La Serbia di Vučić a un mese dalle elezioni
Dopo essere stato rieletto, il presidente della Serbia Aleksandar Vučić deve affrontare l’instabilità del Paese, le richieste dell’Unione Europea e la guerra in Ucraina.
Lo scorso mese si sono tenute le elezioni presidenziali in Serbia, che hanno visto trionfare nuovamente il presidente Aleksandar Vučić con il 58,5% dei voti. Al suo secondo mandato, Vučić deve affrontare ancora le accuse di corruzione e l’instabilità del Paese causata dalla guerra in Ucraina.
Il Partito Progressista Serbo (SNS) ha preso il potere più di 10 anni fa e continua ad adottare una politica autoritaria. Sebbene il presidente Vucic abbia ottenuto una buona percentuale di voti, il partito ne ha ricevuti circa il 42%, ragion per cui non ha ottenuto la maggioranza in Parlamento: infatti, i seggi ottenuti sono passati da 188 a 121, meno della metà dei 250 disponibili in parlamento. Probabilmente, un governo non riuscirà a costituirsi per molti mesi a venire.
Per la prima volta, invece, l’opposizione si è unita, formando il partito “Uniti per la vittoria della Serbia”, che ha ottenuto il 13% dei voti e potrebbe quindi conquistare almeno qualche seggio.
Dopo più di un mese sono stati ufficializzati anche i risultati delle elezioni amministrative a Belgrado, che hanno visto il successo di SNS con 48 seggi sui 110 dell’Assemblea municipale.
Nelle elezioni del 2020, Vucic si era assicurato 188 seggi in parlamento su 250, ma questo risultato era stato influenzato dal boicottaggio dell’opposizione, che protestava contro gli abusi verbali e il sabotaggio dei processi elettorali da parte del partito al potere. Vukosava Crnjanski, direttore dell’Osservatorio della democrazia CRTA, ha spiegato che già dal 2016 il partito ha iniziato a silenziare ogni voce libera della Serbia. Anche molti attivisti hanno evidenziato quanto i diritti umani nel Paese siano in pericolo.
Nel suo discorso post elezione, il Presidente ha anche menzionato la guerra in Ucraina, dichiarando che manterrà una relazione amichevole con la Russia durante il suo mandato. Lo stesso presidente russo Vladimir Putin ha inviato le sue congratulazioni tramite un telegramma, con l’augurio che la partnership tra i due Paesi potrà rafforzarsi in questi successivi cinque anni.
Nonostante ciò, questa solida partnership ha riscontrato qualche tensione a seguito delle dichiarazioni di Putin. Il presidente russo ha infatti paragonato la situazione del Donbass a quella del Kosovo, sostenendo che, così come quest’ultimo non chiese il permesso alle autorità centrali per autodeterminarsi, anche il Donbass dovrebbe poter dichiarare la propria sovranità senza problemi.
Tali affermazioni hanno fatto credere che Putin stesse riconoscendo il piccolo stato balcanico, al punto che alcuni giornali serbi hanno usato in prima pagina titoli come “Putin pugnala alle spalle la Serbia: scambia il Kosovo per il Donbass”. Di recente però l’ambasciatore russo in Serbia ha smentito le voci che circolavano sul presunto riconoscimento del Kosovo da parte di Putin, affermando che le sue posizioni non sono cambiate.
Bisogna infatti ricordare che la Serbia è sempre stata supportata dal Cremlino per fermare l’indipendenza del Kosovo e, inoltre, dipende molto dal suo gas russo. Anche per questi motivi la Serbia non si è unita alle sanzioni contro la Russia ma ha solo formalmente appoggiato le risoluzioni delle Nazioni Unite contro la guerra in Ucraina.
«L’elemento centrale della vicinanza tra la Serbia e la Russia è la condivisione di un modello politico autoritario, l’aspetto certamente più allarmante di tale relazione», ha commentato Giorgio Fruscione, analista di ISPI.
Fin dall’inizio della guerra, i giornali serbi hanno usato titoli come “L’Ucraina attacca la Russia!” o “Putin batte l’Ucraina!” per portare avanti la propaganda filorussa del Paese, sebbene il presidente abbia sempre sostenuto di adottare una politica neutrale nei confronti del conflitto. Il controllo dei media ha influenzato molto la visione della popolazione serba nei confronti della guerra in corso: il 61% dei cittadini crede che questa guerra sia stata voluta dall’Occidente e dalla Nato.
Vuk Vuksanovic, ricercatore al Centre for Security Policy di Belgrado, ritiene che la posizione serba sia diventata precaria, essendo circondata da Paesi dell’Europa occidentale che condannano la Russia. «Il regime serbo ha bisogno di una benedizione politica dalle capitali occidentali per poter rimanere al potere», sostiene Vuksanovic.
Nonostante la Serbia dipenda anche economicamente dall’Unione Europea e abbia fatto richiesta di adesione nel 2009, dai recenti sondaggi la popolazione serba sarebbe in maggioranza contraria all’ingresso nell’Unione Europea. Secondo i risultati del 21 aprile, il 44% degli intervistati è contrario all’adesione della Serbia all’UE, il 35% è a favore e il 21% è indeciso o rifiuta di commentare.
Naim Leo Beširi, direttore dell’Institute for European Affairs, sottolinea quanto poco sia cambiata la situazione da quando la Serbia ha fatto richiesta di entrare nell’UE, e la mancanza di nuove riforme a proposito ha scoraggiato molti cittadini. «Nessuna questione politica è stata risolta, non c’è una magistratura indipendente, il rapporto con Srebrenica e i crimini di guerra è ancora problematico e non c’è ancora un accordo con il Kosovo. Per questi fallimenti è l’UE che viene incolpata», ha commentato così i dati del sondaggio il direttore Bešir.
Le tensioni nei Balcani rimangono dunque molto alte ma Vucic ha promesso al cancelliere tedesco Scholz che la sua presidenza non rovinerà la stabilità della regione. Durante un incontro a inizio maggio, il cancelliere ha affermato che si aspetta il riconoscimento del Kosovo da parte della Serbia, poiché le discussioni tra i due Paesi non hanno ancora portato a nessun risultato. Vucic ha risposto sottolineando quanto ancora sia difficile raggiungere questo obiettivo anche a causa delle pressioni dell’UE.
Ciò che preoccupa l’Unione Europea è anche l’invio di missili anti aereo FK-3 alla Serbia da parte della Cina. Il governo cinese ha smentito qualsiasi collegamento con la guerra in corso in Ucraina, ma l’alleanza tra i due Paesi ha destato comunque qualche sospetto.
È di pochi giorni fa, inoltre, la notizia di voler reintrodurre il servizio militare obbligatorio nel Paese, proposta che ha allarmato attivisti e ONG del territorio serbo. La sospensione della leva militare obbligatoria risale al 2011, ma Vučić ha annunciato che è stato riaperto un dibattito sulla questione. «Siamo in uno Stato democratico e tutto verrà discusso», ha dichiarato il presidente, il quale non si è esposto sulla sua preferenza. Se l’idea venisse accolta, riguarderebbe tutti i giovani dai 18 ai 26 anni, che dovrebbero prestare servizio per 90 giorni.
Sembra dunque che la Serbia si trovi in una situazione instabile e precaria in questo momento storico, rimanendo una delle poche nazioni europee apertamente filorusse e sotto la pressione dell’UE per risolvere la situazione in Kosovo. La democrazia è a rischio e con questo nuovo mandato Vucic, a differenza di ciò che ha dichiarato, potrebbe condurre il paese verso nuovi sviluppi autoritari, su un territorio balcanico già parecchio frammentato.
Foto di Copertina: Nasaborba.com