Le proteste negli Stati Uniti chiedono di “ristrutturare” la Polizia

Se nei tribunali arrivano pochi colpevoli in divisa, bisogna rivedere il “prezzo” di quella divisa. Negli Stati Uniti è tempo di ritoccare i bilanci della polizia.


È passata più di una settimana dall’inizio delle proteste negli Stati Uniti, accese subito dopo il bruttissimo episodio di Minneapolis che ha visto la morte dell’afroamericano George Floyd. Quello che si sta scagliando contro la brutalità della polizia statunitense è un muro fatto di attivisti e sostenitori di Black Lives Matter, cittadini di ogni estrazione sociale e celebrità solidali alla causa black.

È un coro in crescita che ottiene sempre maggiore sostegno, di giorno in giorno, anche dalle altre piazze del mondo, e che pretende un cambiamento concreto. Il nuovo obiettivo della mobilitazione si spinge ben oltre la richiesta di giustizia e arriva a chiedere di reinventare e ristrutturare i dipartimenti di polizia a partire dalle loro fondamenta economiche.

Le fiamme che stanno colpendo l’amministrazione Trump, ancora nel pieno di un’imperdonabile emergenza sanitaria dovuta alla pandemia da Covid-19, hanno scatenato il dibattito sull’intervento dell’esercito, dichiarato dal Presidente americano nel nome del «Law and Order», e allo stesso tempo sulla necessità di ripensare la sicurezza dei cittadini.

Dopo un momento di iniziale torpore, Donald Trump irrompe nell’aspro confronto fra attivisti e amministrazione mettendo in chiaro la sua intenzione di far cessare le proteste, minacciando di schierare «migliaia e migliaia di soldati pesantemente armati, personale militare e forze dell’ordine» per mettere fine alle manifestazioni più “rumorose”. Le concentrazioni della protesta a Washington, proprio davanti la Casa Bianca – con il presidente scortato nel bunker – sono state (e sono) la risposta a quel silenzio assordante sulle richieste di giustizia da parte del popolo afroamericano, che possiamo tranquillamente allargare ad “americano”.

In un suo discorso ai governatori Trump – prima di una sua apparizione Bibbia alla mano – arriva a fare riferimento all’Insurrection Act del 1807, rimarcando la sua autorità legale rispetto ai disordini. La scorsa settimana, contemporaneamente al crescente caos nella Capitale, il presidente statunitense ha infatti tagliato corto sugli interventi dei singoli stati contro le proteste: «Se una città o uno stato rifiuta di intraprendere le azioni necessarie per difendere la vita e la proprietà dei loro residenti, dispiegherò l’esercito degli Stati Uniti e risolverò rapidamente il problema per loro».

Una reazione da parte del «presidente di tutti gli Americani» che ha mancato clamorosamente il punto delle proteste, giunte a un testa a testa fra pressione e repressione.

I disordini nazionali hanno continuato a portare avanti violazioni del coprifuoco e marce senza fine, giorno e notte, in lungo e largo per le maggiori città statunitensi al grido di “I can’t breathe” con centinaia di arresti – anche dovuti ai saccheggi avvenuti in alcuni negozi – e (altre) vittime innocenti negli scontri fra polizia e protesters.

L’ultimo caso più eclatante è testimoniato da un video in cui si vedono due poliziotti scaraventare a terra un anziano manifestante, un uomo di 75 anni, procurandogli quello che verrà accertato come un grave trauma cranico. Ma non è l’unico video che sta facendo infuriare la piazza: l’aggressione e la morte di Manuel Ellis, a Tacoma, è l’ennesimo episodio utile a ricaricare la protesta; una testimone oculare che ha filmato l’accaduto (risalente al 3 marzo) ha pensato bene di diffondere il video solo in questo periodo di disordini. C’è poi il caso di Breonna Taylor, giovane afroamericana che venerdì scorso avrebbe compiuto 27 anni, uccisa il 13 marzo da otto colpi di pistola in una retata “sbagliata” della polizia a Louisville.

Da diversi anni, anche grazie alla nascita del movimento Black Lives Matter i riflettori sulle ingiustizie perpetrate dalla polizia ai danni – in particolare e statistiche alla mano – degli afroamericani sono diventati ormai accecanti. Oggi si chiede un passo decisivo: cambiare la “cultura” degli agenti statunitensi e riformulare i finanziamenti per i dipartimenti di polizia, questi ultimi protagonisti di una riforma non riuscita nel tempo.

Il bisogno di reindirizzare il denaro lontano dalla polizia giunge inoltre in un momento tragico per le città, che affrontano le pesanti ricadute economiche del coronavirus, e si tratta di una richiesta – fra le poche possibili – sposata da molti deputati in diversi stati. Se è difficile agire nel settore Giustizia, in cui l’impunità dei poliziotti governa sovrana, è necessario colpire il portafoglio dell’intera istituzione di polizia.

Il capo della polizia di Minneapolis, Medaria Arradondo, si è impegnato a «continuare a lavorare per migliorare la fiducia pubblica, la sicurezza e il cambiamento della cultura trasformazionale dell’MPD [Minneapolis Police Department ndr]» ma è ancora poca cosa. Cosa c’è di pratico nello spostamento di fondi dalla polizia?

Diversi compiti di assistenza sociale che attualmente ricadono sugli agenti di polizia armati – rispondere alle chiamate per overdose di droga, per persone affette da una malattia mentale o che sono senzatetto – potrebbero essere affidati a infermieri o assistenti sociali. Secondo i sostenitori di questa ristrutturazione dei fondi, puntare sui programmi di intervento mobile, portati avanti anche da associazioni senza scopo di lucro, ridurrebbe sensibilmente le spese per i dipartimenti di polizia, oltre che migliorare un servizio per la comunità.

Proprio Minneapolis, l’amara protagonista di queste settimane, ha fatto un passo in questa direzione l’anno scorso quando ha in parte rinnovato la gestione dei finanziamenti in modo da creare un nuovo ufficio per la prevenzione della violenza. “Smantellare” dunque la polizia, selezionare più accuratamente le aree di intervento e le modalità da 911, è possibile ma non è compito facile poiché richiede alternative pronte e strutturate.

Un processo che richiede, per forza di cose, molti anni e tanta volontà di cambiamento, nell’organizzazione e, soprattutto, nella testa. Gli attivisti neri di Minneapolis chiedono un profondo rinnovamento della polizia da anni, come attestato da un rapporto del 2018 in cui si afferma che «la presenza militarizzata e combattiva della polizia non è la medicina necessaria nelle comunità traumatizzate». A farla sfacciatamente breve, il ginocchio poggiato sul collo di George Floyd non è la giusta direzione del rinnovamento.

Anche molte celebrità hanno aderito al coro di voci che chiedono di riallocare i bilanci della polizia. In una lettera aperta firmata (fra i tanti) da John Legend e Jane Fonda si evidenzia non solo il tasso sproporzionato di morti Covid-19 nella popolazione nera, ma anche il tema delle spese militari interne. «I decessi Covid-19 e i decessi causati dal terrore della polizia sono collegati e conseguenti tra loro – si legge nel documento – Gli Stati Uniti non hanno un sistema sanitario nazionale. Invece, abbiamo il più grande budget militare al mondo e anche alcuni dei dipartimenti di polizia più ben finanziati e militarizzati del mondo».

I movimenti per la giustizia razziale e per la riforma della polizia, incluso Black Lives Matter, hanno chiesto per anni campagne di reinvestimento nelle iniziative comunitarie che migliorerebbero la vita quotidiana e la sicurezza, dalle abitazioni alle infrastrutture, dalla sanità all’istruzione. Tutti strumenti utili anche a ridurre la criminalità ma che faticano ad emergere, nonostante diversi consigli comunali di grandi città si stiano lentamente adoperando a spostare voci di bilancio, scontrandosi di fatto con sindacati potenti come quelli della polizia.

Foto in copertina Fibonacci Blue


 

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