La lunga disputa sulle targhe tra Serbia e Kosovo
Si è risolta la disputa tra Serbia e Kosovo sui documenti necessari per far circolare i propri cittadini che aveva riacceso i riflettori su una zona instabile da anni.
Si è tornati a parlare di tensioni tra Kosovo e Serbia a seguito delle proteste scoppiate a fine luglio tra i due paesi balcanici. Questa volta la disputa riguardava la normativa – che sarebbe stata introdotta il 1° agosto – sul divieto di targhe e documenti serbi per entrare in Kosovo. Molti cittadini kosovari di etnia serba, circa 100,000 persone su 1,8 milioni, hanno bloccato le principali vie di passaggio al confine tramite macchine e camion, obbligando la polizia a chiudere le strade. Soltanto il 27 agosto, a seguito di numerose proteste e dopo aver rimandato l’introduzione del divieto fino al 1° settembre, si è giunti finalmente ad un accordo.
La Serbia ha accettato di abolire i documenti di ingresso e uscita per i cittadini kosovari. Il Kosovo non vieterà più, dunque, le targhe e i documenti serbi per entrare nel proprio Paese. L’accordo è stato annunciato su Twitter da Josep Borrell, Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza.
La mossa del governo kosovaro era stata definita come una misura di reciprocità: infatti, nemmeno alle targhe del Kosovo era prima permesso l’ingresso in Serbia, previo il rilascio di una targa serba temporanea ottenibile ad un prezzo calmierato. Il divieto sarebbe andato a colpire direttamente la minoranza serba che vive nel nord del Paese e che avrebbe avuto due mesi di tempo per poter cambiare le targhe serbe, considerate illegali in Kosovo, con una targa del paese di residenza. Inoltre, chiunque avesse utilizzato un documento serbo per passare il confine avrebbe dovuto ottenere una dichiarazione temporanea di 90 giorni.
Questa è stata solo l’ultima protesta di una lunga serie che rende instabile la situazione del Paese balcanico e che ha esacerbato il rapporto con la Serbia. Infatti, il Kosovo si è dichiarato indipendente nel 2008, ma non è ancora stato riconosciuto dal governo di Belgrado. La storia delle targhe non è nuova.
Nel 2011 i due Paesi avevano concordato di emettere delle targhe sia con la sigla RKS, “Repubblica del Kosovo”, sia con la sigla KS, “Kosovo”, queste ultime come concessione alla Serbia che non riconosceva il Paese vicino. Ma dallo scorso anno, una volta scaduto l’accordo, il rinnovo non è stato effettuato e la polizia ha iniziato a confiscare diverse targhe serbe.
Nell’ultimo incontro tra il presidente serbo Aleksandar Vucic e il primo ministro kosovaro Albin Kurti, che si è tenuto a Bruxelles lo scorso 18 agosto, non si era ancora raggiunto alcun nuovo accordo tra i due Paesi. A questo proposito Jens Stoltenberg, il segretario generale della NATO, aveva rilasciato delle dichiarazioni, avvertendo della possibilità di un intervento qualora il libero movimento delle persone non venisse garantito. «Se la situazione dovesse deteriorarsi siamo pronti a intervenire. Il dialogo è l’unica soluzione per la regione». Queste le parole di Stoltenberg, il quale voleva scongiurare a tutti i costi un’ulteriore escalation.
Entrambi i capi di Stato sono rimasti fermi, fino all’ultimo, nelle loro posizioni. Il presidente Kurti aveva puntato il dito contro il governo di Belgrado, accusandolo di aver istigato atti violenti nei confronti del popolo di Pristina. Il contrattacco di Vucic non si era fatto attendere. In una recente conferenza stampa, si era mostrato convinto della vittoria della Serbia: «Non ci arrenderemo e la Serbia vincerà».
Inoltre, all’inizio di agosto, a seguito delle prime tensioni al confine per la legge sulle targhe, un membro del parlamento serbo aveva pubblicato un tweet inneggiando a una “denazificazione” dei Balcani, alla quale sarebbero stati obbligati se la situazione non fosse migliorata.
La presidente del Kosovo Osmani ha paragonato le modalità con cui la Serbia si riferisce agli altri Paesi alla propaganda utilizzata dal presidente russo Putin. «[Vucic] guarda ai nostri Paesi come temporanei e nega la loro esistenza, nello stesso modo di Putin con l’Ucraina». Proprio la Serbia è stato l’unico Paese dell’Europa occidentale a non unirsi alle sanzioni contro la Russia, mantenendo solidi rapporti con il Cremlino, mettendo però a rischio la sua candidatura per l’entrata nell’Unione Europea.
Durante questo trambusto, i rappresentanti di quattro cittadine kosovare a maggioranza serba si erano riuniti, il 24 agosto, nella città di Zvecan per protestare contro questo divieto. In una dichiarazione resa pubblica quel giorno, si leggeva l’intenzione, da parte di diversi rappresentanti di etnia serba, di lasciare tutte le cariche istituzionali del Kosovo qualora la nuova legge sulle targhe e i documenti fosse stata implementata dal 1° settembre.
Questa non è l’unica battaglia che il Kosovo ha dovuto combattere in questa calda estate. A luglio si è infatti tenuto il Sunny Hill Festival a Pristina, un festival musicale che ha avuto come madrina Dua Lipa, cantante di origine albanese-kosovora, durante il quale governo e artisti hanno esortato l’Europa a rimuovere il visto per i cittadini kosovari che viaggiano negli altri Paesi europei. Il Kosovo si batte da tempo per poter garantire la libera circolazione della popolazione kosovara in Europa, esercitando lo stesso diritto che hanno già anche altri Paesi che non fanno parte dell’Unione Europea – per esempio, l’Ucraina.
Nonostante i numerosi ostacoli, si è riusciti dunque a sancire la libertà di movimento e la validità dei documenti kosovari per entrare in Serbia, sebbene ciò non implichi il riconoscimento di Pristina da parte del governo di Belgrado. «Questo lavoro sulla libertà di movimento non finisce qui. Vi sono altri problemi in sospeso», ha affermato Borrell, commentando i recenti sviluppi ed evidenziando che vi è ancora molta strada da fare in questa area balcanica.