Maggio 1860: cosa fu il D-Day di Palermo per la liberazione dai Borboni

L’insurrezione di Palermo del 27 maggio 1860 non è una semplice rivoluzione contro una forza straniera, contro i Borboni: rappresenta la massima ispirazione del popolo siciliano, quella di volersi sottrarre dal giogo delle dominazioni che fino ad allora avevano reso l’Isola dipendente da molteplici conquistatori.


Palermo già nel 1848 aveva provato a ribellarsi contro il regime di Ferdinando II, suscitando ammirazione da tutta l’Europa per questo impulso proprio del popolo siciliano nel pretendere la libertà dalla monarchia spagnola. Tuttavia, la rivolta venne sedata, anche se faticosamente, dalle truppe borboniche. Ci troviamo nel cuore del Risorgimento e questa prima grande rivolta fu la miccia che porterà, non solo la Sicilia ma l’intera Italia, a porre le fondamenta per divenire una nazione unita sotto un’unica bandiera.

Il popolo siciliano, aiutato da volontari mazziniani sbarcati a Palermo e accolti nel convento di Santa Maria degli Angeli, conosciuta come La Gancia, ritornò nuovamente a prendere le armi e a fronteggiare i Borboni

Siamo nel periodo delle “costituzioni concesse” in tutta Europa. Il re Francesco II si trovava in grosse difficoltà nel contenere la seconda ondata rivoluzionaria, a causa dell’aumento del malcontento da parte dei siciliani per i Borboni e gli ultimi anni del loro dominio, ma anche per le enormi difficoltà nel gestire una popolazione che diventava sempre più “pretenziosa” nelle proprie richieste liberali verso il sovrano.

Nel frattempo Garibaldi, che soggiornava a Caprera, ebbe notizia della seconda insurrezione che i  palermitani stavano preparando contro i Borboni e, spinto da Corrao e da Pilo e appoggiato dal Regno di Sardegna, decise di intraprendere la spedizione per dare aiuto ai rivoltosi.

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Garibaldi partì alla testa di circa 1200 volontari, le famose «giubbe rosse», e con i due vaporetti “La lombarda” e “La piemontese”, sbarcarono a Marsala l’11 Maggio 1860. Là trovò altri 500 volontari, chiamati “i picciotti”, pronti a dare un aiuto ai garibaldini.

La battaglia esplose a Calatafimi Segesta, il 15 maggio: Garibaldi dovette fronteggiare le truppe borboniche composte da circa 3000 uomini, guidati dal generale Landi, ma questi ultimi ebbero la peggio e la vittoria spianò la strada alle giubbe rosse verso il cuore di Palermo.

Da qui iniziarono le prime difficoltà per Garibaldi: con soli 900 uomini e qualche sparuta minoranza di volontari doveva affrontare un’armata formata da circa 21.000 uomini al seguito del generale Ferdinando Lanza. Fu necessario chiamare i rinforzi con Rosolino Pilo e Giovanni Corrao, chiedendo loro di attaccare il fianco opposto delle truppe borboniche costringendoli alla ritirata. All’entrata di Monreale, finalmente, i rivoltosi ebbero la meglio.

Le giubbe rosse, nel frattempo, continuavano la loro marcia verso la città di Palermo, e alle due di notte giunsero ad Acqua dei Corsari, e insieme a loro si unirono trenta Cacciatori delle Alpi del maggiore Tukory, fiancheggiati dagli uomini di La Masa. 

I cittadini palermitani, avendo sentito la notizia dell’entrata di Garibaldi in Sicilia, iniziarono a fare festa, facendo sfumare l’attacco a sorpresa che i rivoluzionari avevano preparato nei confronti delle truppe borboniche, e permettendo a questi ultimi di barricarsi a Ponte dell’Ammiraglio e fare fuoco contro gli insorti, scatenando il caos e spingendo diversi insorti a disperdersi lungo i campi.

Ma il maggiore Tukory e La Masa, con i loro uomini, non indietreggiarono al fuoco delle truppe borboniche, e risposero a loro volta mettendo in fuga i soldati borbonici e creando una breccia nelle loro fila, riuscendo così ad attraversare il Ponte della Guadagna.

Quando Garibaldi entrò finalmente a Palermo, intorno alle quattro del mattino, la popolazione, in massa, iniziò ad attaccare le barricate dei Borboni, e in un’ora i rivoltosi occuparono metà della città; a mezzogiorno il generale Lanza diede il comando alla sua guarnigione, che si trovava presso Castello a Mare e Palazzo Reale, di bombardare con i cannoni gli insorti.

Ma le truppe borboniche si dimostrarono impreparati e senza un piano di azione, se non in occasione di alcuni attacchi di ritorsione nei confronti dei cittadini e qualche incendio alle abitazioni. Questo caos sul piano tattico permise ai rivoltosi di avere la meglio.

Anche il medico Gaetano La Loggia, Presidente del Comitato delle barricate, partecipò alla rivolta mentre a capo dell’amministrazione comunale gli insorti nominarono Giulio Benso di Sammartino. In questo modo si rendeva ancora più evidente la liberazione di Palermo dalla mano dei Borboni. Corrao pose il suo quartier generale nel Palazzo Butera e interruppe le comunicazioni tra le truppe borboniche poste a Palazzo Reale e quelle poste nel porto di Palermo.

I borbonici che ancora occupavano il Palazzo reale, a corto di viveri e di munizioni, provarono a sferrare gli ultimi colpi a disposizione contro gli insorti ma, essendo ormai al limite delle forze, il generale Lanza, il 30 maggio, chiese di iniziare le trattative per il cessate il fuoco a Garibaldi

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Alle ore 14 dello stesso giorno Garibaldi incontrò il Generale Letizia a bordo del vascello Hannibal appartenente all’Ammiraglio della Marina Inglese Mundy per stipulare l’accordo e porre fine alle ostilità. I punti dell’armistizio oggetto della pace erano: il libero passaggio a feriti e vettovaglie, la petizione al re per esprimergli i reali bisogni della città, l’applicazione della Costituzione del 1812 approvata dal re Francesco di Borbone. Garibaldi accettò solo il passaggio dei feriti e delle vettovaglie, e rimise alla volontà del popolo la scelta di applicare la Costituzione del 1812. 

Giunto al Palazzo delle Aquile, Garibaldi, dinanzi agli ufficiali borbonici, tenne un discorso al popolo chiedendo a loro di decidere se accettare la Costituzione del 1812 – per Garibaldi una sottomissione ai Borboni – o continuare la rivolta liberandosi dal despota spagnolo. 

Il popolo all’urlo di “Guerra, Guerra!”, spinsero il generale delle giubbe rosse a riprendere le armi, ed espugnare l’ultima roccaforte dei borbonici, il Palazzo Reale, e a porre fine al dominio dei Borboni a Palermo. Da questo momento Garibaldi formò il primo governo dittatoriale, un governo militare di fatto, formato da Crispi e da quattro segretari di Stato. Il 6 giugno venne firmata la Convenzione che stabiliva la libertà di Palermo dalle truppe borboniche.

Dopo la ritirata delle truppe borboniche da Palermo, questi cercarono di recuperare le forze a Messina. Ma le truppe di Garibaldi non si fecero trovare impreparate. Le truppe al comando di Turr, riuscirono a sventare l’attacco delle truppe regie mettendo la parola fine ai tentativi di restaurazione del potentato borbonico.

La vittoria di Garibaldi e delle sue eroiche truppe di rivoltosi, consentì alla Sicilia di ottenere la libertà da ogni dominatore straniero, e pose l’isola della Trinacria ad essere tra le prime Regioni “liberate” a entrare a far parte del nuovo Regno d’Italia ad assumere quel ruolo chiave che portò all’unificazione dell’Italia. Se l’Italia oggi può vantare questa “unità” è soprattutto grazie al coraggio e all’eroismo dimostrato dai cittadini palermitani e siciliani che si batterono affinché l’Italia fosse unita sotto un’unica bandiera.