Dossier Ucraina, non solo sanzioni

G7 e B9 sono gli ultimissimi atti dell’intensa attività diplomatica che gli Alleati stanno accompagnando alla rischiosissima postura russa intorno all’Ucraina. Ma oltre alla diplomazia, questa volta, c’è qualcosa in più.


G7 e B9 non sono coordinate di battaglia navale, ma le sigle dell’ultim’ora coinvolte in prima linea nella faccenda ucraina, all’indomani dell’allarme lanciato dall’intelligence americana riguardo l’accumulamento di truppe russe attorno al territorio ucraino. Infatti, se il Presidente USA Joe Biden ha aperto le danze con il summit telefonico con l’omologo russo Vladimir Putin, dopo l’incontro virtuale Biden si è precipitato a consultare le altre capitali, Kyiv in primis, per coordinare la risposta all’eventuale invasione russa in Ucraina. 

Conclusosi nel pomeriggio di domenica, il G7 di Liverpool ha prodotto un comunicato con il quale i ministri degli esteri di Berlino, Londra, Ottawa, Parigi, Roma, Tokyo, Washington – insieme con l’alto rappresentante UE – hanno espresso una posizione netta e congiunta.

Riconfermato il sostegno al “Formato Normandia” nel perseguire l’attuazione degli “Accordi di Minsk”, alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina. Chiarito che la Russia “non deve aver dubbi” sulla gravità delle conseguenze che seguirebbero un’ulteriore aggressione militare nei confronti dell’Ucraina, che viene invece lodata per la sua “continenza”.

Il 9 dicembre, invece, il B9 – il colloquio con Bulgaria, Romania, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia. I Paesi che costituiscono il fianco orientale della NATO. Da un lato Biden, che ha sottolineato la dedizione degli USA alla sicurezza transatlantica e ha definito “sacro” l’articolo 5 (la mutua difesa degli Alleati in caso di attacco esterno); dall’altro i leader europei, che hanno discusso della necessità di una risposta “unita, pronta e risoluta” da parte della NATO al destabilizzante rafforzamento militare russo lungo il confine ucraino.

G7 e B9, dunque, sono gli ultimissimi atti dell’intensa attività diplomatica che gli Alleati stanno accompagnando alla rischiosissima postura russa intorno all’Ucraina. Ma oltre alla diplomazia, questa volta, c’è qualcosa in più.

La Russia, per dar forza alle proprie richieste (no allargamento NATO a Est, principalmente), può avvalersi di altre modalità, ha detto Biden a Putin durante il loro colloquio telefonico: la de-escalation e la diplomazia. Ma in caso di intervento militare, la prima risposta consisterebbe nell’applicazione di un pacchetto di durissime sanzioni economiche, e, se ciò non bastasse, in “ulteriori misure”. Quali?

La CNN riporta essere arrivata giovedì la prima tranche del pacchetto di aiuti militari approvati da Biden durante la visita del presidente ucraino Zelensky alla Casa Bianca lo scorso 1° settembre. Armi leggere, ma anche dei costosi Javelin anticarro sotto l’albero di Natale, mentre quattro counter mortar radars sono attesi, forse, nella calza della Befana o, al più, dentro l’uovo di Pasqua. Inoltre, la promessa di aumentare il dispiegamento di forze USA nei B9, come la Polonia già da tempo richiedeva. 

Una concretezza inusitata. In Europa ci siamo abituati in troppe occasioni a vedere gravissime violazioni venire osteggiate solo per mezzo di semplici parole, e/o con le famigerate e discusse “sanzioni”. Come mai in questo caso c’è di più – ci sono i Javelin, ci sono i radar, ci sono promesse di disposizioni di truppe e “talks of war”?

L’ipotesi più inquietante è che, anche se riportasse la guerra nel cuore d’Europa, così come fece nel 2014 annettendo la Crimea, le sanzioni alla Russia noi (l’UE) non potremmo più permettercele.

Forse perché escludere la Federazione Russa dall’interoperabilità del circuito SWIFT  è infattibile. E perché, adesso più che mai, dopo il completamento del Nord Stream 2, la dipendenza energetica dell’Europa dalla Russia è un fait accompli, difficilmente reversibile. Nonostante i molti e insistenti i warning americani, ci siamo messi in questa situazione di debolezza. 

Chi parla di dominio USA sul continente europeo è smentito dai fatti, quelli per cui il braccio di ferro non pubblicizzato con la Berlino di Merkel ha visto di fatto la sconfitta rassegnata di Washington, complice il quasi silenzio di attori di peso che nell’operazione del NS2 non hanno nulla da guadagnare. Roma in primis. 

Anzichè pretendere di guidare la partita energetica europea diventando dealer del gas da sud-est, Roma ha dimostrato la consueta passività, lasciandosi sottrarre non solo quest’occasione economica, ma quella storica di riaffermare in maniera tangibile il proprio peso all’interno dell’Europa, nonché quella di aiutare i partner dell’Est nella loro continua lotta con un vicino impossibile. 

Il nuovo esecutivo comincia appena a prendere servizio a Berlino, ma la ministra degli esteri  Annalena Baerbock è già sotto pressione per bloccare l’utilizzo del nuovo gasdotto. Nonostante il vecchio governo, con le sue eminenze grigie legate al petrolio russo (Schroeder, ex cancelliere, definito dal dissidente Navalny “il garzone di Putin”) sia ormai in pensione, sarà mai possibile lasciare la sua eredità infrastrutturale a riempirsi di alghe sommersa dalle fredde acque del Mar Baltico?

Naturalmente, aldilà di questo, la situazione appare oggettivamente allarmante. Era aprile, quando il primo allarme ha scosso dal torpore i leader europei, con la Russia che aveva raccolto più di centomila uomini fra la penisola di Crimea e il resto dei territori confinanti con l’Ucraina. L’annunciato ritiro delle forze entro il 1° maggio non si è mai verificato appieno, e gli equipaggiamenti sarebbero comunque dovuti rimanere lì, “in vista di Zapad 2021”, l’esercitazione congiunta con Minsk. Terminata anche Zapad, (quasi) nessun ritiro.

Adesso, la foto declassificata ottenuta dal Washington Post mostra come, dove c’erano siti vuoti, ci sono gruppi tattici e carri armati.

Nello stesso periodo del primo accumulamento di truppe, la Russia imponeva un blocco navale intorno il mare della Crimea. Adesso, venerdì scorso, l’intercettazione di una nave ucraina che stava compiendo esercitazioni vicino allo stretto di Kerch. Forze di terra a Nord e nord est, forze di terra a sud est in Crimea. Controllo ossessivo dai mari, fin dove si può. 

La Russia nega però qualsiasi intento bellicoso. Infatti, il movimento della nave ucraina “Donbass” nel mare ucraino costituisce per Mosca una “chiara provocazione”, mentre l’aver accumulato truppe e armamenti tutt’intorno ai confini ucraini è per il Cremlino un legittimo movimento all’interno del proprio territorio e non dovrebbe allarmare proprio nessuno. 

Il ministro degli esteri ucraino, scrivendo su “Foreign Affairs”, ha invitato l’Occidente a non cedere al ricatto di Putin e a non porre alcuna speranza di efficacia nell’appeasement. In sostanza, di non assecondare la pretesa di imporre le famose “linee rosse” da non valicare, proposte unilateralmente dal Cremlino, fra le quali il divieto di accogliere nella NATO Ucraina e Georgia. Come se ciò che riguarda l’Alleanza Atlantica, Kyiv, Tbilisi, debba essere deciso da Mosca.

Si può fare un paragone con la puericultura: un bambino aggressivo che batte i piedi imponendo i propri capricci alla famiglia. Se i genitori, magari per sfinimento, ne assecondassero le prevaricazioni, egli saprebbe che è così che si ottiene ciò che si desidera. Altrimenti, c’è un famoso libro “i no che aiutano a crescere”, che spiega come il saper porre un argine a pretese e bizze ostinate aiuti il bambino nello sviluppo di una personalità armoniosa. E faccia bene a tutta la famiglia. 

Certo, perché il dialogo con la Russia si potrebbe avere, ma solo dopo aver messo in chiaro le regole del gioco e avere ottenuto da questa parte della scacchiera “le garanzie concrete” di cui la Russia parla. Essersi assicurati che la Russia non possa, e soprattutto non voglia, proseguire con una politica di aggressione, indebolimento e strangolamento di Paesi legittimamente sovrani sul proprio territorio, e smetta di considerare nazioni come la Georgia o l’Ucraina, o i Paesi Baltici, proprietà privata, schermandosi con l’assurdo concetto di accerchiamento che viene tragicamente ripetuto dai tempi degli zar, e ancor oggi da taluni analisti.

È forse questa l’occasione per vedere un cambio di rotta negli affari transatlantici, e scoprire se una Russia contrastata può diventare una Russia con cui dialogare, sperando che per ottenere ciò non si debba aggiungere sangue alla carneficina in Ucraina che ad oggi ha già mietuto troppe vittime


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