Cina, le sfide interne e internazionali per Xi Jinping
A pochi mesi dal XX Congresso del Partito Comunista Cinese, Pechino si trova a fare i conti con una serie di eventi, sia sul fronte interno che su quello esterno, che potrebbero avere delle ripercussioni sul terzo mandato di Xi Jinping.
Il 10 luglio 2022 una folla ha protestato davanti alla People’s Bank of China a Zhengzhou con l’obiettivo di riottenere i propri risparmi. «Henan banks, return my savings!» si sentiva urlare tra la folla che sventolava la bandiera nazionale cinese, scagliandosi contro i governi locali e chiedendo un risarcimento al governo centrale.
La polizia cinese ha brutalmente represso una delle più grandi proteste dall’inizio dell’epidemia, che da scandalo locale si è trasformato in uno scandalo nazionale dovuto all’uso delle App di monitoraggio COVID. Numerosi clienti che volevano raggiungere Zhengzhou per un intervento del governo centrale sono rimasti bloccati perché il loro status di salute risultava rosso sull’app, ostacolando così i loro spostamenti.
Quest’anno la Cina ha assistito ad altre proteste legate alla crisi bancaria in corso. L’episodio in analisi ha come protagonisti quattro banche locali della provincia di Henan, Shangcai Huimin County Bank, Yuzhou Xinminsheng Village Bank, New Oriental Country Bank of Kaifeng e Zhecheng Huanghuai Community Bank, e una nell’Anhui, Guzhen Xinhuaihe Village Bank, in cui avevano depositato i loro risparmi milioni di correntisti per un valore rispettivamene di 10 e 40 miliardi di yuan (1,5-6 miliardi di dollari circa). A partire dal mese di aprile questi ultimi non hanno potuto accedere ai loro risparmi.
Le banche locali sono caratterizzate da problemi e rischi sistemici dovuti all’aumento dei prezzi di case, gestione illecita del sistema bancario e incertezza politica. A seguito di un’indagine condotta dalla polizia cinese gli istituti finanziari sono stati accusati di corruzione, specialmente l’Henan Xincaifu Group, una società di investimenti e gestione patrimoniale che aveva partecipazioni presso tutte le banche sopra citate.
L’Henan Xincaifu Group, presieduto da un imprenditore accusato di essere leader di un’organizzazione criminale, dal 2011 aveva ottenuto il controllo delle partecipazioni attraverso falsi prestiti e altri metodi illeciti. Secondo l’autorità bancaria di Pechino, la CBIRC, pare che il gruppo sia riuscito a condizionare le piccole banche e tirare a sé fondi in maniera illegale da altre province attraverso piattaforme online.
Come scrive The Diplomat, la terra del Dragone sta assistendo alla «più grande truffa bancaria della nazione». Se sarà possibile recuperare i fondi, resta un mistero. La legge cinese dispone di una garanzia per depositi fino a 500mila yuan ma le somme andate perdute superano di gran lunga tale garanzia, preoccupando sempre più i correntisti. Inoltre, essi temono che i loro fondi non siano stati registrati correttamente e che i prodotti finanziari in cui avevano investito siano valutati come investimenti illeciti.
La gravità di tale crisi riguarda il fatto che situazioni analoghe possono ritrovarsi sparse per il territorio cinese, come sostiene Guido Alberto Casanova, Research Assistant and Editorial Assistant presso ISPI, nel suo articolo “Botte e Covid non nascondono i problemi finanziari della Cina”. Come si evince dall’articolo, l’attuale situazione pone dei dubbi sulla credibilità del sistema finanziario cinese. Le banche locali sembrano essere «l’anello debole del sistema».
L’economia rurale cinese e le piccole attività commerciali dipendono molto dalle banche locali, il che le espone al contatto con creditori non in grado di ripagare i prestiti. Ad aggravare la situazione vi sono le avversità nate dalla politica zero Covid e quelle che riguardano il settore immobiliare a cui le banche locali sono connesse.
Il presidente Xi Jinping ha rassicurato la popolazione che rafforzerà il controllo del sistema finanziario. Il sistema politico cinese, a differenza degli altri sistemi politici, assicura che il Partito Comunista Cinese ricopra ambiti che vanno oltre il campo politico. Con il Presidente al centro del sistema, il PCC detiene il controllo della magistratura e dei mercati e ha anche trasferito le sue funzioni basilari ai leader locali del partito, in modo da limitare la responsabilità al governo locale.

La crescita della crisi bancaria nell’Henan potrebbe influenzare il futuro politico di Xi Jinping e del PCC. Stando alla realtà dei fatti mantenere la stabilità e l’unità nel partito è fondamentale. Se le proteste in corso dovessero aumentare, Xi dovrebbe operare in modo da mantenere la fiducia della popolazione.
Secondo G.A. Casanova, dai dati bancari non sembra sussista una minaccia incombente ma resta da chiedersi se le supposizioni delle autorità bancarie siano accurate e come i dirigenti cinesi intendono gestire questa vicenda e le altre che nei prossimi mesi e anni verranno a galla. Chi dovrà pagare per rimediare alle falle del sistema? Il futuro cinese sembra essere legato alla risposta che verrà data a queste domande.
E se sul fronte interno le preoccupazioni riguardano il ripristino della stabilità economica, sul fronte esterno la stabilità torna a vacillare con la ribelle Taiwan e i suoi compagni: gli USA. L’arrivo a Taiwan di Nancy Pelosi, Speaker della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, il 2 agosto scorso, ha agitato il Partito Comunista Cinese dal momento che la Cina considera l’isola parte del suo territorio da riannettere entro il 2049, dando inizio a un via vai di caccia militari cinesi nello spazio aereo dell’isola di Formosa.
Nel suo discorso, la speaker americana ha definito Taiwan come una robusta democrazia, etichetta alquanto fastidiosa per la Cina dato che l’isola è considerata come un Paese indirettamente indipendente, anche se ufficialmente – per la diplomazia USA – non è così. «L’America è con Taiwan», ha dichiarato Pelosi, menzionando il Taiwan Relations Act del 1979, simbolo degli ottimi rapporti tra Taipei e Washington.
I toni usati da Nancy Pelosi sembrano essere lontani da quella ambivalenza spesso usata per descrivere le relazioni con Taipei. La speaker americana denuncia anche le violazioni dei diritti umani da parte di Pechino ad Hong Kong e sugli uiguri dello Xinjiang, mettendo in evidenza quanto sia necessario tutelare i valori democratici, valori che hanno residenza a Taiwan.
La speaker ha continuato il suo discorso facendo riferimento anche all’attuale situazione in Ucraina e ha concluso dicendo: «Viaggiando a Taiwan, onoriamo il nostro impegno per la democrazia: riaffermando che le libertà di Taiwan – e di tutte le democrazie – devono essere rispettate». L’affermazione sembra essere una polemica contro la Cina, che si è placata nel momento in cui Pelosi ha dichiarato che le relazioni diplomatiche tra Pechino e Taiwan, basate sulla One-China policy, non sono destinate a cambiare.
Il viaggio di Nancy Pelosi sembra avere diverse sfaccettature che riguardano il campo economico ma anche quello politico. Taiwan è una delle economie più sviluppate al mondo e la visita della speaker favorisce il rafforzamento degli interessi americani sull’isola, specie in ambito tecnologico. Ma l’ex senatore Max Baucus, un democratico del Montana che ha servito come ambasciatore in Cina sotto l’ex presidente Obama, ha interpretato il viaggio come «una provocazione gratuita nei confronti di Pechino».
L’amministrazione Biden, nei mesi precedenti, aveva tentato di porre le basi per una strategia economica e diplomatica in Asia, cercando di confermare ai “Paesi amici” la presenza degli USA nella regione e rafforzando le loro alleanze. È stato creato anche un patto economico regionale che limitasse l’ascesa di Pechino. Inoltre, il presidente degli Usa ha visitato Giappone e Corea del Sud per sottolineare che l’impegno statunitense in Asia non è stato messo in ombra dal caso Ucraina.
Questo mette in evidenza il fatto che gli USA «non intendono scegliere tra Europa e Asia, ma vogliono riunire sotto il proprio cappello le democrazie di Oriente e Occidente per opporsi all’autocrazia e all’aggressione in entrambi gli emisferi», come si evince dall’articolo “Il viaggio di Biden in Asia” dell’ISPI. Inoltre, la settimana prima della visita, il presidente Xi Jinping, durante una telefonata con il suo omologo Joe Biden, parlando proprio della visita della speaker ha esordito dicendo: «Chi gioca col fuoco finirà bruciato».
In autunno, si terrà il XX Congresso del Partito Comunista Cinese che dovrebbe conferire a Xi il suo terzo mandato. Per tale ragione il presidente non può permettersi segni di debolezza. Pechino ha risposto come da suo solito, con l’invio di navi da guerra e aerei nello stretto di Taiwan e un ban all’export dell’industria agroalimentare taiwanese.
Per tali ragioni il viaggio di Nancy Pelosi è stato più volte scoraggiato dalla Casa Bianca e rinviato a dopo il congresso del Partito comunista cinese: un inasprimento delle relazioni con la Cina potrebbe avvicinarla al Cremlino, una delle realtà più temute da Washington. Inoltre, sia Biden che Xi stanno attualmente vivendo incertezze economiche domestiche, per cui a nessuno dei due risulta conveniente mostrarsi deboli.
L’ultimo incontro di un presidente della Camera statunitense a Taiwan risale al 1997, quando Newt Gingrich si recò a Taipei e incontrò il presidente Lee Teng-hui. Le circostanze erano diverse ma soprattutto la Cina era diversa. Pechino allora non era molto forte militarmente; oggi invece ha “mostrato i muscoli”, circondando Taiwan di missili e navi dal 2 al 6 agosto. Successivamente gli USA hanno inviato quattro navi da guerra a est dell’isola a sostegno di Taipei.
Secondo Paolo Magri, direttore Istituto Studi Politica Internazionale, una reazione cinese ci sarà certamente e solo se prevarrà la ragionevolezza si eviterà un’esibizione di forza militare. Ma il caso dell’Ucraina insegna che non sempre la ragionevolezza prevale e, anche in assenza di un’escalation militare, delle reazioni ci saranno e i danni potranno essere significativi. Sempre secondo Magri «dopo questa visita, considerata da Pechino come una grave provocazione, gli spazi di collaborazione potrebbero ridursi sempre più e quell’amicizia senza limiti fra Cina e Russia, di cui parlano sempre Putin e Xi Jinping, potrebbe diventare qualcosa di più di uno slogan».