Cina e Africa, una nuova fase nelle relazioni sino-africane

Nominato il 30 dicembre 2022, Qin Gang, 56 anni, è succeduto a Wang Yi come direttore dell’ufficio Affari Esteri del Partito Comunista Cinese. Il tradizionale viaggio in Africa da parte del ministro cinese non solo dà il via al suo mandato ma si presume preannunci una nuova fase delle relazioni sino-africane.


Anche stavolta la Cina ha rispettato l’usanza di iniziare il nuovo anno con una visita da parte del ministro degli esteri nel continente africano, tradizione che va avanti ormai dal 1992. Fedelissimo del presidente cinese Xi Jinping, Qin Gang, ex ambasciatore a Washington, dà inizio alla sua nuova carica di ministro degli esteri cinese con un tour, durato dal 9 al 16 gennaio, in cinque paesi africani: Etiopia, Gabon, Angola, Benin, Egitto. “Questo dimostra come la Cina attribuisca grande importanza alla tradizionale amicizia con l’Africa e allo sviluppo delle relazioni sino-africane”, ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, da Pechino. 

Che sia un caso che il suo debutto sia avvenuto appena un mese dopo l’incontro tra il presidente USA Joe Biden e i 49 leader africani a Washington? In tale occasione Biden ha reso nota la sua volontà di includere l’Unione Africana come membro permanente del G20 e ha stilato un piano di 2 miliardi e mezzo di dollari in aiuti alimentari.

Sembra dunque chiaro che l’obiettivo della visita del Ministro degli esteri Qin Gang sia quello di confermare l’interesse della Cina per il continente, considerando il crescente attivismo russo nella regione e il vertice USA-Africa di Biden per rilanciare il supporto economico in una regione oppressa dai debiti e spaventata dal terrorismo islamico.

I rapporti tra la terra del Dragone e il continente nero vantano una lunga tradizione di investimenti basati sul principio del do ut des che ha come principale oggetto di scambio le numerose materie prime di cui l’Africa dispone. Si tratta di un rapporto win-win che nel giro di qualche anno è diventata ormai la formula principale nelle relazioni con il continente africano. 

La Cina rimane il primo partner commerciale in Africa. Come si evince dai dati delle dogane cinesi nel 2022, l’interscambio ha raggiunto i 282 miliardi di dollari, in aumento dell’11% su base annua. Inoltre, grazie alla strategia “Going out” di Pechino – un insieme di misure adottate dalla Cina per aumentare gli investimenti all’estero avviate alla fine degli anni 90’ – le relazioni sino-africane si sono sviluppate principalmente in ambito economico anche a seguito delle numerose richieste per l’aumento di fondi per lo sviluppo in Africa e della diminuzione dei prestiti da parte degli enti locali. 

A partire dalla metà degli anni 90’ la Cina ha incrementato la sua presenza sul territorio africano, soprattutto nel settore del commercio, degli investimenti e dei prestiti. Questo ha portato allo sviluppo di fori diplomatici, fondi multilaterali per lo sviluppo e accordi di cooperazione in settori strategici come sicurezza e tecnologia.

Ad esempio, nel 2000 nasce il Forum on China Cooperation (FOCAC),  una piattaforma in cui si definiscono obiettivi politici comuni per la crescita dei rapporti sino-africani. Fondi come il China Africa Development Fund o quelli relativi alla Belt and Road initiative hanno l’obiettivo di “dirigere surplus e overcapacity cinese verso nuovi mercati e progetti” e costituiscono un “canale di finanziamento alternativo” per i paesi africani. 

Per quanto concerne l’ambito della sicurezza, la questione si fa più complessa. Le ragioni sono da ricercarsi nell’attuale conflitto tra Ucraina e Russia. Dallo scoppio della guerra, il Cremlino ha destinato la maggior parte delle risorse militari in Ucraina piuttosto che ad altre zone del mondo. Così, Pechino ha guadagnato terreno all’interno di un continente che sta diventando sempre più importante dal punto di vista geopolitico.

La Cina intende mantenere un certo distacco sia dalle politiche americane sia dal conflitto russo-ucraino. A tal proposito, durante l’incontro con il presidente della Commissione dell’Unione Africana Moussa Faki, il nuovo ministro degli esteri cinese ha dichiarato: “L’Africa dovrebbe essere un grande palcoscenico per la cooperazione internazionale, non un’arena per la competizione tra i principali paesi”. 

Ma non è tutto oro quello che luccica. Secondo ISPI, le citate piattaforme multilaterali in realtà non farebbero altro che evidenziare le differenze economiche tra Cina e Africa. Infatti, le esportazioni cinesi verso il continente nero superano di gran lunga quelle in direzione opposta e riguardano prodotti diversi: mentre la Cina esporta prodotti di uso quotidiano, tecnologia e macchinari, le esportazioni africane riguardano il settore delle risorse naturali. Inoltre, i prestiti cinesi non favorirebbero la creazione di posti di lavoro né il trasferimento di competenze e non terrebbero conto dell’impatto ambientale. 

I leader africani hanno messo in discussione le condizioni a cui sono consentiti i prestiti cinesi, con particolare riferimento alle possibilità di ripagamento. La Cina ha preso atto del rischio di default in luoghi come Zambia e Angola modificando, di conseguenza, l’approccio verso il continente nero.

Per accrescere le relazioni tra Cina e Africa, Qin ha proposto quattro punti, con l’obiettivo di intensificare gli scambi e l’apprendimento reciproco sulla governance, favorire l’integrazione africana a livello internazionale attraverso delle strategie di sviluppo ad hoc, collaborare nella difesa dell’unità e della cooperazione dei paesi in via di sviluppo.

La presenza cinese in Africa sembra ben accetta, come testimoniano i post su Twitter con gli hashtag #Ethio_China e #Africa_China. Tuttavia c’è chi si interroga sugli effetti delle asimmetrie nei rapporti bilaterali. Hannah Ryder, fondatrice della ONG con base a Pechino Development Reimagined, ha pubblicato un’analisi in cui si prospetta una trasformazione delle relazioni Cina-Africa in relazioni Africa-Cina. 

“Ciò che l’Asia dimostra è che anche i paesi a basso reddito possono ottenere molto dalle relazioni con la Cina – dalle fabbriche cinesi esternalizzate che forniscono migliaia di posti di lavoro in Vietnam e Bangladesh, ai turisti cinesi in Thailandia, agli aiuti cinesi trasparenti in Cambogia. Prendiamo ad esempio la metrica delle quote delle importazioni di prodotti non agricoli o minerari. Il 16% dell’Africa è paragonabile al 79% dell’Asia”. 

Inoltre, dall’analisi di Hannah Ryder si evince che gli africani potrebbero chiedere di più. “I governi potrebbero anche utilizzare la strategia continentale per sviluppare programmi più specifici per ogni paese. Fondamentalmente, la nostra speranza è che la strategia Africa-Cina fornisca la base ai leader africani per richiedere un maggiore intervento cinese e di altri soggetti e che l’Africa adotti un approccio più organizzato e collaborativo a seguito del maggiore impegno ottenuto”.

In conclusione, nell’attuale scenario internazionale caratterizzato da una competizione tra Stati Uniti e Cina sempre più tesa, dalla corsa alle materie prime e dal conflitto russo-ucraino, la realizzazione di una nuova politica estera cinese in Africa sembra essere sempre più necessaria. La visita del nuovo ministro degli esteri cinese in territorio africano, in tal senso, ha come obiettivo sia quello di continuare ad investire nella cooperazione internazionale con l’Africa sia quello di assegnare alla Cina il ruolo di mediatore nei conflitti internazionali, attribuendo così a Pechino maggiore peso geopolitico.

Foto di Copertina REUTERS/Tiksa Neger


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