Death to 2020

Death to 2020, il comedy event di Netflix che saluta l’annus horribilis

Dal 27 dicembre scorso è disponibile su Netflix “Death to 2020”, l’original comedy event nato dalla mente del creatore di Black Mirror, per dire definitivamente addio a questo terribile anno.


«Ecco il racconto definitivo dell’anno più storico della storia, attraverso gli occhi e le menti di chi l’ha vissuto. Questo è… il 2020». Con queste parole si apre l’original comedy event di Netflix Death to 2020, disponibile nella piattaforma dal 27 dicembre.

Un cast eccezionale dà forma all’idea nata dalla geniale mente di Charlie Brooker, creatore di Black Mirror, una delle serie distopiche più inquietanti degli ultimi anni. Brooker vuole dire addio a questo annus horribilis utilizzando la forma del documentario, con tanto di voce narrante, filmati originali e interviste a “esperti”, per dare credibilità a una palese finzione che lo spettatore riconosce sin dalla prima scena; una finzione fatta di personaggi improbabili che annoverano tra le loro qualità più spiccate quella di negare l’evidenza con una semplicità disarmante (da far invidia a Joey Bishop beccato dalla moglie a letto con l’amante ne Una guida per l’uomo sposato), e che risultano spaventosamente vicini alla realtà più di quanto pensiamo.

La casalinga disperata Kathy Flowers (Cristin Milioti) che sostiene di non farsi influenzare dai social, ma non vuole farsi iniettare il vaccino per il Covid-19 perché convinta fermamente che gli abbiano messo dentro un microchip; la cittadina media Gemma Nerrick scelta perché «risultata una delle cinque persone più comuni al mondo» che dopo aver terminato l’intero palinsesto di Netflix durante il primo lockdown, inizia a seguire le elezioni americane come fossero un gioco a premi (il più noioso di sempre, “ci credo che lo fanno ogni quattro anni”); la portavoce ufficiosa dei Conservatori Jeanetta Grace Susan (un’esilarante Lisa Kudrow) protagonista di conversazioni surreali dove afferma sorridente che l’Ucraina non esiste; lo storico Tennyson Foss (Hugh Grant) che cita fonti di sicura attendibilità come Il trono di spade e Star Wars (“Il ritorno dello Jedi”, per la precisione); il disilluso giornalista Dash Bracket (Samuel L. Jackson), reporter del New Yorkerly Times, che fino alla fine sta lì seduto a chiedersi il perché di questo documentario.

E poi ancora, scienziati che fanno il balletto del filo interdentale, psicologi comportamentali che non sanno cosa sia la calma, giovani youtuber che guadagnano milioni di dollari esclamando “Oh!” davanti a un’esplosione, multimilionari egoisti che si rifugiano in bunker: personaggi tanto assurdi quanto verosimili da sembrare assolutamente reali. È quasi come se Brooker ci dicesse: “Ma cosa c’è da inventare, se il mondo è già terrificante così?” (e lo spettatore sa che ha ragione da vendere).

L’eco di Black Mirror è inequivocabile e si sente distintamente: quando Trump viene definito “uomo-maiale in prova” non si può non pensare al primo scioccante episodio della serie distopica creata da Brooker; stessa cosa dicasi per tutti quei riferimenti al mondo di internet, visto nella sua accezione negativa estrema di strumento sviluppato per insinuarsi nella mente delle persone e far credere loro tutto ciò che vedono.

Death to 2020 attraversa la carrellata di eventi nefasti che hanno caratterizzato gli ultimi dodici mesi; non solo Covid-19 dunque, perché il 2020 non ci ha risparmiato proprio nulla: dagli incendi fuori controllo in Australia, passando per il movimento Black lives matter («Quegli agenti non hanno visto George Floyd come un essere umano, ma il resto del mondo sì», dirà il reporter Dash Bracket), senza dimenticare il Primo Ministro spaventapasseri Boris Johnson («Trovare qualcuno meno competente di lui è impossibile, a meno di rimpiazzarlo con un calzino o un palloncino», sono tra le parole più gentili che il professor Foss ha in serbo per lui), la morte del giudice Ruth Ginsburg, Trump che afferma la possibile sconfitta del coronavirus con una cura a base di sole e candeggina, e Biden preso di mira per la sua età avanzata.

Nessuno viene risparmiato in questi 70 minuti di ilarità pungente che svela il lato più tragicomico di questi dodici mesi da incubo in cui “il pianeta ha quasi letteralmente smesso di girare”. Una satira velenosa in pieno stile americano, che non ha l’obiettivo di immaginare un futuro più o meno prossimo – sebbene nelle scene finali ci sia un maldestro tentativo di “portarsi avanti col lavoro” – ma solo di analizzare l’illogicità, le contraddizioni, i controsensi e i paradossi che sono sempre esistiti, ma che il 2020 ha mostrato in modo cristallino e indubbio (e ne avremmo fatto volentieri a meno). 

Quello che è certo, è che il 2021 ha appena iniziato a mostrare il suo potenziale, con l’assalto del 6 gennaio scorso alla sede del Congresso a Capitol Hill da parte di seguaci di Trump travestiti in modo improbabile che portano via arredi, chiedendo giustizia per delle elezioni truccate (di cui ancora si aspettano le prove). Siamo certi che Brooker avrà parecchio materiale su cui lavorare.

Ma è proprio alla fine di questo “documentario”, cercando di esorcizzare la paura del presente, tra le belle frasi infiocchettate di buonismo e ottimismo, tra un “Andrà tutto bene” e un “Ce la faremo”, che arriva la fatidica domanda di rito, scontata quanto lo zio che grida “ambo” a Tombola dopo l’estrazione del primo numero (ma in queste feste anomale ci è mancato persino lui, ammettiamolo): «Cosa hai imparato da questo 2020?».

Dopo aver passato in rassegna le possibili frasi a effetto, dopo aver ammesso a noi stessi che no, non ne siamo usciti migliori per niente, ci metteremo una mano sulla coscienza e daremo l’unica risposta degna di essere presa in considerazione, perché è l’unica che corrisponde a verità: «Ho imparato quanti passi ci sono dal mio divano al mio frigo». Perché in fondo le cose più semplici sono il più delle volte quelle più giuste.


... ...