La giustizia ai tempi dei social network

L’attività giurisdizionale e la sua spettacolarizzazione ai tempi dei social è una realtà con la quale bisogna iniziare a fare i conti. Uno scenario da film distopico, specchio di una società che si manifesta tra feed, stories e influencer.


L’era digitale ha reso la comunicazione facile e rapida, una notizia sul web è in grado di raggiungere facilmente un numero impreciso di persone. L’enorme effetto di “cassa di risonanza” delle informazioni pubblicate sul web, spesso a prescindere dalla loro effettiva veridicità, può risultare però alquanto pericoloso. I mass media (TV, web, giornali) o i social network (Facebook, Linkedin, Twitter/X) hanno assunto un potere sempre più consistente e pericoloso. In questo contesto si inserisce una norma costituzionale piuttosto importante, ossia l’art. 27 comma 2 della Costituzione, fino a che la condanna può ancora essere riformata da un giudice, in altri termini il soggetto si presume comunque innocente fino a prova contraria.

In questo quadro normativo, la diffusione dei social network – utilizzati massicciamente anche dai media oltre che dagli utenti comuni – ha creato un contesto particolare e potenzialmente pericoloso, nel quale spesso il principio costituzionale in esame viene disatteso attraverso forme di manifestazione del pensiero che possono generare rischi per l’autore, compromettere lo svolgimento di indagini e processi, oltre che confondere i non addetti ai lavori sul funzionamento del procedimento penale.

Trasparenza e tutela delle parti: un rapporto complesso

L’idea di trasparenza e la conseguente conoscenza dell’attività giurisdizionale è un rapporto complesso che ne prevede un’interazione costante e una conseguente influenza reciproca inevitabile tra attività giudiziaria e mezzi mediatici. Ciò determina non in rari casi una distorsione della percezione della verità e ancor più grave una violazione dei diritti fondamentali dei soggetti. Il costante aggiornamento in tempo reale su social come Instagram o TikTok, alimenta un flusso costante di informazioni riguardanti il processo giudiziario e tutti i personaggi coinvolti: le vittime, gli imputati, gli avvocati, i giudici e la dove è presente la giuria.

L’attuale fenomeno vede processi trasmessi in streaming, decisioni giudiziarie spammate sui social, tutti in prima persona possono commentare generando influenza sull’opinione pubblica circa le informazioni trasmesse. Da ciò ne consegue innanzitutto un profluvio di notizie non sempre veritiere con un risvolto devastante sulla tutela delle parti coinvolte che ne compromette non raramente la dignità come persone.

L’attuale situazione impone di interrogarci su quale futuro si prevede e quali possono essere le soluzioni per bilanciare l’esigenza di trasparenza, la tutela della libertà di parola e di opinione e tutelando le parti coinvolte.

Esperienze nel mondo

Uno degli esempi più recenti di giustizia mediatica è sicuramente il processo Depp v. Heard per diffamazione. La storia divenuta anche oggetto di una miniserie su Netflix, ha offerto un chiaro scenario di analisi sul futuro ruolo mediatico dei social nella giustizia.

La narrativa rispetto ai fatti è stata trasmessa al mondo mediante creator e influencer accendendo i riflettori sulle notizie più accattivanti. Un processo divenuto opportunità di guadagno e di influenza per tutti coloro che lavorano in rete. Tralasciando il risultato pecuniario della vicenda, ciò che risulta più importante sottolineare è quanto il potere dei social si sia innalzato al livello della comunicazione mediatica con l’enorme rischio di influenzare l’opinione pubblica mediante manipolazioni costanti della realtà.

Ci si potrebbe chiedere quale sia la differenza rispetto alle testate giornalistiche, ciò trova subito risposta sul fatto che gli influencer non sono vincolati a nessuno standard editoriale o norma giornalistica. Per quanto l’azione diffamatoria può essere punita per legge e le violazioni della privacy sono regolamentate, le piattaforme social sono un luogo incontrollato che difficilmente subisce un contenimento.

I messaggi lanciati nelle piattaforme social hanno una certa influenza e soprattutto un certo potere nell’incoraggiare o scoraggiare determinati comportamenti. Una donna che ha subito una violenza, potrebbe essere scoraggiata dalla bufera mediatica che le si potrebbe scatenare intorno, o comportamenti violenti potrebbero essere incoraggiati se i follower e la popolarità di un aggressore possono salire online.

La miniserie uscita su Netflix riguardo il processo Depp v. Heard prova in maniera brillante come la società sta cambiando. Lo spettacolo diviene lo specchio di un’era sociale, politica e culturale che potremmo chiamare l’era Meta-oica o TikTokica. Molteplici domande sorgono spontanee, può davvero la giustizia divenire spettacolo? Quanto questo incide sul vedere emergere la verità? E quanto ciò può essere pericoloso?

Vittime ai tempi dei social

Un altro caso eclatante che ci pone davanti a tanti interrogativi circa il potere dei social e la tutela delle parti è il caso dell’atroce stupro avvenuto a Palermo nell’estate 2023. Un boom mediatico stratosferico, i volti degli aggressori in tutte le bacheche, commenti e “perle di saggezza” su come la ragazza si sia cercata la violenza e su come l’avrebbe potuta evitare, gli aggressori messi alla gogna da tutti coloro che da liberi pensatori divengono legittimi giustizieri.

Come possono le vittime di un reato così grave essere incoraggiate a denunciare se sanno che poi saranno sottoposte a una così intensa pressione mediatica? E non fermiamoci qui, perché c’è anche lo spiattellamento dei profili social degli indagati. In questo modo, essi perdono ogni forma di garanzia, persino umana, che dovrebbe essere presente in uno Stato di diritto.

Mettere alla gogna gli aguzzini è un rischio anche per le vittime, riportare i dettagli dell’accaduto, i nomi e i volti degli indagati può portare all’identificazione della vittima stessa, in un momento di fragilità in cui sarebbe importante che rimanesse al riparo da esposizioni sociali e mediatiche.

L’ingiustizia del doppio giudizio tra tribunali e social

Durante il procedimento legale, la vittima è inevitabilmente esposta a indiscrezioni provenienti dai media e dal sistema giudiziario. Questo ad oggi è un effetto quasi inevitabile, finito il processo però la storia continua fuori dalle aule con processi stragiudiziari mediati ingiusti e che provocano conseguenze incommensurabili.

Una tra queste è la cosiddetta “terza vittimizzazione”, ossia lo stato per cui le parti durante e dopo il procedimento giudiziario sperimentano uno stato di insoddisfazione e frustrazione dalla quale conseguono una serie di emozioni negative. Tale situazione per quanto inevitabile non può in alcun modo essere esente di regolamentazione.

Ad oggi gli strumenti utilizzati non bastano e ci si imbatte continuamente a sfoghi, commenti e giudizi che possono rendere difficile l’attuazione della giustizia. Oggi l’imputato e la vittima devono essere giudicati colpevoli o no prima in tribunale e dopo dalla società in cui vivono che può divenire una vera e propria realtà da incubo. Urge prendere consapevolezza del fenomeno e regolamentarlo in maniera adeguata per bilanciare la libertà d’espressione, d’informazione e il diritto di ognuno alla presunzione di innocenza.

L’equilibrio tra i due principi, vede coinvolti tre “attori” distinti ma sullo stesso palcoscenico: da un lato i professionisti della comunicazione ai quali deve essere riconosciuta la garanzia della libertà d’espressione e del pluralismo mediante qualsiasi mezzo idoneo a diffondere l’informazione, dall’altro i cittadini che devono essere informati in maniera completa, obiettiva e imparziale con la possibilità di poter formare ed esprimere la propria opinione sulle vicende, e dall’altro ancora, il rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo, tra cui deve annoverarsi quello a essere presunto non colpevole fino a sentenza definitiva.

Tutti gli organi preposti a stabilire le regole dei giochi sono chiamati a esprimersi e stanno lavorando per definire norme capaci di salvaguardare i principi fondamentali stabiliti dalle norme internazionali; tuttavia, ancora, il lavoro da fare è tanto poiché ad oggi le norme stabilite non sono sufficienti a far fronte all’incalzare del fenomeno. La sfida è solo all’inizio…


... ...