Renzi fa tremare il governo, Conte sopravvive. Crisi programmata?

Matteo Renzi si piazza in trincea per l’attacco all’Esecutivo, rimanendo con una crisi esplosiva in mano. Il governo Conte adesso cammina sulle uova.


Alla fine di una giornata molto tesa, Giuseppe Conte ha ottenuto 156 sì al voto di fiducia di ieri in Senato, con una maggioranza risicata, dopo quella ottenuta alla Camera dei Deputati con 321 sì. Matteo Renzi, che ha aperto la crisi di governo con le dimissioni di ministri e sottosegretari di Italia Viva dall’Esecutivo – le ministre Elena Bonetti (Famiglia e Pari opportunità) e Teresa Bellanova (Politiche agricole) e il sottosegretario Ivan Scalfarotto (Affari esteri) – vota l’astensione in blocco col suo partito e si ritrova in un (apparentemente) inspiegabile isolamento.

Antiche incomprensioni e una rottura annunciata da diverse settimane hanno trovato sfogo in una crisi in cui non sperava nessuno, uno scontro a muso duro che si è consumato nel bel mezzo di una pandemia che stenta a rallentare.

Una spaccatura improvvisa, ma non troppo

La settimana scorsa Renzi aveva ritirato la delegazione di Italia Viva dal governo per costringere il governo Conte ad adottare cambiamenti importanti nel lavoro dell’Esecutivo, da oltre un anno e mezzo sostenuto da una maggioranza eterogenea (5s-Pd-Leu-IV).

Perché Renzi ha tentato il colpo gobbo? Molti commentatori hanno definito «incomprensibile» – compreso lo stesso presidente del Consiglio Conte – la scelta di Italia Viva di aprire una crisi di governo proprio adesso e con queste modalità. Il partito capitanato da Matteo Renzi si è espresso in maniera compatta contro l’operato di Conte e del suo governo, giudicato insufficiente nella gestione della pandemia, oltre che poco collaborativo sull’utilizzo dei fondi europei del Recovery Fund. Su questi fondi, oltre 200 miliardi, si gioca d’altronde la ripresa italiana nei prossimi sette anni.

Alcuni dissapori provengono però da lontano. Il disaccordo storico sulla linea di credito del MES, la riapertura delle scuole per molti più studenti e la delega ai servizi segreti in mano a Conte (che però ha annunciato di cedere a «una persona di fiducia») fanno parte degli ulteriori motivi dell’assalto renziano. Quest’ultimo motivo, dal retrogusto di spy story, include presunte concessioni italiane in favore dell’amministrazione Trump.

Indebolimento di Conte, sì. Rafforzamento di Italia Viva, no

Considerato che Italia Viva nei sondaggi gode di un consenso marginale – tra il 3 e il 4 per cento – è probabile che l’operazione “crisi di governo” mirasse ad aumentare il proprio peso nel prosieguo di questa esperienza governativa, che quasi tutti gli analisti avevano previsto continuasse, seppur con qualche fondamentale stampella all’indomani dei voti di fiducia in Parlamento. L’intervento delle stampelle bianche o azzurre, o dei cosiddetti “costruttori”, chiamati anche responsabili, è stato infatti fondamentale al sostegno di questo “governo dei malavoglia”.

Ciò che è ancora oggetto di discussione è cosa ci si aspettasse concretamente dall’apertura della crisi da parte del partito di Matteo Renzi. Dato che l’astensione di Italia Viva, annunciata nei giorni immediatamente precedenti alle votazioni per la fiducia, avrebbe significato un fronte del no certamente di minoranza, quale risposta si sperava da parte di Giuseppe Conte nelle comunicazioni alle Camere? 

Il tentativo di scossone non ha sortito l’effetto sperato e neanche un effetto di “trascinamento” di altri frammenti della maggioranza. Nella stessa lettera di dimissioni delle ministre e del sottosegretario Scalfarotto si legge la consapevolezza di una crisi piuttosto blanda: «Se il parlamento troverà un modo per mandare avanti la legislatura anche senza il contributo di Italia Viva, daremo lealmente una mano dai banchi dell’opposizione. Abbiamo già detto che voteremo sì ai provvedimenti sull’emergenza sanitaria, sui ristori economici e sullo scostamento di bilancio». 

La risposta di Conte nelle comunicazioni alle Camere è stata in verità piuttosto ferma e, anzi, di corteggiamento – vedi il Sen. Nencini apostrofato come «fine intellettuale» – alle altre forze politiche che volessero aiutare la causa governativa.

Ciò che risulta incomprensibile è, oltre ai motivi certamente profondi e difficili da interpretare immersi fra le viscere della politica dura e pura, l’impressione che Matteo Renzi abbia deciso di far tremare il governo, fungendo da mattoncino fondamentale a esaurimento rapido, senza però prevedere un “piano B” che mettesse, in qualche modo, in salvo il suo partito.

Con la caduta del governo – anzi, con le dimissioni di Conte presentate al Colle – le elezioni con l’ultima legge elettorale e con l’ultima riforma costituzionale sulla diminuzione del numero dei parlamentari, sarebbero state un’autentica ghigliottina sui renziani, come previsto e scongiurato dallo stesso Renzi. Con la fiducia raggiunta da Conte – come è accaduto – lo strappo di Italia Viva è insanabile e l’isolamento diviene vera e propria condanna per il resto della legislatura. Quanto però durerà il governo in versione rinnovata (non un vero e proprio Conte ter), è tutto da vedere.

I preparativi «poco onorevoli» per la crisi

Lo scorso 17 dicembre in una lettera inviata dal leader di Italia Viva al presidente del Consiglio erano state rivolte diverse accuse contro il governo Conte. Fra quella lettera e le ultime affermazioni prima del voto in Senato si è espressa la polemica sui morti a causa del coronavirus in Italia, una polemica giudicata dal presidente del Consiglio «poco onorevole». 

Il 17 dicembre Renzi affermava, infatti, che «abbiamo il più alto numero di morti da Covid in Europa»; vero, se per Europa si intende Ue, dato che il Regno Unito ha più decessi totali dell’Italia. Ieri affermava che «l’Italia è il Paese al mondo con il peggior rapporto tra popolazione e decessi per Covid» anche se diverse fonti smentiscono questa dichiarazione. Siamo però i terzi al mondo per morti sul numero di malati, come attestato dagli studi della Johns Hopkins University. Ma sarebbe più opportuno scendere sulle questioni più tecniche; le classifiche sui morti sono abbastanza inutili e tristi.

Tutto per una bozza?

La polemica contro la gestione del piano vaccinale da parte del commissario straordinario Arcuri – nonostante venga sbandierato da giorni il primato italiano dei vaccini effettuati – non si è placata, con ripetute richieste a gran voce dell’«intervento dell’Esercito piuttosto che di un manager».

Ma è il “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, ovvero il cuore della gestione del Recovery Fund, il principale pomo della discordia. L’idea iniziale del presidente Conte era quella di creare una “cabina di regia” composta da Presidenza del Consiglio, dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e da quello dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, affiancati da manager che a loro volta avrebbero dovuto sovrintendere a dei tecnici, considerate le diverse e complesse condizionalità sui fondi.

Il piano, così strutturato nella bozza approvata l’11 gennaio (anche con alcuni contributi di Italia Viva), è stato ripetutamente osteggiato da Renzi. Il 28 dicembre, durante una conferenza stampa, il leader di Italia Viva aveva presentato il discusso piano “CIAO” (acronimo di Cultura, Infrastrutture, Ambiente e Opportunità). Si tratta di una proposta alternativa per l’utilizzo dei fondi che, come precisato dallo stesso leader di Italia Viva, «non sono 209 miliardi» bensì «circa 82 miliardi a fondo perduto, mentre il resto sono prestiti». Questa ottantina di miliardi, secondo Renzi, andrebbe spesa in nuovi progetti di cultura e turismo, invece di rimpolpare «vecchie proposte» o «altri sussidi».

Cosa ha ottenuto Renzi da questa “crisi programmata”?

Renzi guadagna preziose correzioni al piano per il Recovery Fund e la gestione non più diretta da parte di Conte dei servizi segreti. È poco? Forse sì, per il leader di Italia Viva, giunto ormai alla resa dei conti finale, con i suoi 43 parlamentari e due (ex) ministre della squadra di governo, con quest’ultimo che aveva aperto al «terzo ministero di peso». 

Sembra un bottino che poteva essere ottenuto semplicemente contrattando privatamente dietro le quinte, senza lasciare sgomento il popolo italiano davanti uno scontro così aspro in diretta televisiva, in uno stile che si addice di più a un prodigioso oratore, come si dimostra spesso Renzi dai banchi del Senato.

Resta appuntato al petto un modo di fare, quello di Matteo Renzi, impulsivo, forse dettato dal carattere e spinto dal richiamo della vetrina. Stavolta l’animo ha giocato un ruolo preponderante sulle strategie politiche e sull’intelligenza che contraddistingue da anni il «talento sprecato» (come lo ha definito Gianrico Carofiglio a Otto e mezzo) riuscito a distruggere più di un governo e a rimettersi abilmente in campo nonostante promesse di abbandono, batoste clamorose e crolli spaventosi nei sondaggi.


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