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Ungheria: tallone d’Achille per l’UE, cavallo di Troia per la Russia

L’Ungheria di Orbán, da sempre nota per la sua avversione alle politiche di Bruxelles, mostra oggi il suo volto più duro nel cupo ed imprevedibile clima della guerra in Ucraina, osteggiando non solo l’UE, con una netta opposizione alle sanzioni, ma anche la NATO, con un blocco al transito di armi sul proprio territorio.


Condanna l’invasione russa dell’Ucraina, ma non critica mai esplicitamente Putin; rifiuta l’invio di armi all’Ucraina (in accordo con gli altri Paesi UE) e vota contro le sanzioni europee alla Russia. Questo l’atteggiamento che il governo ungherese di Orbán ha assunto da quando, il 24 febbraio dello scorso anno, le truppe russe hanno varcato i confini ucraini. 

Un atteggiamento che si traduce in una politica che mira a mantenere, se non a rafforzare, i rapporti con Mosca. Una scelta, questa, riconducibile sicuramente alle politiche energetiche che vedono l’Ungheria, come gli altri Paesi dell’Europa Orientale, dipendere dalle forniture di gas russo. 

Nel 2014, a seguito dell’annessione russa della Crimea e delle prime sanzioni europee, Russia ed Ungheria avevano siglato anche un accordo che consentisse all’Ungheria di ricevere gas tramite il gasdotto TurkStream che passa per i territori turco e bulgaro, anch’essi alleati russi.

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Tuttavia, la propensione ad enfatizzare il supporto al governo di Mosca e ad ostacolare la politica sanzionatoria di Bruxelles contro la Russia di Putin non è altro che il leitmotiv dei rapporti tra Budapest e Bruxelles fin dal 2010, anno in cui Orbán è apparso per la prima volta sulla scena politica ungherese. 

Sono diversi, infatti, i terreni di scontro tra Budapest e Bruxelles in tema di stato di diritto, politica estera e diritti civili. In più occasioni Orbán ha anche accusato l’UE di ipocrisia nella gestione dei fondi comunitari che rendono lento, complesso e vincolante l’accesso ai fondi di coesione e ricostruzione per gli Stati membri ma semplice lo stanziamento di fondi a sostegno di un Paese come l’Ucraina, non membro UE. 

Già nel 2014, l’UE aveva infatti utilizzato come leva finanziaria contro la propaganda anti europeista interna di Orbán la riduzione di fondi spettanti all’Ungheria in quanto Stato membro. 

In questo “scontro di civiltà” in cui l’UE veniva descritta come il potere che mira ad annullare l’identità stessa degli Stati, l‘Ungheria ha sempre avuto uno storico alleato, la Polonia, anch’essa accusata di minare i principi dello stato di diritto con politiche troppo autoritarie. E proprio l’appoggio della Polonia ha reso fallimentari le minacce finanziarie di Bruxelles. 

Polonia e Ungheria, accomunate dalla storia che le ha viste risorgere dalle ceneri del blocco sovietico, hanno mantenuto anche all’interno delle istituzioni europee posizioni affini in materia di immigrazione e tutela della sovranità dello Stato. 

Ma la guerra in Ucraina ha portato la Polonia e i Paesi Baltici a rivedere le proprie posizioni, supportando sanzioni europee sempre più severe contro Mosca (con l’estensione delle sanzioni ai membri delle famiglie e dell’entourage degli oligarchi russi) e politiche in favore della NATO. Perciò, in più occasioni, l’Ungheria si è ritrovata isolata in quanto unico Paese ostile.

Questo è accaduto a dicembre 2022 quando l’Ungheria ha bloccato con voto contrario l’approvazione di un nuovo pacchetto di aiuti finanziari europei pari a 18 miliardi di euro, per coprire il disavanzo pubblico dell’Ucraina. Orbán, in quell’occasione, ha rischiato di ricevere il congelamento di 7,5 miliardi di euro del bilancio UE. Per evitare ciò, a metà dicembre ha revocato il veto sugli aiuti all’Ucraina e l’UE ha lasciato congelati circa 6 miliardi che l’Ungheria vedrà sbloccati se porterà a compimento riforme contro le irregolarità negli appalti pubblici, i conflitti di interesse dei funzionari governativi e la corruzione, attraverso l’istituzione di organismi ad hoc.

Anche all’inizio del 2023 l’Ungheria ha mantenuto la stessa linea: con un decreto emanato a fine gennaio, ha concesso il pre-pensionamento a 170 ufficiali e generali delle Forze di difesa ungheresi. Nel dettaglio, il governo ungherese si è riservato la possibilità di congedare qualsiasi generale ed ufficiale con almeno 45 anni d’età e 25 anni di servizio. 

Questa decisione, profondamente apprezzata da Mosca, è stata definita dalla deputata dell’opposizione e membro dell’Assemblea parlamentare della NATO, Ágnes Vadai, una “purga politica“. Sembrerebbe, infatti, che i generali siano stati piuttosto licenziati perché non sostenitori di Orbán e che, a questo, abbia fatto seguito la decisione di non consentire alle forze NATO di utilizzare il territorio ungherese.

A febbraio, inoltre, non solo il parlamento di Budapest non si è espresso a favore dell’ingresso di Finlandia e Svezia nella NATO, ma ha anche dichiarato che questa scelta è dovuta alle continue accuse dei Paesi Baltici all’Ungheria di minare la democrazia e al timore di ripercussioni russe qualora i confini NATO dovessero ulteriormente estendersi.

Sempre a febbraio, i capi di Stato e di governo di Belgio, Finlandia, Polonia, Ungheria, Bulgaria e Malta sono stati chiamati a votare il decimo pacchetto di sanzioni contro la RussiaQuesto pacchetto aggiungeva divieti sulle importazioni nell’UE di gomma, asfalto e bitume (tutti derivati petroliferi) e sulle esportazioni verso la Russia di veicoli pesanti come camion e macchine da costruzione, pompe e materiali edili. Inoltre, includeva nuovi individui nella lista nera.

Il voto è stato bloccato dalla richiesta di Orbán di eliminare 4 persone dalla lista nera. In quest’occasione, Orbán ha anche accusato l’UE di essere la responsabile, con le sue sanzioni contro la Russia, di un’inflazione pari al 26% a gennaio che ha duramente colpito l’Ungheria.

Osservatori europei hanno espresso preoccupazione, dato il persistente ostruzionismo ungherese alle politiche di Bruxelles, in merito alla presidenza europea che l’Ungheria assumerà nel 2024. 

Non manca chi ha addirittura avanzato la proposta di sospendere il voto ungherese. Ma in generale, sia nel quadro delle politiche europee che sullo scenario internazionale, si guarda con preoccupazione all’asse Mosca-Budapest, rafforzato da un legame personale tra i due leader europei più longevi, Putin e Orbán. 

Questo isolamento dell’Ungheria potrebbe, tuttavia, trasformarsi nel futuro prossimo da anello debole delle politiche europee a motivo di coesione tra i membri UE, per ridisegnare un progetto politico in grado di contenere e gestire anche “ostacoli” come Orbán.

 Cristiana Ruocco