e immagazzinare scorte, ma il tempo stringe.

Un altro profondo impatto diretto della guerra è la crisi alimentare. La Russia, e soprattutto l’Ucraina, sono fra i maggiori esportatori di cereali al mondo e la guerra ha quasi bloccato del tutto l’export di questi prodotti. Se l’export di questi beni non venisse riavviato, molti Paesi – e, in particolare molti Paesi africani, dipendenti dall’importazione cerealicola – potrebbero soffrire dal probabile innalzamento dei prezzi, peraltro già iniziato, dei beni alimentari con conseguenze sulla vita e sulla stabilità politica e sociale di intere aree geografiche.

I recenti accordi sulla vendita dei cereali siglati fra gli Stati belligeranti e alcuni garanti (Turchia e Nazioni Unite) potrebbero risolvere parte di questi problemi, anche se, allo stato attuale, solo un cargo è sinora salpato.

(Foto: Reuters – Umit Bektas

L’inflazione

La dinamica dei prezzi sta continuando la sua corsa a livello globale, costringendo le autorità monetarie a politiche sempre più drastiche per riprenderne il controllo. Il dato dell’inflazione a livello globale è in crescita rispetto a quanto previsto ad aprile, passando dal 6,9% all’8,3% per il 2022. Il dato è trainato soprattutto dall’accelerazione avvenuta nelle economie avanzate, che hanno visto un peggioramento delle previsioni dal 4,8% di aprile al 6,3% per il 2022. 

Il problema, secondo il Fondo Monetario Internazionale, è che le politiche per imbrigliare l’inflazione avranno un costo in termini di crescita, rallentandola ulteriormente o portandola in recessione. L’aumento repentino dei tassi d’interesse, spesso effettuato in misura maggiore di quanto atteso dagli analisti, sconterà un prezzo sui mercati finanziari nei termini di un peggioramento nell’offerta di credito. Questo potrebbe portare a un deterioramento del credito in mano agli intermediari finanziari, con un impatto sui rischi e sui bilanci. La stretta creditizia porterà, in ogni caso, a una riduzione della domanda aggregata con effetti sulla crescita. 

Le misure potrebbero anche non bastare. Il deterioramento del potere d’acquisto delle famiglie spingerà a cercare di aumentare i salari per compensare le perdite dell’inflazione. Quello che potrebbe innescarsi è una dinamica prezzi-salari che sarebbe complicato e molto costoso risolvere.

Questa dinamica è evidente negli Stati Uniti, dove il traino dell’inflazione non è riconducibile alle sole fiammate energetiche, ma è meno visibile, al momento, nel continente europeo in cui l’inflazione è un fenomeno quasi del tutto esogeno. Una politica di tassi d’interesse aggressiva, accompagnata da salari stagnanti e da un mercato finanziario fortemente deteriorato, potrebbero rappresentare un forte rischio per la stabilità dell’Eurozona.

Sarebbe più saggio nel continente europeo porre in essere misure atte a limitare l’inflazione dei beni alimentari ed energetici (forse anche in quest’ottica poteva leggersi la pressione del dimissionario Governo italiano che tanto insisteva su un tetto al prezzo dei prodotti energetici), più che strette monetarie generali che «stanno già contribuendo a divergenze nei tassi dei prestiti e a preoccupazioni riguardo il rischio della “frammentazione finanziaria” nell’area dell’euro, che può potenzialmente compromettere la trasmissione della politica monetaria».

Infine, l’aumento dei tassi d’interesse potrebbe creare ulteriori problemi per i Paesi in via di sviluppo e poveri, innescando una fuga di capitali verso la stabilità e la sicurezza dei titoli di debito sovrano occidentali, con conseguenze sulla finanza pubblica e sui fondamentali di quei Paesi.

Le previsioni di Eurostat e Dipartimento per il Commercio Statunitense

Le previsioni del Fondo Monetario Internazionale sono state in parte già corroborate dai dati di recente emissione dell’Eurostat e del Dipartimento per il Commercio americano sulla crescita nel secondo trimestre dell’anno. Il Dipartimento per il Commercio ha indicato un calo del Pil dello 0,9% nel secondo trimestre che, se fosse confermato dai dati più affinati in uscita a fine agosto, porterebbe gli USA ad una “recessione tecnica” (per “recessione tecnica” si intende una contrazione del Pil per due trimestri consecutivi) dopo il calo dell’1,6% del primo trimestre.

La “recessione tecnica” è determinata in larga misura dall’aggressività della Federal Reserve nei confronti dell’inflazione, che ha visto aumentare i tassi fino al 2,5% attuale nell’arco di pochissimo tempo. 

Anche i dati di Eurostat sulla crescita nel secondo trimestre del 2022, rispetto al trimestre precedente e su base annuale, indicano un rallentamento della crescita in Europa, seppure meno marcata delle attese. A livello europeo diventa evidente una discreta divaricazione fra l’andamento dei Paesi più vicini alla Germania e le altre economie: i primi mostrano un andamento in forte rallentamento, il dato tedesco nel secondo trimestre rispetto al primo trimestre di quest’anno non mostra variazioni, è stagnante; i secondi mostrano un andamento più vivace, con una crescita che va dal mezzo punto francese, al punto italiano e, addirittura, supera il punto in Spagna rispetto al primo trimestre del 2022.

Questo probabilmente mette in luce le difficoltà che l’economia tedesca, fortemente dipendente dalle forniture di gas russe, sta mostrando a causa dell’instabile approvvigionamento energetico. 

In conclusione, il quadro economico mondiale volge effettivamente al cupo, come indicato dal Fondo e dalle altre Istituzioni internazionali. I Governi e le Autorità di politica monetaria hanno margini stretti di azione determinati dal porre in essere misure per limitare l’inflazione, in continua crescita come confermato anche dal dato flash dell’Eurostat, senza stressare eccessivamente l’economia, innescando una recessione.

Peraltro, le azioni intraprese potrebbero non bastare: se si guarda alla situazione europea, il blocco delle forniture energetiche russe potrebbe infiammare ulteriormente l’inflazione senza che la BCE possa intervenire se non secondariamente, in modo poco efficiente, attraverso i tassi d’interesse, con danno della crescita. 

Il problema non è di poco conto perché dall’andamento economico dipende la tenuta sociale del quadro europeo e mondiale: la difficoltà nella fornitura di cereali a basso prezzo in Africa potrebbe innescare una forte migrazione verso l’Europa, con ricadute sul probabile radicalizzarsi delle posizioni anti-immigrazione; una forte inflazione sui salari europei, già in atto e non contrastata da misure opposte, potrebbe spingere una buona parte del ceto medio-basso verso la soglia di povertà. L’Europa e l’Africa potrebbero trasformarsi in una polveriera.

(Foto di Copertina: Johannes P. Christo/Reuters)


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