Recovery Plan e giovani, quale futuro?

Ad aprile 2021 anche l’Italia dovrà presentare il proprio Recovery Plan all’Unione Europea. Nella bozza, però, solo il 2% dei fondi è destinato ai giovani.


Com’è noto, al fine di fronteggiare la crisi economica e pandemica da Covid-19, l’Unione Europea ha stanziato 750 miliardi di euro da dividere tra gli Stati membri: l’Italia e la Spagna sono tra i maggiori beneficiari di tale misura. Entro Aprile 2021, i Paesi destinatari dovranno presentare i propri Recovery Plan per poter ottenere tali fondi. La bozza del Recovery Plan italiano (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) si sviluppa in sei missioni, i cui interventi sono stati definiti lo scorso 12 gennaio 2021.

Il piano programmatico va a indirizzare oltre 200 miliardi di euro e si focalizza, in particolare, sulla riforma fiscale, sulla digitalizzazione e su misure volte alla sostenibilità ambientale (la c.d. svolta green).

A sostegno delle politiche giovanili, tuttavia, la bozza del piano va a stanziare 4,53 miliardi di euro per i prossimi sei anni, pari soltanto al 2% del totale, come sostiene lo studio condotto dalla Fondazione Bruno Visentini. Una notizia non proprio confortante, se si legge alla luce degli ultimi dati sulla diminuzione dell’occupazione: secondo l’Istat, la disoccupazione giovanile è in rapida crescita e si attesta al 30,3%. 

Si consideri, inoltre, che tale dato potrebbe essere addirittura parziale, in quanto molti giovani sono comunque impegnati in attività lavorative diverse dal lavoro subordinato. I giovani e le donne stanno pagando, dunque, il prezzo più alto della crisi attuale: il divario generazionale si fa sempre più marcato e, per tale ragione, si rendono urgenti misure per frenare questa inesorabile ingiustizia sociale.

Ebbene, proprio sulla base di questi dati preoccupanti, la scelta italiana di investire soltanto il 2% del totale delle risorse sui giovani genera qualche disappunto. Altri Paesi europei, con dati occupazionali meno allarmanti, hanno destinato alle politiche giovanili molti più fondi: la Francia prevede investimenti pari a 15 miliardi di euro da destinare alle politiche attive del lavoro e alla formazione attraverso piattaforme ad hoc, la Spagna destinerà il 17,6% dei fondi e il Portogallo l’8,6%.

C’è da dire anche che in Italia, su 4,53 miliardi previsti per i giovani, la bozza del piano nazionale va a destinare più di 900 milioni al Servizio Civile che, per quanto sia un’esperienza formativa e un percorso utile allo sviluppo personale di ogni giovane, non rappresenta una soluzione ai problemi strutturali circa la disoccupazione giovanile.

Le risorse destinate ai giovani sono insufficienti anche alla luce delle nuove linee guida della Commissione europea sull’utilizzo dei fondi che individuano, come priorità d’investimento, il sostegno alle nuove generazioni.

Ma in questa prospettiva non può non notarsi un’importante discrepanza tra gli obiettivi europei enunciati a sostegno delle politiche giovanili e il Recovery Fund presentato dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. I programmi di mobilità giovanile come “Erasmus”, “Europa Creativa”, “Corpo Europeo di solidarietà” hanno infatti subito un’importante riduzione di finanziamento. Basti pensare che, ad oggi, le proposte di finanziamento dei tre programmi rispetto alla bozza del 2018 sono:

– 5,4 miliardi di euro in meno per “Erasmus (finanziamento previsto 24,6 miliardi rispetto ai 30 preventivati nel 2018);
– 330 milioni di euro in meno per “Europa Creativa” (finanziamento previsto 1,52 miliardi rispetto a 1,85 del 2018);
– 365 milioni di euro in meno per il “Corpo di Solidarietà Europeo” (finanziamento previsto 895 milioni rispetto al 1,26 miliardi del 2018).

Questa scelta economica ci comunica che si sta per fare un passo indietro, anche a livello europeo, sui giovani, sulla mobilità e sulla crescita della solidarietà tra culture differenti che sono e restano principi alla base dello sviluppo della cittadinanza europea. In virtù di queste riduzioni d’investimento, è bene ricordare che l’Unione Europea dovrebbe essere guidata da principi di libertà circa la mobilità di persone, capitali, lavoro e servizi: ideali che hanno contribuito a formare la nostra identità, prima di cittadini italiani ed europei, e oggi come cittadini del mondo.

Dunque, a vedere tali scelte d’investimento, italiane ed europee, sembra che il divario generazionale non sia un grave problema quando, invece, si rischia di commettere una tra le più gravi violazioni di diritti di tutti i tempi: il rinnego del cosiddetto patto intergenerazionale. L’ingiustizia sociale, infatti, parte dall’ineguaglianza di opportunità e l’Italia, come l’Unione, non può rimanere sorda ai problemi dei giovani, resi noti solo in parte dai dati sulla disoccupazione.

In ogni caso, preme precisare che il documento di programmazione di cui qui si discute è ancora in fase di definizione: altre scelte potrebbero operarsi durante le prossime settimane. Per comprendere come potrà allora cambiare il piano nazionale di programmazione, potrebbe essere utile richiamare le parole pronunciate dal nuovo Presidente del Consiglio dei ministri (in attesa della fiducia) durante il meeting di Ravenna 2020

recovery plan

Mario Draghi, in quella occasione, ha rilevato la necessità di una svolta economica e politica a sostegno dei giovani. «Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di disuguaglianza», così l’ex Presidente della BCE si era rivolto ai governi, auspicando dei cambiamenti di politica economica che tenessero conto del divario generazionale. In tale circostanza, Draghi ha altresì chiarito quali obiettivi ogni Stato dovrebbe perseguire per gestire la crisi generazionale e per garantirsi un futuro: «in quest’ottica, il primo compito dei governi è quello di evitare che si realizzi una distruzione di capitale umano senza precedenti dai tempi della seconda guerra mondiale».                      

Sulla base di quanto detto, potrebbe allora ritenersi plausibile un cambiamento della bozza programmatica in questo senso. In particolar modo, secondo il nuovo Presidente del Consiglio, il sistema dei sussidi – così come oggi è stato inteso – non sarebbe sufficiente ad aiutare le giovani generazioni, che dovranno anche gestire un notevole debito pubblico. 

I sussidi servirebbero, secondo questa visione, solo nelle fasi iniziali di una crisi “a sopravvivere e a ripartire”, ma non servirebbero a risolverla strutturalmente. I bonus non pongono soluzioni di lungo periodo, ma generano problemi di sostenibilità futura. Secondo Draghi l’investimento sui giovani, sulla formazione e sul lavoro, è essenziale e tale scelta non può e non deve operarsi tramite il sistema dei bonus.

C’è da dire che il Governo Draghi dovrà ristrutturare il Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza anche sulla base delle “risorse straordinarie” dell’Unione Europea. Infatti, nelle nuove linee guida per il Recovery Plan, le Istituzioni europee hanno nuovamente sottolineato la necessità per gli Stati di investire sulle “nuove generazioni” e oggi tale obiettivo diviene pilastro del programma europeo. In estrema sintesi, rimodulando gli obiettivi nazionali sulla base di quelli europei e utilizzando i sussidi straordinari, i fondi destinati ai giovani dovrebbero aumentare fino a 20 miliardi.

Alla luce di ciò, non ci resta che rimanere in attesa del Recovery Plan che verrà presentato entro il prossimo Aprile. Questo potrà darci un’idea, non solo di come si gestirà la crisi intergenerazionale, ma di tutte le strategie politiche ed economiche del nuovo governo pronto a partire.