Serie tv e cinema, sempre più le rappresentanze LGBT

Negli ultimi trent’anni si è assistito a un incremento delle rappresentanze LGBT in serie tv e produzioni cinematografiche, segno di sensibilità e apertura su uno dei temi più discussi degli ultimi anni.


«La Viola è un pesce e lo ha voluto Dio. Quando è maschio si chiama Minchia di Re. Per amore diventa femmina e ha i colori del fiore. Torna di nuovo maschio dopo che l’acqua si è presa le sue uova». È da qui che parte la storia di Angela e Sara, trattata nel film Viola di mare, tratto dal romanzo Minchia di Re di Giacomo Pilati.

Durante lo sbarco dei Mille in Sicilia nel 1860, due donne provano un amore folle e profondo come la natura siciliana che fa da sfondo alla loro storia travagliata. In quegli anni il lesbismo viene visto dalla popolazione del luogo come un vero e proprio disonore e per poter sfuggire all’ira delle folle sarà proprio la famiglia di Angela a obbligarla a rasarsi e vestirsi da maschio per poter nascondere la perversione di cui credevano la figlia fosse affetta. E così, pur di poter amare in semilibertà la sua Sara, Angela si fingerà per il resto della sua vita un uomo e rientrerà nei canoni che la società del tempo imponeva. 

Ad oggi è ancora nebulosa la conoscenza riguardo l’identità di genere e l’orientamento sessuale, soprattutto rispetto alle enormi ed evidenti differenze tra queste ultime. Angela aveva un orientamento sessuale definitivo omosessuale; ciò non significa necessariamente che l’identità di genere di Angela dovesse essere quella maschile. Angela era una donna che amava una donna, una lesbica. Non desiderava in alcun modo rinunciare alla propria identità di genere, trasformarsi in un uomo pur di poter far valere parzialmente il suo orientamento sessuale

Il film, girato tra San Vito Lo Capo, Trapani e l’isola di Favignana mostra uno spaccato di una società che dopo più di 150 anni non sembra esser cambiata come avrebbe dovuto. Mostra, inoltre, come le tematiche LGBT siano sempre state attuali nei secoli. 

Questioni LGBT ancora vittime della politica

Non solo i film, tuttavia, ad oggi sono bersaglio delle critiche sul politically correct. Di pochi giorni fa la notizia dell’inchiesta UEFA che ha visto il portiere della nazionale tedesca Manuel Neuer al centro delle polemiche per aver indossato la fascia da capitano con i colori della bandiera arcobaleno

“Lo sport non può essere teatro di scontro politico”, il parere di molti personaggi noti sulla questione. La particolarità, tuttavia, risiede nel concetto stesso di politica. I diritti umani, più nello specifico quelli della non minoranza LGBT, non sono e non dovrebbero essere catalogati come una questione politica, ma culturale. 

La politica, gli Stati, le leggi non dovrebbero essere il teatro di scontro di un argomento che non dovrebbe essere osteggiato. Il diritto ad amare, a esser definiti famiglia e il diritto all’inclusione che preclude l’essere osteggiati perché considerati “diversi”, non dovrebbero più essere argomento di dibattito. Lo Stato per sua natura è laico e non dovrebbe subire ingerenze giuridiche da qualsivoglia parte o fazione o credo religioso. A farne le spese, ad oggi, sono i diritti inalienabili su cui si basa l’esistenza dell’essere umano e ciò non può e non dovrebbe toccare o sminuire attori, attrici, produttori di serie tv o film.

La cultura e le normalità vanno raccontate

Il politically correct negli ultimi anni ha assunto sfaccettature variegate ed è stato erto a bandiera di fazioni sempre diverse. La cultura andrebbe conosciuta, condivisa e foraggiata, mai osteggiata. Molti, invece, auspicano una minore presenza di coppie LGBT nelle serie tv adducendo la scusante del “prima non vi erano così tante coppie e non si ostentavano così tanti rapporti omosessuali in tv”. 

Chi ha dimenticato il famoso Queer as folk che nel 2001 portava in scena numerose coppie omosessuali o L word teatro di un mondo fatato in cui coppie lesbiche, queer, transgender la facevano da padrona nella soleggiata California dei primi anni 2000? Le avventure travagliate della coppia Bette e Tina che non solo vivevano il loro amore lesbico, ma crescevano una figlia insieme. 

Nei primi anni Duemila l’America portava così in scena l’inseminazione artificiale delle TiBette, la vita travagliata della sciupafemmine Shane, la brillante carriera da giornalista della bisessuale Alice (la principale colpevole del grafico che mostrava quanto una lesbica che conosce un’altra lesbica o bisessuale avrà per forza in comune qualche ex o qualche amica), la donna che scopre la sua omosessualità in età adulta (Jennifer “Jenny” Schecter) o addirittura il transgender Max, prima Moira.

Reale, diretto e dinamico il mondo di Queer as Folk porta in scena, sia nella sua versione americana che inglese, la vita, le situazioni, i sentimenti, l’ambiente, la sessualità gay senza inutili pruderie o deformazioni. Un mondo che sveste i paraocchi di una società ignorante per mostrare la normalità.

E ancora, sempre negli anni Duemila, precisamente nel 2006, fanno capolino le Calzona (Calliope Torres e Arizona Robbins) in Grey’s Anatomy, coppia omosessuale che si fidanza, si sposa e cresce anche una bambina. Nonostante la triste fine di una delle coppie più amate del panorama queer internazionale, ciò che Calliope Torres ed Arizona Robbins hanno portato in scena è la normalità di una relazione che attraversa momenti felici, adulteri, psicoterapie di coppia, nascite, morti, liti e riappacificazioni. Il tutto nella normalità di una Seattle che nonostante la carneficina di Shonda lascia il segno in ogni buon serialista che si rispetti.

Prodotta dal “genio del male” Shonda Rhimes  e creata da Peter Nowalk anche l’indimenticabile How to get away with Murder (in italiano “Le regole del delitto perfetto”) che fa scendere in campo un’avvocata afroamericana e bisessuale che tra mille peripezie mostra quali siano le regole del delitto perfetto. 

Al suo fianco, Connor e Oliver, un brillante avvocato e un informatico, portano in scena una relazione omosessuale ancora diversa da quelle viste in precedenza. Tra loro non mancano le scene esplicite di sesso e non si ha nessuna remora nel parlare apertamente delle preferenze sessuali dell’uno o dell’altro compagno. La naturalezza con cui non solo la relazione, ma anche il sesso gay, vengono portati in scena rende questo telefilm tra i più apprezzati dal pubblico televisivo.

Quanto il piccolo e il grande schermo hanno mostrato sensibilità?

Negli anni sono innumerevoli le serie tv che hanno parlato e raccontato l’amore omosessuale e chi è cresciuto con le “magiche” avventure di Dawson nell’omonimo Dawson’s Creek ricorderà sicuramente la timida e impacciata storia d’amore di Jack McPhee. Era il 1998 e la maggior parte della popolazione italiana sognava la casa del Mulino Bianco, o per meglio dire una casa da Settimo Cielo.

Il coming out di Jack nella serie tv cult di fine anni ’90 è stato – e forse è ancora oggi – il più significativo per la comunità LGBT. Il piccolo schermo si è tinto di tutti i colori dell’arcobaleno con le tinte fosche della paura della non accettazione che non ha mai smesso di serpeggiare tra i protagonisti della comunità queer.

Innumerevoli sono le serie tv che affrontano le tematiche LGBT nei modi più disparati: l’indimenticabile Jack di Will & Grace, i meravigliosi Mitchell Pritchett e Cameron Tucker in Modern Family, Roger di American Dad, Eric Van Der Woodsen di Gossip Girl, Lito ed Hernando di Sense8, la Dottoressa Remy “Tredici” Hadley in Dr. House, Renly Baratheon in Game of Thrones, Samantha Sanders, la mamma di Steve in Beverly Hills 90210, che mollato il marito portò avanti alcune storie omosessuali.

E ancora, Patty Bouvier nei Simpson col suo brillante coming out davanti Homer e Marge, Moira in The Handmaid’s tale, la cui attrice è anche Poussey in Orange is the new black, Yorkie e Kelly in San Junipero, il forse meno cupo episodio di Black Mirror, Sara Lance in Arrow, la trans Sophia Burset in Orange is the new black, Cosima in Orphan Black, Kim Legaspi in ER, Willow in Buffy l’ammazzavampiri.

Anche il grande schermo ha le sue poiane di riferimento: Pride, i Segreti di Brokeback Mountain, Imagine me & you, Philadelphia con uno spettacolare Tom Hanks nel ruolo di un avvocato gay malato di AIDS che viene ingiustamente licenziato, il pluripremiato The Danish Girl, Carol, Boys don’t cry, The Hours, L’altra metà dell’amore, Loving Annabelle, il chiaccheratissimo La vita di Adele ed infine Bound Torbido inganno

Innumerevoli sono i titoli culturali che nei decenni hanno provato a rendere la comunità LGBT inclusa e non politicizzata. Brillanti le menti di scrittori, sceneggiatori e produttori che hanno affrontato le tematiche queer da punti di vista sempre differenti. 

Onore al merito vanno ai capolavori di Ferzan Ozpetek che offrono un ritratto vivido della società LGBT nei decenni degli anni Duemila. A chi parla dei diritti della comunità LGBT in modo tale che questi divengano un banale turpiloquio da salotto televisivo sarebbe indicato ricordare le parole di Freddie Mercury, il quale in Bohemian Rhapsody cantava: Mama, just killed a man, put a gun against his head, pulled my trigger, now he’s dead, Mama, life had just begun. Nel 2021 occorre che si prema davvero il grilletto del politically correct, si metta fine alla fobia del diverso e si urli: «Mamma, la vita è appena cominciata».


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