Ecco perché gli abusi della Polizia sugli afroamericani non finiranno

 

Disparità e brutalità negli abusi perpetrati dalla polizia negli Stati Uniti. A pagare (sempre) il prezzo più alto sono gli afroamericani.


Il coprifuoco in diverse città americane dopo l’omicidio di George Floyd, avvenuto pochi giorni fa a Minneapolis in Minnesota, evidenzia una realtà amara per la comunità afroamericana statunitense: resti nell’anonimato, se non vieni ucciso. La mobilitazione delle piazze di Black Lives Matter (e non solo) grida forte contro gli abusi, per l’ennesima volta in sei anni dalla nascita del movimento, e chiede non solo giustizia ma cambiamento. L’escalation di violenza accesa e riaccesa negli ultimi anni porterà a una reazione sistemica e istituzionale concreta?

Diverse ricerche hanno evidenziato molteplici aspetti della disparità e della brutalità reiterata della Polizia nei confronti dei neri. Dalla storia della segregazione alle condizioni socio-abitative di molte comunità fino all’ingresso di poliziotti afrodiscendenti tra le fila dei dipartimenti di tutti gli States: circa cinquant’anni di “evoluzione” sociale sembrano ancora uno spostamento appena accennato, un insignificante attimo nell’eternità. Il disagio violento negli Stati Uniti necessita risposte brutalmente positive che, forse, non arriveranno mai.

Andiamo con ordine: la questione dell’oppressione e della discriminazione degli afroamericani negli Stati Uniti si snoda innanzitutto lungo profonde radici storiche. Stando a quel meraviglioso documento del 1776, la Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti, anticipatrice di nuovi egualitarismi nel mondo, «tutti gli uomini sono stati creati uguali». Cinicamente, è doveroso precisare che i padri fondatori americani avevano in mente gli uomini di pelle bianca; è paradossale come quella stessa liberazione dalla “schiavitù” delle colonie americane ribellatesi agli inglesi fu accompagnato dalla difesa delle proprie schiavitù interne. Gli schiavi, i neri, non erano considerati esseri umani e la loro condizione era ereditaria. Scambiati, venduti, regalati, gli afroamericani non avevano – e non potevano avere – niente di proprio, neanche i figli.

L’abolizione della schiavitù, avvenuta dopo anni di lotte sanguinose, non ha concluso la condizione di apartheid. Si è giunti all’affermazione di quel modello sociale e legale noto come «separate but equal». La segregazione che abbiamo conosciuto attraverso i libri di storia e che strisciava attraverso i sedili negli autobus, ai tavoli al bar, sui marciapiedi, nelle scuole e nelle aziende, ha poi subito diversi e duri colpi grazie al contributo delle masse, di profeti e condottieri del Black People, e di molti martiri che hanno perso la vita per ottenere il diritto di essere davvero tutti uguali (come i bianchi).

Il diritto di voto per gli afroamericani (ma solo dopo una prima legge che faceva votare “solo i neri che avevano studiato”, quindi nessuno) ha riunito tutti sotto la grande famiglia dei “cittadini”, ma continuiamo ad assistere a scenari da guerra civile come le fiamme che in questi giorni stanno distruggendo palazzi e quartieri.

Gli scontri per la giustizia, per dire basta alle sproporzioni, si fondano sull’evidenza dei numeri: a tutti i tipi di reati negli Stati Uniti corrispondono pene e condanne a svantaggio dei neri; quasi tutti i minorenni condannati, in alcuni casi all’ergastolo, sono neri; la maggioranza dei detenuti negli Stati Uniti è nera, il 33 per cento dei condannati a morte negli ultimi quarant’anni sono afroamericani. Partendo dal dato – inaspettato per molti, ammettiamolo – per cui solo il 13 per cento della popolazione statunitense è di etnia afroamericana, tanti altri dati, a cascata, risultano spaventosi per la concentrazione di svantaggi e squilibri nei confronti di questi cittadini. Ci stiamo ancora chiedendo se esiste un problema di razzismo e di risposte politiche insufficienti negli Stati Uniti? Se sì, è bene notare che abbiamo solo toccato la punta dell’iceberg.

Che dire di chi in carcere nemmeno ci arriva (e nemmeno ci dovrebbe arrivare)? Uno studio molto interessante dell’Università di Boston rileva che il “livello di segregazione” di un determinato contesto è direttamente collegato alla violenza ingiustificata della Polizia nei confronti dei cittadini di pelle nera. Prendendo in considerazione ben quattro anni di statistiche (dal 2013 al 2017), pare che questo valore sia il «principale fattore predittivo» in grado di confermare la corrispondenza tra segregazione razziale e violenza da parte dei membri della polizia (bianchi perlopiù, ma sull’etnia degli officers ci torneremo più avanti). Come è stato calcolato il livello di segregazione in un determinato territorio? Questo “index of dissimilarity” è un insieme di fattori quali la percentuale di afroamericani che si spostano per produrre un reddito come quello dei bianchi, il «reddito medio nero», la percentuale di afroamericani che vivono in affitto, i tassi inerenti alla criminalità e alle etnie coinvolte in piccoli o gravi reati. È emerso inoltre che la frequenza delle azioni armate della polizia contro gli afroamericani, rispetto a quella che coinvolge le vittime bianche, è del 44 per cento più alta. In parole povere, un poliziotto estrae molto più facilmente la pistola contro un nero rispetto a un bianco, facendosi totalmente influenzare dal contesto sociale circostante (l’opposto di quello che dovrebbe garantire un pubblico ufficiale).

E se il poliziotto invece che essere un bianco (non necessariamente suprematista) è afroamericano? Diversi dipartimenti di polizia di grandi città americane hanno agito in direzione di una maggiore presenza di individui delle forze dell’ordine di pelle nera. Si tratta di un’azione certamente volta all’inclusione e alla “rappresentatività” delle comunità su cui gli agenti devono vigilare. Soprattutto alcune città interessate da casi eclatanti di cronaca che hanno fatto infuriare il black people, hanno promosso il reclutamento di afroamericani con la convinzione che questo bastasse a diminuire i dati allarmanti sulle uccisioni ai danni dei neri. La stessa Casa Bianca, nel Final Report of the President’s Task Force on 21st Century Policing del 2015, fra le altre raccomandazioni, faceva notare come fosse importante «comprendere l’impatto della diversità [all’interno dei dipartimenti ndr.] sul funzionamento dei dipartimenti stessi».

Non solo risultano inutili questi piccoli “aggiustamenti”, ma possono risultare addirittura controproducenti. Un recente  studio dell’Università dell’Indiana rileva che l’aggiunta di agenti di polizia neri non è una strategia efficace per ridurre le sparatorie da parte della polizia contro cittadini neri nella stragrande maggioranza delle città americane. Il perché è sorprendente: gli agenti afroamericani all’interno di dipartimenti comunque a maggioranza bianca tenderanno a trovare approvazione da parte dei propri colleghi, risultando anche molto più duri degli stessi bianchi, contro qualsivoglia etnia, ma soprattutto contro altri afroamericani. Si tratta di un risultato “contro-intuitivo” che deriva dal semplice desiderio di essere accettato come membro di una squadra, in questo caso quella degli altri poliziotti bianchi.

Ricerche precedenti hanno dimostrato che proprio gli ufficiali neri hanno maggiori probabilità rispetto ai colleghi bianchi di basarsi su pregiudizi razziali e arrestare cittadini neri in modo sproporzionato. È però il punto di «massa critica» che gioca il ruolo fondamentale nella politica di inclusione nei dipartimenti di polizia: solo un gran numero di agenti afroamericani può eliminare il rischio di “brutalità per l’accettazione” e portare all’equilibrio l’azione di professionisti che per vocazione dovrebbero proteggere e aiutare tutti i cittadini senza distinzioni.

Solo altri numeri possono concludere un quadro che sembra senza speranze e che sui numeri può fondare la propria autorevolezza, senza speculazioni ideologiche che, proprio su argomenti del genere, fanno male all’informazione e, in definitiva, a tutti quanti.

  • Nelle azioni di “Stop and Frisk” (controllo e perquisizione) 8 volte su 10 si tratta di cittadini afroamericani;
  • Un nero ha 3 volte le probabilità di essere ucciso da un poliziotto rispetto a un bianco;
  • Un nero ha 1,3 volte più probabilità di essere disarmato quando viene fermato rispetto a un bianco;
  • Un nero ha 5 volte la probabilità di essere ucciso e trovato disarmato da un poliziotto rispetto a un bianco;
  • Nel 99% dei casi non viene dichiarata la responsabilità di un poliziotto in un omicidio ai danni di un arrestato;

Va da sé che gli ultimi dieci anni hanno visto l’aumento della notorietà degli episodi di abuso della polizia nei confronti di cittadini afroamericani proprio in corrispondenza del proliferare dei nuovi media e dei social. Per questo motivo è bene chiarire che la brutalità della polizia ha contraddistinto più o meno sempre le azioni di arresto negli Stati Uniti, e in particolare contro cittadini neri (a maggior ragione andando a ritroso nella storia). Più sale il livello della tecnologia nelle nostre case, più sale la copertura degli eventi e di conseguenza l’indignazione di massa. Le risposte non arrivano, le domande infiammano le città.


 

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