L’accordo commerciale Asia-Pacifico: il Regional Comprehensive Economic Partnership

Il 15 novembre scorso è stato siglato un accordo commerciale fra alcuni Stati affacciati sul Pacifico che potrebbe rappresentare una svolta economica globale.


I quindici Paesi firmatari della Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) appartengono tutti all’area del sud-est asiatico e si affacciano sul Pacifico. Nel dettaglio, questi Stati sono: Brunei, Cambogia, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar, Singapore, Filippine, Tailandia, Vietnam, Australia, Cina, Giappone, Corea del Sud e Nuova Zelanda.

Come è evidente dalla lista dei Paesi, allo zoccolo duro di quelli appartenenti all’Association of South-East Asian Nations (ASEAN) se ne sono aggiunti alcuni di grande rilevanza dell’area del Pacifico, come Cina, Australia e Giappone. Secondo una prima stima della popolazione presente nei territori considerati, i Paesi firmatari rappresentano circa un terzo di quella mondiale. L’area di libero scambio costituisce, in aggiunta, anche un terzo del PIL mondiale e oltre il 50% della produzione manifatturiera a livello globale. Una dimensione economica enorme.

La materia principale della RCEP riguarda il libero scambio del settore manifatturiero e di quello dei servizi. Quest’ultimo è meno approfondito rispetto al primo e, nonostante sia stato definito un accordo di libero scambio tout court, esso abbatterà, in realtà, i dazi per una dimensione variabile tra l’85% e il 90%. A livello di approfondimento dell’integrazione commerciale, il Trattato non è paragonabile alla Trans-Pacific Partnership (TPP), l’accordo commerciale – sponsorizzato e sostenuto in un primo momento dagli Stati Uniti e dal quale questi ultimi hanno receduto sotto l’amministrazione Trump – che presentava un abbattimento dei dazi prossimo al 100%. Un settore del tutto assente nell’accordo è quello agricolo.

Le dimensioni dell’accordo rischiano di scompaginare le gerarchie economiche dell’area e quelle presenti a livello globale. Non vi sono dubbi che la Cina otterrà degli evidenti vantaggi nel settore delle esportazioni, ma anche gli altri Paesi potranno trarne beneficio. L’ipotesi più probabile sarà assistere all’approfondimento dell’integrazione commerciale dell’area con la creazione di una catena del valore che si snodi tra gli Stati coinvolti. Allo stesso tempo, i Paesi economicamente avanzati dell’area potrebbero, con molta probabilità, spingere con forti investimenti in quelli  meno sviluppati per ottenere un ritorno produttivo.

Il peso politico cinese risulta rafforzato dalla RCEP e la Cina continua a perseguire una politica commerciale fatta di accordi multilaterali che le permettano di ridurre i dazi nei confronti delle proprie merci e di integrarsi con le economie vicine e lontane. Non bisogna dimenticare come la Cina abbia spinto una forte collaborazione coi Paesi dell’ASEAN e, contemporaneamente, abbia promesso forti investimenti per la creazione della Belt and Road Initiative (BRI), probabilmente la più importante iniziativa di politica economica cinese finora dispiegata e, tuttora, in fase di crescita.

I due sconfitti di questo accordo sono sostanzialmente gli Stati Uniti – sempre più lontani dallo scacchiere pacifico e che vedono allontanarsi tre alleati storici, quali Giappone, Australia e Corea del Sud – ma soprattutto l’India, che aveva inizialmente partecipato ai tavoli per entrare, salvo poi abbandonarli per lo scarso approfondimento nel settore dei servizi, dove la potenza asiatica dispiega il suo “miracolo economico”.

L’esclusione americana è particolarmente importante perché tira fuori gli Stati Uniti dai due principali accordi commerciali per l’area: quello appena firmato e il sopracitato TPP, dal quale l’amministrazione Trump si è sfilata. Uno dei rischi è quello di un’egemonia cinese sull’area non bilanciata dalla potenza economica nipponica e favorita dall’assenza indiana, che potrebbe porre le basi anche per un’implementazione di strutture tecnologiche cinesi e rafforzare gli investimenti strutturali e digitali già fortemente avanzati sotto l’ombrello della BRI.

Naturalmente, non è ancora certo che la RCEP andrà incontro a un successo. Dopo la conclusione degli accordi, è adesso prevista la ratifica da parte dei vari Paesi, una procedura lunga e laboriosa che durerà due anni. Tale lasso di tempo, in cui potrebbe accadere di tutto, rappresenta anche il margine che la nuova amministrazione statunitense ha per reinserirsi da protagonista nell’area. 

Quello che sembra emergere e rafforzarsi è la tendenza, sviluppatasi negli ultimi anni, a un ritrarsi della globalizzazione e a un contemporaneo rafforzarsi della regionalizzazione, con economie che tendono sempre più a integrarsi a livello continentale o di macro-regioni. Da questo punto di vista, la nuova RCEP non costituisce un’eccezione.


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