UE, come e perché reagire alle violazioni commesse dall’Ungheria

Qual è la risposta dell’Unione Europea alla recente normativa ungherese ritenuta discriminatoria per la comunità LGBTIQ?


Le recenti vicende sul rispetto dei diritti umani in Ungheria hanno posto al centro del dibattito pubblico una questione antica, risalente già alla fine del secolo scorso, quando in seguito alla disgregazione del blocco sovietico ci si interrogava sulla possibile adesione, nell’Unione Europea, di Stati dal patrimonio giuridico profondamente diverso da quello proprio delle tradizionali democrazie del Vecchio continente. 

Se si guarda ai Progress Report redatti dalla Commissione europea sullo stato di avanzamento dei negoziati di adesione con Paesi quali la Polonia o l’Ungheria, è possibile notare come, in relazione ai diversi capitoli su cui si struttura l’accordo, il processo di allineamento agli standard comunitari è stato particolarmente complesso. L’ammissione, tuttavia, era e rimane una scelta a carattere politico, subordinata in primo luogo agli interessi perseguiti dagli Stati membri dell’UE. 

Non sorprenderà, in tal senso, la recente notizia circa il possibile avvio di una procedura di infrazione (ex art. 258 TFUE) nei confronti dell’Ungheria, in seguito all’approvazione di una legge che ha disposto il divieto di diffusione ai minorenni di rappresentazioni aventi ad oggetto il tema dell’omosessualità

La normativa in questione è stata ritenuta in contrasto con i valori fondanti su cui si struttura il progetto europeo. Principi che sono posti alla base dell’ordinamento giuridico comunitario e che costituiscono l’essenza stessa dell’Unione, la cui identità – qualora se ne ammetta l’esistenza – non può che sostanziarsi nella condivisione di un coefficiente minimo di tutela dei diritti umani. 

Nell’Unione Europea non esiste un meccanismo che possa condurre all’espulsione di uno Stato membro, pur in presenza di gravi e persistenti violazioni dei suoi valori fondanti. Sono previsti invece meccanismi sanzionatori, a carattere giuridico o politico, che è possibile attivare al verificarsi di determinati eventi. 

Più nello specifico, due sono le strade concretamente percorribili. La prima, nelle ipotesi di generali violazioni del diritto dell’UE, consente l’avvio della procedura di infrazione di cui all’art. 258 TFUE, che può concludersi con una pronuncia di condanna della Corte di Giustizia al pagamento di un ammontare pecuniario. La seconda, nei casi di gravi e persistenti violazioni dei principi fondanti dell’Unione Europea, prevede l’attivazione della procedura sanzionatoria di cui all’art. 7 TUE, che può spingersi fino alla sospensione dei diritti di adesione, come il diritto di voto nel Consiglio. 

La prassi ha reso evidente come, pur in presenza di condotte in contrasto con i valori fondanti dell’Unione, i Paesi membri si siano mostrati piuttosto reticenti a sanzionare simili comportamenti mediante l’attivazione dell’art. 7 TUE, la cui applicazione, infatti, risulta particolarmente limitata. La recente normativa ungherese che, come si è detto, impone il divieto di diffusione ai minorenni di rappresentazioni sull’omosessualità, si pone in pieno contrasto con i principi fondanti dell’Unione, di fatto discriminando la comunità LGBTIQ. 

La questione è stata posta al centro del dibattito dal premier olandese Mark Rutte, nel corso dell’ultimo Consiglio europeo, durante il quale quest’ultimo ha invitato il Primo ministro ungherese Viktor Orban a uscire dall’Unione Europea in caso di mancata condivisione dei valori e dei principi comunitari, avviando la procedura prevista dall’art. 50 TUE, già nota per le vicende della Brexit.  

La Commissione europea sta lavorando a una lettera di messa in mora all’Ungheria e la sua presidente, Ursula von der Leyen, ha condannato fermamente la condotta del governo di Budapest, dichiarandosi pronta ad attivare qualsiasi potere della Commissione per contrastare le violazioni dei principi fondanti dell’UE. 

Anche il Parlamento europeo, lo scorso 8 luglio, ha approvato una risoluzione con cui ha condannato la normativa ungherese, con una maggioranza di 459 voti a favore e 147 contrari. Nel blocco di minoranza si sono sostanzialmente collocati i più noti movimenti sovranisti. Anche Lega e Fratelli d’Italia, secondo cui un intervento dell’UE rappresenterebbe un’ingerenza nell’esercizio di legittime prerogative statali, hanno votato contro la risoluzione. 

Ciò che preoccupa, piuttosto, è l’insorgere di un clima di anti-europeismo, nonostante i risultati ottenuti dall’UE nel combattere la pandemia di Covid-19, la cui risposta – seppur perfettibile – rappresenta innegabilmente il frutto di uno sforzo politico collettivo. L’attuale presidenza di turno slovena del Consiglio dell’UE, il cui primo ministro ha storicamente assunto posizioni di estrema destra, sembra comunque avere adottato una linea politica non particolarmente distante dai suoi predecessori. 

In questo contesto, è stata recentemente presentata una carta dei valori che ha rinnovato l’alleanza tra i gruppi nazionalisti d’Europa, cui hanno aderito il partito conservatore polacco Diritto e Giustizia, il premier Orban e altri gruppi europei dalla medesima matrice, tra cui anche i leader dei già citati partiti politici italiani. Il documento in questione sottende l’idea di un ridimensionamento dell’Unione Europea a un’organizzazione meramente intergovernativa, rafforzando l’esercizio del diritto di veto in seno alle Istituzioni UE. 

Mentre la Commissione europea discute sul possibile stop del piano di ripresa e resilienza dell’Ungheria, per via dell’assenza di garanzie sufficienti sul corretto impiego dei fondi comunitari, sarebbe più opportuno, forse, che una risposta politica chiara giungesse anche dalle altre Istituzioni dell’UE, maggiormente rappresentative degli interessi degli Stati membri. 

La tutela dei diritti fondamentali, infatti, si impone quale priorità sia per l’Unione Europea – in quanto ente sovranazionale – sia per i suoi Paesi, in ragione dell’impegno condiviso non solo per il rispetto di tali diritti, ma anche per la loro tutela e promozione. Nessuno spazio per qualsiasi legge che violi i diritti umani può essere concesso se si intendono consolidare le conquiste democratiche raggiunte negli ultimi anni, in coerenza con lo spirito del progetto europeo e in conformità con quanto statuito nei Trattati.