USA, assalto al Congresso

Il 6 gennaio del 2021 rimarrà nella storia come il giorno dell’assalto al Congresso americano, uno dei momenti più folli e tristi della storia degli Stati Uniti.


Se non l’avessero già fatto in tanti, potremmo esordire con una battuta sul 2020 (“tra i più funesti dei bisesti”) che è appena finito e sul 2021 che è appena iniziato. A giudicare da questi primi giorni, infatti, sembrerebbe che il nuovo anno abbia in serbo molte sorprese, almeno sul fronte della politica estera. Ad ogni modo, il 6 gennaio del 2021 resterà nella storia come il giorno dell’assalto al Congresso, uno dei giorni più folli e tristi della storia degli Stati Uniti. 

Nella giornata di ieri, un gruppo di seguaci dell’ormai “ex presidente” degli Stati Uniti Donald Trump, ha assaltato la sede del Congresso a Capitol Hill. A loro dire, le elezioni presidenziali che hanno assegnato la vittoria a Joe Biden sarebbero truccate e Donald Trump sarebbe il presidente legittimo. D’altronde, lo stesso Trump va denunciando da ben prima delle elezioni di novembre che le elezioni sarebbero truccate, sebbene né lui né i suoi sostenitori all’interno delle istituzioni abbiano portato una prova per giustificare queste affermazioni.

Al termine della lunga notte americana (ore 9 e 40 italiane), il Congresso ha certificato la vittoria di Joe Biden, a poche ore di distanza dal ballottaggio in Georgia (storico fortino dei repubblicani) che ha assegnato la vittoria di entrambi i seggi a due senatori democratici. A nulla, evidentemente, sono serviti gli appelli di Trump e dei suoi sostenitori nei confronti del vice presidente Mike Pence, al quale era stato chiesto di non riconoscere il risultato del voto.

A stretto giro è arrivato l’annuncio di Trump: «Anche se sono in totale disaccordo con il risultato delle elezioni, e i fatti mi danno ragione, ci sarà comunque un passaggio ordinato dei poteri il 20 gennaio. Ho sempre detto che avremmo continuato la nostra battaglia per assicurarci che siano contati solo i voti regolari. Anche se questa è la fine del più grande mandato della storia presidenziale, è solo l’inizio della nostra battaglia per rendere di nuovo grande l’America».

Almeno per il momento, sembra dunque che le istituzioni siano riuscite a bloccare l’esplosione eversiva proveniente dall’estrema destra sostenitrice di Donald Trump e c’è chi chiede la sua rimozione immediata dall’incarico. Il bilancio provvisorio della giornata di ieri è di 4 morti, 52 arresti e decine di agenti feriti. Il sindaco di Washington ha annunciato la prosecuzione del coprifuoco inaugurato ieri per reprimere le proteste fino al 21 gennaio, giorno dell’insediamento ufficiale del nuovo presidente Biden

Le reazioni internazionali a questo folle episodio eversivo hanno tutte più o meno lo stesso colore: dal segretario generale della Nato Stoltenberg alla presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen, dal primo ministro britannico Boris Johnson al presidente del consiglio italiano Giuseppe Conte, tutto l’establishment europeo e occidentale ha fatto eco alle parole di Biden di ieri: «America is so much better than what we’re seeing today» («L’America è molto meglio di quello che vediamo oggi»). Tuttavia, al di là della costernazione più o meno unanime, una riflessione a caldo sullo stato della democrazia in America si impone.

Al netto dell’ironia e dei quintali di meme sui social e sebbene sia innegabile una certa tragicomicità nell’aspetto di alcuni dei figuri che hanno occupato Capitol Hill (uno su tutti Jake Angeli, lo sciamano complottista vestito da bufalo), il fatto di fondo rimane lo stesso: un gruppo di seguaci di un ex presidente ha fatto irruzione nei palazzi del potere contestando il risultato delle elezioni.

Il tutto sulla base di un’interpretazione dei fatti lontana dalla realtà, o peggio di una realtà parallela in cui Trump starebbe combattendo in segreto contro i piani malefici di un establishment di satanisti pedofili (e democratici, ovviamente). Se non fosse che la psichiatria è una categoria solo indirettamente politica, sarebbe il caso di convocare una squadra di strizzacervelli per capire cosa è successo negli ultimi anni nella galassia dell’estrema destra americana.

Il secondo aspetto inquietante è l’atteggiamento delle forze dell’ordine nei confronti delle proteste di ieri. Al di là delle indiscrezioni su chi avrebbe o meno autorizzato l’intervento della Guardia Nazionale, il dato che emerge è duplice: da un lato, alcuni video dimostrano una certa passività (se non una vera e propria complicità) della polizia locale rispetto ai manifestanti, dall’altro emerge in modo palese la disparità di trattamento rispetto alle manifestazioni di segno opposto di Black Lives Matter. Se l’intervento delle forze dell’ordine varia soltanto al variare del colore politico e del colore della pelle abbiamo un problema, specie se parliamo della “più grande democrazia del mondo”.

L’ultimo aspetto riguarda il futuro. Oggi la protesta è stata sedata, domani non sappiamo cosa accadrà. E il motivo è presto detto: la minaccia dell’estrema destra americana è stata sottovalutata da una parte delle istituzioni, nonostante diversi analisti avessero manifestato una preoccupazione crescente, anche sulla base dei fatti più recenti dell’anno scorso. Tuttavia la responsabilità maggiore non è da individuare tra coloro che hanno sottovalutato le conseguenze politiche della violenza e del cospirazionismo, ma tra coloro che lo hanno cavalcato fino a ieri, primo tra tutti Donald Trump, il quale da tempo e senza alcuna vergogna alimenta l’estremismo più radicale e complottista.

I fatti di ieri sono dunque un campanello d’allarme, anche e soprattutto per il valore simbolico che sicuramente avranno nella mente di una fetta della società americana. Se è difficile immaginare le conseguenze politiche di tutto questo nel medio periodo, dopo l’insediamento di Joe Biden, toccherà proprio a lui curare le ferite di un’America sempre più polarizzata, in cui a scontrarsi non sono più due idee diverse di società né due leader politici ma due visioni antagoniste della realtà. 


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