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Stupro e vittimizzazione secondaria, una questione sempre aperta

La vittimizzazione secondaria è una forma esterna di colpevolizzazione della vittima, tipica dei reati ascrivibili alla violenza di genere, messa in atto da parte dell’opinione pubblica così come dalle istituzioni.


Nel corso degli ultimi mesi, l’opinione pubblica è stata scossa da diversi eventi legati al fenomeno della violenza di genere. La notizia dello stupro di Palermo, ai danni di una giovane di 19 anni, abusata da sette ragazzi tra i 17 e i 20 anni, e della violenza di Caivano, che vede vittime due minorenni abusate da coetanei, così come del femminicidio di Marisa Leo, Giulia Tramontano e il ritorno alle vicende di cronaca della presunta violenza sessuale perpetrata da Leonardo Apache La Russa, figlio della seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa, e delle parole usate dal padre per giustificarne la condotta.

Sui social media, questi eventi hanno ritrovato un elemento comune, oltre a essere reati alla cui base si trova la matrice della gender-based violence, ovvero il fenomeno della vittimizzazione secondaria.

Una definizione

Partendo dal principio, cos’è la vittimizzazione? E cosa si intende per vittimizzazione secondaria? Per la lingua italiana, quando parliamo di vittimizzazione facciamo riferimento a una mortificazione imposta. Dunque, nella sua espressione “secondaria” – o victim blaming – si tratta di un tipo di vittimizzazione che non si verifica come diretta conseguenza dell’atto criminale, ma come forma esterna di colpevolizzazione della vittima, da parte delle istituzioni o dell’opinione pubblica.

Nei casi di violenza di genere, la vittimizzazione secondaria si esplicita nell’attribuzione di colpe e/o responsabilità alle vittime di molestie, abusi, stupri e femminicidi, che avrebbero reso più semplice – se non addirittura istigato – l’aggressione.

Un esempio esplicativo della dinamica è stato recentemente fornito dal giornalista Andrea Giambruno, compagno della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il quale, in diretta nazionale, parlando dei fatti precedentemente citati, ha affermato che le donne hanno tutto il diritto di uscire per andare a ballare e ubriacarsi ma, se non indugiassero in questi comportamenti, eviterebbero di incorrere in determinate problematiche.

La vittimizzazione secondaria secondo la Convenzione di Istanbul

Nonostante la diffusione del fenomeno, spesso alimentato da stereotipi di genere e una radicata cultura dello stupro, che sembrerebbe incontrollata, diversi Stati si sono dotati di strumenti per studiarne cause, conseguenze, origine e possibili soluzioni, tutti facenti capo alla Convenzione di Istanbul.

Grazie a tale Convenzione – e data la vastità delle espressioni di violenza di genere – l’Italia ha istituito una Commissione Parlamentare di Inchiesta sul Femminicidio, Nonché su Ogni Forma di Violenza di Genere che, in una recente relazione, riprende l’articolo 18 della Convenzione di Istanbul, tramite il quale viene richiamata la necessità di evitare la vittimizzazione secondaria, «che consiste nel far rivivere le condizioni di sofferenza a cui è stata sottoposta la vittima di un reato».

Compito della Commissione è quello di controllare – attraverso un’inchiesta – che vengano attuati i principi della Convenzione di Istanbul – dal cui voto per la ratifica a livello comunitario si era astenuta gran parte della destra italiana – e a individuare la portata del fenomeno di vittimizzazione secondaria. 

L’importanza di valutare l’entità e l’incidenza della vittimizzazione secondaria deriva dalla consapevolezza che solo un impegno congiunto di tutte le istituzioni può contenere la diffusione endemica della violenza di genere. Non è sufficiente affrontare questo tipo di violenza solamente attraverso il sistema legale e le sanzioni penali; è fondamentale considerarne anche cause e conseguenze a livello sociale.

Violenza di genere

La vittimizzazione secondaria è un fenomeno ascrivibile a qualsiasi forma di violenza e di reato. Tuttavia, nel caso dei media italiani, è innegabile il forte legame con la violenza di genere. Lo testimoniano le parole di Andrea Giambruno precedentemente riportate, le affermazioni del Presidente del Senato Ignazio La Russa – che ha messo in dubbio la presunta violenza perpetrata dal figlio dato lo stato di semi-coscienza della vittima – così come quelle di Beppe Grillo, in riferimento alle accuse mosse al figlio Ciro per stupro di gruppo, secondo cui è quantomeno strano che una donna che abbia subìto violenza denunci il fatto dopo otto giorni.

Non è raro, in questi casi, reperire sui social media commenti come “se non fosse andata, forse sarebbe ancora viva”, “ma come era vestita?”, “ma era lucida?”, che fanno da contraltare a una narrazione che racconta gli aggressori come bestie, branco, lupi, brave persone in preda a raptus di follia, privandoli dunque di qualsiasi capacità di scelta e raziocinio.

La paura di una eventuale vittimizzazione secondaria – secondo la Commissione Parlamentare – favorisce inoltre una certa ritrosia delle vittime di violenza nel denunciare, dovendo affrontare un eventuale processo ufficiale e uno “ufficioso” dell’opinione pubblica o delle istituzioni stesse.

L’Italia è stata anche condannata dalla Corte Europea dei Diritti Umani proprio per il tenore sessista e carico di pregiudizi del processo e della sentenza ascrivibili al caso dello stupro di Fortezza dal Basso.

Quali conseguenze?

Le conseguenze della vittimizzazione secondaria sono tangibili e si riflettono non solo nei procedimenti all’interno dei tribunali, ma anche sul benessere, la salute e la sicurezza delle persone vittime di violenza ed eventualmente dei figli e delle figlie. Questo fenomeno può influire sulla loro determinazione nel raccontare le esperienze di violenza subita e cercare aiuto per uscirne. La vittimizzazione secondaria spinge molte persone a evitare di consultare un medico o a non denunciare l’abuso. Questo comporta la tendenza a nascondere la violenza nelle relazioni familiari e romantiche, e a generare una profonda diffidenza verso le istituzioni così come ad alimentare – anche involontariamente – comportamenti e strutture sociali profondamente sessisti.


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Sara Sucato

Siciliana, attivista per i diritti umani, mi piace definirmi "Life enthusiast". Sempre alla ricerca di qualcosa di cui parlare (e di qualcuno che mi ascolti).