Dpcm e decreti legge, tra efficacia e legittimità

Mai come quest’anno lo strumento del dpcm ha visto un utilizzo così diffuso e di tale portata e in molti si chiedono se quest’uso sia legittimo.


Da circa un anno, ormai, il termine dpcm (abbreviazione che sta per Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) ci suona abbastanza familiare, assieme ad altri come lockdown, o coprifuoco. L’ultimo in ordine di tempo è il dpcm del 3 dicembre scorso, il cosiddetto Decreto Natale (con successiva circolare per maggiori precisazioni), che ha illustrato le ultime novità applicabili alla situazione emergenziale causata dal Covid-19.

Il Governo si è preoccupato di chiarire alcune fattispecie, soprattutto in vista del periodo natalizio, cercando di operare un bilanciamento tra la protezione di un’economia in estrema difficoltà e la tutela del diritto alla salute, nell’ottica del contenimento del contagio, per evitare il sovraccarico e il conseguente collasso del sistema sanitario.

Oltre a ribadire l’utilizzo delle mascherine (tranne per tre categorie espressamente individuate, ossia soggetti che stanno svolgendo attività sportiva, bambini al di sotto dei sei anni e soggetti con patologie o disabilità incompatibili con l’uso delle mascherine) e la distanza di sicurezza di almeno un metro (art. 1, c. 1, lett. a, b e c; art. 1, c. 2), il decreto si preoccupa di riconfermare la limitazione degli spostamenti dalle 22 alle 5 del mattino per tutti i giorni, tranne per il 31 dicembre (dalle 22 alle 7 del 1° gennaio 2021).

Spostamenti che saranno consentiti solo per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità, o per motivi di salute. Per la restante parte della giornata, «è fortemente raccomandato di non spostarsi se non per esigenze lavorative, di studio, per motivi di salute, per situazioni di necessità o per svolgere attività o usufruire di servizi non sospesi» (art. 1, c. 3).

L’art. 1, c. 4 si preoccupa di organizzare gli spostamenti in entrata e in uscita, precisando che «ai sensi dell’art. 1, c. 2 del decreto legge del 2 dicembre 2020, n. 158, dal 21 dicembre 2020 al 6 gennaio 2021 è vietato, nell’ambito del territorio nazionale, ogni spostamento in entrata e in uscita tra i territori di diverse regioni o province autonome, e nelle giornate del 25 e 26 dicembre 2020 e del 1° gennaio 2021 è vietato altresì ogni spostamento tra comuni», esclusi quelli per comprovate esigenze di lavoro, o per motivi di salute o di necessità. È garantito, comunque, il rientro nella propria residenza, domicilio o abitazione.

Continuano a essere chiusi palestre, piscine, cinema, teatri, sale da concerto, musei sia al chiuso che all’aperto (art. 1, c. 10, lett. f, m, r); continua la didattica a distanza per le scuole di secondo grado, con riapertura degli istituti il 7 gennaio 2021, con una didattica in presenza al 75 per cento (art. 1, c. 10, lett. s); confermata la sospensione per tutte le prove preselettive e scritte delle procedure concorsuali pubbliche e di quelle di abilitazione all’esercizio delle professioni (art.1, c. 10, lett z).

Molte polemiche sono sorte in questi mesi riguardo l’utilizzo di uno strumento come il dpcm, invero fino ad oggi usato molto poco, e sicuramente non con una portata così rilevante; polemiche dettate dal fatto che tali atti restringono fortemente molti di quei diritti considerati fondamentali dalla Costituzione, la cui limitazione è garantita (quindi, in un certo senso, “protetta”) dalla riserva di legge (e atti aventi forza di legge).

Ciò per assicurare la suddivisione dei poteri, evitando che il potere esecutivo prenda il sopravvento rispetto al potere legislativo, con la previsione di un controllo costante operato dal Parlamento; quest’ultimo, nel caso dei decreti legge (atti emanati interamente dal Governo in situazioni di urgenza, ai sensi dell’art. 77 Cost.), potrà non convertirli alla scadenza dei 60 giorni di validità dello stesso; invece, nel caso dei decreti legislativi, sarà l’Assemblea stessa a delegare al Governo la disciplina di dettaglio, previa precisazione dei “paletti” fissati nella legge delega (che precede l’emanazione del decreto legislativo ed è discussa in Parlamento).

In questo delicato sistema di controllori e controllati, i dpcm si inseriscono nella categoria dei provvedimenti amministrativi emanati direttamente dal Presidente del Consiglio (quindi, non dall’intero Consiglio dei Ministri), entrano in vigore immediatamente e sono di rapida emanazione; questa loro caratteristica ha fatto sì che fossero gli atti “preferiti” da utilizzare in una situazione emergenziale come quella che stiamo attraversando.

Questa, però, non può essere la sola giustificazione al loro utilizzo, considerando anche il fatto che il nostro ordinamento, come accennato sopra, ha già uno strumento ad hoc per situazioni di urgenza, ossia il decreto legge, disciplinato dall’art. 77 della nostra Costituzione.

Solitamente usati per disciplinare questioni meramente tecniche su un determinato settore, oppure a contenuto particolare e discrezionale (esempio tipico, la disciplina dei criteri per le nomine dirigenziali), dal punto di vista formale i dpcm sono atti di secondo grado; questo significa che, nella gerarchia delle fonti, si trovano a un livello inferiore rispetto alla legge e agli atti aventi forza di legge (cioè decreti legge e decreti legislativi); da ciò scaturisce la necessità che essi discendano da una legge o da un atto avente forza di legge, pena la loro incostituzionalità.

E questo è esattamente ciò che è accaduto: ciascun dpcm sinora emanato, si regge su un decreto legge precedente allo stesso (decreto Io resto a casa, decreto Semplificazioni, decreto di agosto e, da ultimo, il d. l. 158/2020, più sopra citato).

Se da un punto di vista formale, dunque, i dubbi sulla legittimità dei dpcm sono dissipati, per certi aspetti permangono quelli in merito al contenuto: è evidente a tutti, infatti, che tali decreti impongono delle restrizioni notevoli e limitino alcune libertà fondamentali (una tra tutte, quella di spostarsi nel territorio, prevista dall’art. 16 Cost.), compito che dovrebbe essere affidato solo ed esclusivamente alla legge o ad atti aventi forza di legge e di certo non a provvedimenti amministrativi di secondo grado. Dubbi che si sarebbero evitati se il Governo avesse utilizzato lo strumento del decreto legge, coinvolgendo, così, sia l’intero Consiglio dei Ministri, sia il Parlamento (in sede di successiva eventuale conversione).

Sia i decreti legge che i dpcm entrano immediatamente in vigore, tuttavia, essendo i primi degli atti collegiali, è indubbio che la loro stesura richieda tempistiche maggiori; quindi, sebbene siano più garantisti rispetto a un dpcm, assicurando un dialogo tra le forze di opposizione e il potere legislativo (in sede di conversione), si deve ammettere come lo strumento del dpcm risulti più utile ed efficace, soprattutto per la prontezza di intervento, in un momento in cui la celerità dei provvedimenti è diventata una prerogativa indispensabile.

In un periodo storico in cui ogni atto o comportamento trova giustificazione nell’emergenza inaspettata e senza precedenti che stiamo attraversando, sembra dunque che anche il dialogo democratico ne paghi le conseguenze, riducendosi e venendo in parte sacrificato.


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