Inflazione, transitoria o persistente?

L’inflazione è una delle più importanti declinazioni economiche del Covid. Cos’è e in che modo le principali potenze economiche la interpretano e affrontano.


Si ha inflazione quando si registra un aumento generalizzato dei prezzi – non limitato quindi a singole voci di spesa – che determina la perdita di potere d’acquisto della moneta e, dunque, un’erosione della capacità da parte dei consumatori di procurarsi beni e servizi. 

Utile per il calcolo dell’inflazione è la determinazione delle abitudini medie della popolazione attraverso la definizione di un paniere di riferimento, ossia lo strumento statistico utile per rilevare i prezzi al consumo di generi di uso quotidiano (ad esempio alimentari, giornali, benzina), beni durevoli (ad esempio capi di abbigliamento, computer, lavatrici) e servizi (ad esempio affitto dell’abitazione, servizi di parrucchieria, assicurazioni) nel mercato dei consumatori.

In estrema semplificazione, dallo studio del paniere di riferimento in un determinato arco temporale – solitamente 12 mesi – ne deriva un indice che esprime la media dei prezzi dei beni al consumo (ponderata con l’incidenza di ciascuno sul loro insieme). La differenza percentuale tra i vari indici, nell’arco piano definito, determina il tasso di inflazione. In Italia l’organo incaricato della stima e del monitoraggio del tasso di inflazione è l’Istituto nazionale di Statistica (ISTAT). 

Ogni anno il paniere viene aggiornato al fine di fotografare fedelmente i consumi degli italiani, dando al prezzo di ciascun elemento il peso con cui va a incidere sul portafoglio dei consumatori. Ad esempio, tra i prodotti rappresentativi dell’evoluzione nelle abitudini di spesa delle famiglie e delle novità normative, entrano nel paniere 2022 pubblicato nella prima parte del mese di febbraio dall’ISTAT i seguenti beni e servizi: sedia da PC, friggitrice ad aria, saturimetro (o pulsossimetro), psicoterapia individuale, test sierologico, molecolare e rapido per Covid-19, poke take away e streaming di contenuti musicali.

Inflazione e pandemia

All’interno del quadro macroeconomico della ripresa post-pandemica, l’inflazione è uno dei più importanti temi, se non il principale, che tiene banco nel dibattito economico odierno. Lo scorso novembre all’interno della zona OCSE si è registrato un incremento dei prezzi su base annua pari a +5,8 punti. Un tale livello dei prezzi non veniva raggiunto in Europa da ben 25 anni. Nello stesso periodo in esame, il dato negli USA si attestava a +6,8 punti percentuali, il maggior aumento dal 1982.

“Aprendo” il paniere 2021 possiamo notare come una variazione così significativa dell’inflazione è imputabile principalmente all’aumento dei prezzi dei beni energetici (+30,6 per cento). In applicazione della più classica delle leggi economiche, la mancanza di risorse determina un eccesso di domanda da cui ne consegue un inasprimento dei prezzi. 

Le cause dell’eccesso di domanda che sta alimentando l’attuale fenomeno inflazionistico non sono da ricercare esclusivamente nella scarsità delle risorse ma anche, come riportato lo scorso dicembre dall’economista statunitense Paul Krugman nelle colonne del The New York Times, nella grande crisi logistica che il mondo sta vivendo: il “conveyor belt” si è inceppato. 

La supply chain, riprendendo le parole di Krugman, «[…] non è capace di tenere il passo con una domanda straordinaria. La spesa totale dei consumi non è cresciuta così velocemente, ma in un’economia ancora condizionata dalla pandemia, le persone hanno spostato i loro consumi da varie pratiche agli oggetti – ovvero, stanno spendendo meno sui servizi ma molto di più sui prodotti. La versione caricaturale di tutto questo è che le persone impossibilitate o indisponibili ad andare in palestra hanno invece acquistato la cyclette, e qualcosa di simile è effettivamente successo un po’ dappertutto […]».

Un recente studio della Bank for International Settlements stima che la crisi logistica, che si sostanzia ad esempio nella scarsità della capacità portuale, degli autotrasportatori, degli spazi di immagazzinamento e altro ancora, e una scarsità di semiconduttori al silicone, abbia contribuito all’inflazione per ben 2,8 punti percentuali.

Inflazione: “transitory” o “persistent”?

Gli economisti di tutto il mondo sono attualmente divisi tra il “Team transitory” – che sostiene che si stia assistendo a un fenomeno temporaneo destinato a svanire nel breve termine – e il “Team persistent” – che sostiene l’ipotesi opposta, rievocando similitudini con la crisi petrolifera degli anni ‘70 che aprì di fatto a una stagione di stagflazione, ossia un pericoloso mix di stagnazione economica e inflazione persistente.

Da mesi ormai si assiste ai continui botta e risposta tra Christine Lagarde, Presidente della Banca centrale europea (Bce), e Jerome Powell, Presidente della Federal Reserve (Fed). La prima ferma sostenitrice della transitorietà del fenomeno, il secondo che già dallo scorso novembre – in occasione della sua testimonianza al Congresso – ha optato per «[…] ritirare la definizione ‘transitoria’ per l’inflazione […]».

Christine Lagarde

Ovviamente il tema non è esclusivamente tassonomico. Quanto fin qui discusso si riflette nelle diverse strategie di politica economica intraprese dalla Bce e dalla Fed che ruotano, per l’appunto, attorno alle aspettative di inflazione. 

La Fed, interpretando come strutturale il fenomeno inflazionistico attualmente in atto, ha deciso di intervenire inasprendo il costo del denaro, prevedendo almeno tre rialzi dei tassi di interesse nel corso del 2022, senza che sia esclusa l’ipotesi da parte di Jerome Powell di intervenire con ulteriori rialzi qualora la dinamica dei prezzi lo richiedesse.

Tuttavia, va sottolineato che il fenomeno inflazionistico americano poggia principalmente su una combinazione di rialzo dei prezzi da domanda e da offerta. Pertanto, la Fed può decidere di intraprendere azioni di politica monetaria al fine di influenzare l’inflazione da domanda per controllare così la spirale inflazionistica. Ovviamente sarà necessario prestare molta cautela al fine di evitare una recessione indotta dalla politica monetaria

Christine Lagarde in un’intervista al Redaktionsnetzwerk Deutschland, in risposta a una domanda sul perché la Bce non alzi i tassi per combattere l’inflazione ha risposto: «[…] se ora agissimo in modo troppo affrettato, la ripresa delle nostre economie potrebbe essere considerevolmente più debole e verrebbero messi a rischio posti di lavoro. Questo non aiuterebbe nessuno […]».

Dato un livello di inflazione più contenuto rispetto a quello statunitense e un differente stato di maturazione del ciclo economico, seguire la Fed nella via del rialzo dei tassi di interesse avrebbe un impatto negativo sull’economia. Oltretutto va sottolineato che in Europa l’inflazione deriva principalmente dall’inasprimento dei costi dall’energia e dalle difficoltà sopradescritte legate alla supply chain, per cui l’attuazione di eventuali politiche monetarie non porterebbe al medesimo risultato nelle due sponde dell’oceano atlantico.

Seppur ancora è presto per poter scegliere in modo definitivo quale sia l’aggettivo più calzante per definire questa inflazione (se transitory o persistent), senz’altro questi primi mesi del 2022 hanno dimostrato che le tesi portate avanti nel corso del secondo semestre 2021, secondo la quali l’inflazione sarebbe rapidamente svanita, erano errate. 

In tal senso va notato anche il leggero cambio di rotta della Bce, principale sostenitrice del fronte transitory. Come si può leggere dal Bollettino economico Bce, n. 1 – 2022 diffuso lo scorso 17 febbraio:

«[…] è probabile che l’inflazione resti elevata più a lungo rispetto alle precedenti attese, per poi ridursi nel corso del prossimo anno […]». Una rilettura di tale fenomeno trova conferma anche nelle parole di Christine Lagarde la quale, nel corso dell’ultima conferenza stampa che segue la riunione del Consiglio Direttivo, ha mostrato tutta la sua preoccupazione riguardo all’andamento dell’inflazione «[…] non vogliamo agitare le acque, ci muoviamo con gradualità, ma la situazione effettivamente è cambiata. Rispondiamo a una situazione, ma la situazione è cambiata […]».

Questo cambio di prospettiva determina anche una possibile revisione della strategia di politica economica intrapresa. Sempre nella sopracitata conferenza, la Presidente della Bce per la prima volta non ha escluso un aumento dei tassi di interesse già quest’anno: «[…] non faccio mai promesse senza condizionalità e, in questo momento, è ancora più importante essere molto attenti a questo. Valuteremo molto attentamente, saremo dipendenti dai dati. Faremo questo lavoro a marzo […]». Servirà attendere quindi marzo e il prossimo Consiglio Direttivo per capire se la Bce continuerà con il proprio approccio attendista oppure se seguirà la Fed e la sua politica monetaria restrittiva.