Processo per la morte di George Floyd, l’inizio del cambiamento?

Prosegue a Minneapolis il processo per la morte di George Floyd. Sul banco degli imputati Derek Chauvin, l’ex ufficiale di polizia accusato dell’omicidio dell’afroamericano, morto mentre si trovava sotto la custodia della polizia.


Il processo per la morte di George Floyd arriva a quasi un anno dal tragico evento che ha riportato al centro dell’opinione pubblica americana (e non solo) la brutalità della polizia e la questione razziale. Il 25 maggio 2020, Floyd viene arrestato da Chauvin e da altri tre agenti. Nonostante l’uomo sia disarmato e non reagisca in alcun modo, l’operazione avviene in modo insensatamente violento. Secondo la ricostruzione del New York Times Floyd, con i polsi ammanettati dietro la  schiena – e di conseguenza del tutto innocuo – viene bloccato sull’asfalto dagli agenti mentre Chauvin preme sul collo con il suo ginocchio.

L’intera scena viene ripresa da un passante e nel video si sente chiaramente la voce di Floyd supplicare più volte «non respiro». Ma per otto, interminabili, minuti il ginocchio di Chauvin rimane sul collo di Floyd. Anche quando l’afroamericano perde i sensi e anche dopo l’arrivo dell’ambulanza, il poliziotto non si smuove da quella posizione. Quella sera George Floyd morirà in ospedale, per arresto cardiaco. Tutti gli agenti coinvolti vengono arrestati il 29 maggio, dopo giorni di dure proteste a Minneapolis e in altre città. 

Mentre gli altri tre ex agenti coinvolti (Tou Thao, Thomas Lane e J. Alexander Kueng), accusati di favoreggiamento e favoreggiamento di omicidio di secondo grado, saranno processati separatamente  in un secondo momento – presumibilmente ad agosto, a causa delle disposizioni anti-Covid – il processo di Chauvin è entrato nel vivo. L’uomo rischia fino a 40 anni di carcere. È accusato di omicidio involontario di secondo grado per aver aggredito intenzionalmente Floyd e aver provocato la sua morte, omicidio colposo di secondo grado per aver agito con negligenza e omicidio di terzo grado per aver agito con «mente depravata e senza riguardo per la vita umana».

La difesa ha tentato fin da subito di “manomettere” il processo presentando una mozione al giudice per chiedere di spostare il caso fuori dalla contea di Hennepin, dove si trova Minneapolis. Ha infatti sostenuto che la pubblicità intorno al caso comprometterebbe il diritto di Chauvin a un equo processo e questo soprattutto dopo il raggiungimento di un accordo civile tra la città di Minneapolis e la famiglia di Floyd per 27 milioni di dollari. Secondo la difesa, l’annuncio dell’accordo – sopraggiunto durante la selezione della giuria –  avrebbe pregiudicato negativamente il loro cliente. Il giudice ha però negato la mozione, concludendo: «non credo che ci sia posto nello stato del Minnesota che non sia stato oggetto di un’estrema pubblicità su questo caso».

La reale preoccupazione della difesa non era tanto dovuta alla pubblicità, inevitabile, del caso. In realtà, attraverso il trasferimento, la difesa puntava ad ottenere una giuria meno diversificata dal punto di vista razziale. La contea di Hennepin è infatti la contea più popolosa del Minnesota e anche quella che presenta la percentuale più alta di residenti afroamericani (circa il 13,6%). Spostare il processo in un’altra contea avrebbe garantito una giuria con meno afroamericani e di conseguenza meno severa nei confronti dell’imputato. La strategia della difesa non è andata a buon fine. 

Il processo di selezione della giuria, iniziato il 9 marzo, si è svolto a un ritmo più rapido del previsto. Secondo Minnesota Public Radio, la giuria è composta da tre uomini neri, una donna nera, due donne di etnia mista, due uomini bianchi e quattro donne bianche. Dunque, una giuria ancora più diversificata dal punto di vista razziale rispetto alla stessa contea di Hennepin. Sebbene la diversità della giuria non comporti nulla di certo, dal momento che non è possibile prevedere come essa deciderà, è comunque un dato positivo. Dimostra che, fino a questo punto, il giudice e le parti hanno fatto bene il loro lavoro garantendo, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa, lo svolgimento di processo equo e privo di elementi compromettenti. 

Non potendo contare su una giuria a prevalenza bianca, come si sta articolando la strategia di difesa? Innanzitutto, Chauvin ha deciso di non testimoniare in udienza, invocando il quinto emendamento e dunque il suo diritto di rimanere in silenzio e lasciare l’onere della prova allo Stato. Secondo molti è stata una decisione ad alto rischio. Parlare avrebbe potuto contribuire all’umanizzazione dell’imputato. Allo stesso tempo, lo avrebbe però esposto a un duro controinterrogatorio da parte dell’accusa, che probabilmente non sarebbe riuscito a reggere. 

In secondo luogo, la difesa sostiene che la morte di George Floyd debba essere classificata come “indeterminata”. Infatti, secondo il patologo forense nominato dalla difesa, il dott. David Fowler, la causa della morte non era chiara perché c’erano «tanti meccanismi potenziali diversi in conflitto». I fattori a cui fa riferimento sono il consumo di fentanil e metanfetamina da parte della vittima e addirittura la sua possibile esposizione all’avvelenamento da monossido di carbonio dallo scarico della macchina della polizia. Per il dott. Fowler la causa della morte sarebbe «un arresto cardiaco improvviso», sopravvenuto mentre l’uomo lottava con gli agenti.

La tesi della difesa contrasta con il referto dell’autopsia presentato dall’accusa. Come sostenuto nel corso della sua testimonianza dal dott. Bradford T. Wankhede Langenfeld, uno dei medici che hanno cercato di rianimare la vittima in ospedale, la causa della morte sarebbe stata l’asfissia e non l’arresto cardiopolmonare – il quale, secondo l’accusa, non può essere ritenuto una causa di morte dal momento che si tratta di un termine che genericamente si utilizza quando smettono di funzionare cuore e polmoni. Langenfeld ha anche smentito la tesi della difesa secondo la quale Floyd avrebbe avuto un’overdose di farmaci oppiacei, estremo tentativo della difesa non solo di far cadere le accuse in capo al proprio cliente ma anche di “macchiare” il ricordo della vittima attribuendogli problemi di droga e problemi di salute non curati.

Una delle testimonianze più importanti e che avrà un peso decisivo nella decisione della giuria è quella resa da Medaria Arradondo, capo della polizia di Minneapolis. Arradondo ha condannato le azioni di Chauvin e sostenuto che in nessun caso è tollerato il metodo utilizzato per arrestare Floyd. Il codice di comportamento della polizia locale dice infatti che gli agenti possono usare la tecnica del ginocchio sul collo (tecnica estremamente pericolosa e per questo vietata in numerosi corpi di polizia statunitensi) solo quando una persona resiste attivamente all’arresto. Non è il caso di George Floyd, come comprovato da numerosi video. Cade così un altro punto chiave della difesa di Chauvin. George Floyd è morto di asfissia e la mancanza di ossigeno è stata causata dal mondo in cui è stato bloccato dall’ex agente di polizia, come più volte ripetuto nel corso della sua testimonianza dal cardiologo Jonathan Rich.

L’accusa e la difesa dovrebbero presentare gli argomenti conclusivi lunedì.  Il giudice ha già avvertito i giurati circa la durata della loro discussione per emettere il verdetto: «Aspettatevi che lunedì, quando vi presenterete in servizio, sarà seguito dal sequestro. Quindi, preparate una borsa».

processo per la morte di George Floyd

Il processo per la morte di George Floyd ha un forte valore simbolico. Raramente gli agenti di polizia accusati di violenze e brutalità ne affrontano le conseguenze legali. In genere, viene loro concesso il beneficio del dubbio sia legalmente che culturalmente. Al poliziotto viene concessa la possibilità di spiegare il proprio comportamento e di ottenere qualunque attenuante possibile. 

Come ricorda TIME, nei casi in cui le azioni di un agente di polizia hanno provocato la morte di un uno o più individui, solitamente l’accusa detiene poche prove per accertare la responsabilità della polizia.  In genere, è la parola della vittima contro la parola dell’agente, il quale si trova in una posizione di potere e di conseguenza a soccombere è sempre la vittima. «La nostra società tende ad essere più solidale con la polizia», ​​afferma Daniel Nagin, professore di politiche pubbliche alla Carnegie Mellon. 

Il caso Floyd è importante sia perché, stavolta, l’accusa dispone di prove schiaccianti contro gli agenti (primo fra tutti il video che ha fatto il giro del mondo, nel quale si sente chiaramente George Floyd implorare aiuto) sia per ciò che è accaduto dopo l’omicidio. All’indomani della sua morte un’intera nazione è scesa in piazza a manifestare contro le ingiustizie subite dal popolo nero e contro la violenza della polizia nei suoi confronti.

Troppi i casi di afroamericani uccisi dalla polizia senza alcuna ragione. L’ultimo solo pochi giorni fa, sempre a Minneapolis. Daunte Wright, un ventenne afroamericano, è stato ucciso dalla polizia dopo essere stato fermato per un’infrazione stradale. L’intera colluttazione è stata ripresa dalla telecamera montata sulla divisa dell’agente che ha sparato. L’ennesima vittima di un sistema malato che necessita di essere cambiato. Il processo per la morte di Floyd potrebbe essere l’inizio del cambiamento.