Eco Culturale

Leggere in cartaceo e in digitale rende il cervello biletterato

Leggere in cartaceo o in dispositivi digitali rappresenta avere due modi diversi di apprendere un testo. Lo studio della neuroscienziata Maryanne Wolf ci porta ad un nuovo approccio didattico alle due tipologie di lettura con i bambini.


Leggi in cartaceo o in digitale? Oggi è questa la domanda più frequente quando si parla di lettura o libri. Ma ci troviamo davanti ad una realtà che vincola la nostra risposta nel quotidiano. Sicuramente, per quanto riguarda la ricerca di informazioni, è il digitale la nostra fonte primaria: è più frequente che la ricezione di notizie avvenga tramite link on line oltre che la tv.

Ma un dato importante è sicuramente che da dopo la pandemia (e durante) il numero di lettori è aumentato soprattutto tra i più piccoli. L’Associazione Italiana Editori (AIE) il 7 marzo 2023, in occasione del Children’s Book Fair di Bologna,  ha reso noti gli ultimi dati sulla lettura riferiti ai primi mesi del 2023: nella fascia 4-14 anni sono il 96% i ragazzi e le ragazze che hanno letto almeno un libro non scolastico negli ultimi dodici mesi, contro il 75% del 2018. Nella fascia 0-3 anni, le letture ad alta voce di genitori e insegnanti, la manipolazione di libri tattili, cartonati, illustrati, animati, da colorare e altre forme di pre-lettura hanno coinvolto il 70% dei bambini e delle bambine. Erano il 49% nel 2018. 

Più in generale il 24% dei lettori legge 12 o più libri l’anno, il 30% da 7 a 11, il 21% da 4 a 6 e il 25% meno di tre. Dal 2018 a oggi la percentuale di chi legge più di 7 libri l’anno è cresciuta dal 26% al 54%. Quindi non solo sono aumentati i lettori, ma si legge più di prima. 

Il cervello biletterato, lo studio di Maryanne Wolf

Andando oltre ai dati di aumento dei lettori, dobbiamo mettere in conto che la lettura in digitale ha preso molto spazio nelle nostre abitudini: per quanto riguarda i libri in generale i cui costi sono sempre più alti, avvalersi del digitale significa risparmiare in termini economici (e di spazio in casa!). Ma il modo di leggere sullo schermo è profondamente diverso della lettura su carta e non solo per un approccio prettamente fisico ed emotivo. 

I giovani lettori, quelli più soggetti alla preferenza del digitale, pare abbiano sviluppato una specie di cervello bilingue. La prima ad usare il termine “cervello bilitterato” è stata la neuroscienziata Maryanne Wolf (che dirige il Centro per la dislessia presso la UCLA Graduate School of Education and Information Studies ), autrice di Reader, Come Home: The Reading Brain in a Digital World.

La neuroscienziata è impegnata nella ricerca dei meriti relativi degli approcci basati sullo schermo e sulla pagina, adottando al contempo la posizione che lei chiama di “ignoranza appresa”: indagare a fondo su entrambe le posizioni e poi uscirne per valutare tutte le prove e scuotere i risultati. Queste verità apparentemente contraddittorie sottolineano la questione di come dovremmo insegnare ai bambini a leggere nel XXI secolo, afferma Wolf.

Una volta che i bambini hanno imparato a decodificare le parole, a riconoscere determinati suoni e impostazioni di lettura, sempre con l’aiuto degli adulti, il supporto digitale di approfondimento appare essere elemento di completezza ma che non può soverchiare totalmente l’approccio cartaceo.

Un nuovo modo di leggere

La Wolf propone nel suo studio di introdurre diverse forme di lettura, basate su testi a stampa e testi digitali, nel periodo compreso fra i cinque e i dieci anni di età. Prima dei cinque anni, i bambini dovrebbero essere tenuti il più possibile lontani dagli strumenti digitali. All’inizio il ruolo dei libri stampati deve prevalere, in modo da rafforzare le peculiari dimensioni spaziali e temporali della lettura: «Durante l’introduzione iniziale alla lettura su carta, vogliamo che i bambini imparino che leggere richiede tempo e restituisce pensieri che rimangono anche dopo che una storia è finita. […] Per tutto questo periodo dai cinque ai dieci anni, si tratta di instillare nei bambini la convinzione che, se si prendono il loro tempo, potranno sviluppare le proprie idee».

Ed è il tempo la chiave fondamentale nella lettura. Nel digitale il cervello tende ad avere un sovraccarico di informazioni e non le assimila e a questo accumulo tendiamo a rispondere in tre modi: semplifichiamo; elaboriamo le informazioni in un tempo più rapido, leggendo “a raffiche”; seguiamo le priorità. L’esperienza della lettura profonda viene sacrificata in favore di comportamenti più consoni a questa esigenza di gestione del tempo. Ecco dunque lo skimming (lettura superficiale), lo skipping (salto di parti di testo) e il browsing (scorrimento veloce).

Una volta imparato il metodo di alternanza tra i due tipi diversi di lettura, si potrà anche leggere testi importanti come quelli per l’apprendimento, totalmente in digitale: «Il nostro obiettivo ultimo è lo sviluppo di un cervello davvero bi-alfabetizzato, capace di assegnare tempo e attenzione alle abilità di lettura profonda a prescindere dal mezzo utilizzato. Queste non solo forniscono antidoti efficaci agli effetti negativi della cultura digitale quali la dispersione dell’attenzione e il logoramento dell’empatia, ma completano anche in modo positivo le influenze digitali».

In una realtà in cui la richiesta di stimoli è necessaria quasi vitale per rendere legittima qualsiasi cosa, il mondo della lettura su carta è ancora legato al tempo, alla pagina vuota tra un capitolo e l’altro, l’azione di porre un segnalibro per fermarsi a riflettere. Siamo disabituati a ricordare profondamente ciò che abbiamo letto e viviamo di continue trame striminzite, 1000 pagine in 4 parole.

«Il filosofo Byung-Chul Han nel suo libro Il profumo del tempo esprime in termini filosofici ciò che io esprimo in termini fisiologici: siamo così assuefatti all’iperstimolazione che gli intervalli tra uno stimolo e l’altro li avvertiamo come spazi vuoti. Invece sono i momenti in cui le informazioni si consolidano. Se non diamo al nostro cervello il tempo di compiere il processo, tutto quel che ci resta è un flusso di informazioni comprese solo superficialmente. La conoscenza avviene in tre fasi: ogni dato deve essere vagliato, elaborato, e se è abbastanza importante si trasforma in conoscenza, cioè entra a far parte di una raccolta di informazioni acquisite che aiutano a pensare più profondamente. Questo processo in tre fasi ha subito un cortocircuito che ha cambiato la natura dell’attenzione, soprattutto nei bambini: se il cervello non ha tempo sufficiente per passare dalla percezione e dalla comprensione superficiale alla memoria e al consolidamento, non possiamo più analizzare le informazioni per verificarne la verità, o la bellezza: perdiamo l’una e l’altra. La continua ricerca di stimoli non concede spazio alla contemplazione prolungata. Ma l’immaginazione ha bisogno di tempo» (Frammento dell’intervista per il Corriere della Sera).

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Virginia Monteleone

Responsabile "Eco Culturale". Credo che l’arte sia una scelta di vita, e che la si sceglie in vari modi: la si fa, la si spiega, la si vende o la si compra. Io la svelo nella sua semplicità.