La modernità di Lidia Poët, la prima avvocata italiana

Dallo scorso 15 febbraio Netflix ha proposto la serie La legge di Lidia Poët: sei episodi che ci portano indietro nel tempo di più di due secoli per raccontarci una storia affascinante fino ad oggi poco conosciuta.


È il 9 agosto 1883, un giorno d’estate come tanti in cui in realtà si sta scrivendo un pezzo di storia: è proprio in questa data, infatti, che una giovane donna piemontese, Lidia Poët, diventa la prima donna in Italia a essere ammessa all’esercizio della professione forense, iscrivendosi all’albo dell’ordine degli avvocati e procuratori di Torino.

Ma la conquista sarà effimera, poiché poco dopo la Corte d’Appello di Torino annullerà la sua iscrizione a seguito di un ricorso presentato dal procuratore generale del Regno d’Italia. Indignata, Poët ricorrerà in Cassazione, che però confermerà la sentenza della Corte d’Appello, sostenendo che «l’avvocatura è un ufficio nel quale le femmine non devono immischiarsi» poiché «sarebbe disdicevole e brutto veder le donne accalorarsi in discussioni oltre limiti che al sesso più gentile si conviene di osservare. E non si deve, quindi, chiamare la donna a funzioni per le quali essa non è adatta per la sua stessa costituzione organica».

Una sconfitta che non ferma le idee

Una doccia fredda per l’avvocata piemontese, che si troverà costretta a non poter più esercitare ufficialmente la professione, per decenni; professione che in realtà non abbandonerà mai del tutto, collaborando col fratello Enrico – anche lui avvocato – ma soprattutto lavorando nei Congressi penitenziari internazionali, come componente della segreteria, battendosi per i diritti dei detenuti e dei minori. Per non parlare del suo impegno nella lotta all’emancipazione femminile, che la porterà a far parte del Consiglio nazionale delle donne italiane dal 1903, sostenendo l’estensione del voto e dei diritti civili alle donne; e inoltre, si farà portavoce di numerose proposte estremamente progressiste per l’epoca e che diventeranno legge solo molti decenni dopo, come l’abolizione del lavoro minorile, o il divieto di vendita di alcolici ai minori.

Solo nel 1919, all’età di 65 anni, Lidia Poët vedrà riconosciuto, finalmente, il suo diritto a esercitare la professione, potendosi iscrivere all’albo e diventando la prima avvocata d’Italia.

Lidia Poët in chiave moderna

Una storia affascinante ma essenzialmente di nicchia, quella di Lidia Poët, conosciuta solo in ambiti specifici da “quelli del mestiere”, diventa un prodotto mainstream come solo Netflix ha il potere di fare.

La Lidia Poët portata sullo schermo da Matteo Rovere e interpretata da Matilda De Angelis è sfrontata, sfacciata, a tratti insolente, spesso sboccata, libera (anche sessualmente): in una parola, moderna, forse troppo, soprattutto per una Torino di fine Ottocento.

Ma probabilmente siamo disposti a perdonare imprecisioni e inesattezze storiche, a fronte di un messaggio sotteso molto più importante, che si cela dietro la soluzione di casi in stile Sherlock Holmes: La legge di Lidia Poët è la storia di una donna forte, coraggiosa, sicuramente in controtendenza rispetto ai suoi tempi. E allora perché non sottolineare ancora di più questa ribellione, perché non renderla ancora più evidente, seppur rinunciando a una ricostruzione più credibile e fedele ma sicuramente meno d’effetto?

È proprio ciò che ha voluto fare il regista, che ha dichiarato: «L’idea è di riprendere alcuni elementi della sua storia reale per rielaborarli in chiave light procedural. La vera Poët è un personaggio fortemente resiliente che rispetto al suo tempo non ha alcuna forma di pacificazione. Abbiamo cercato di “teletrasportare” un carattere moderno nel passato, per far sì che i contrasti tematici venissero alla luce attraverso una sensibilità contemporanea».

Una storia non così lontana

D’altronde, i parallelismi con l’attualità non mancano: le obiezioni, gli sguardi di biasimo, i rimproveri, i commenti sessisti di 200 anni fa, per certi aspetti sono gli stessi che sentiamo oggi, e pesano ancora, ingombranti come macigni e più duri del marmo.

Poco importa che sia il 1800 o il 2023: ci sarà sempre una società che, ora come allora, continuerà a predisporre dei modelli da seguire, delle tappe obbligate da raggiungere, dei ruoli da ricoprire (e non solo per le donne), dei confini da non valicare, qualcosa da “non fare” perché non è nella natura delle cose. Ben venga, allora, raccontare storie di ostinazione, ribellione e perseveranza, perché sono questi gli esempi che non invecchieranno mai.


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