“L’infinito errore”, l’incredibile libro-inchiesta di Fabrizio Gatti

L’infinito errore, della casa editrice La nave di Teseo, è un poderoso volume che riannoda i fili di una grande matassa, ancor oggi piena di nodi ingarbugliati: quella dell’origine del virus Sars-Cov-2. 


L’autore è il giornalista Fabrizio Gatti, autore di Bilal (2007) resoconto di quattro anni trascorsi tra i trafficanti di esseri umani nel Sahara, e del più recente Educazione Americana (2019). Gatti lavora dal 2004 come inviato per L’Espresso e ha scritto anche per Il Giornale e per il Corriere della Sera. Dopo aver passato un anno a inviare e-mail a numerosi studiosi, cinesi e stranieri, coinvolti nei prestigiosi comitati scientifici internazionali di controllo dell’istituto di virologia di Wuhan e dopo aver raccolto più di 10 mila documenti (alcuni dei quali sono spariti dai server cinesi dopo pochi mesi), Gatti ha scelto di intitolare il suo libro-inchiesta: “L’infinito errore. La storia segreta di una pandemia che si doveva evitare“. Le 600 pagine di inchiostro, impossibili da riassumere, di cui si compone questo “libro dell’anno” scoperchiano, un vaso di Pandora davvero maleodorante!

La dittatura cinese ha scelto già da molto tempo di aprirsi al mondo attraverso l’economia di mercato, investendo massicciamente nelle esportazioni di merci in tutto il mondo, con conseguenti ritmi produttivi da record. In quanto economia in rapida espansione, la Cina ha sempre maggiori ambizioni in campo tecnico-scientifico, e nell’ambito delle ricerche virologiche, volte alla sperimentazione di nuovi vaccini per potenziali nuovi virus. 

Il cuore del problema, non solo in Cina, ma in tutto il mondo, nasce però sulla sottile linea di confine che separa la prevenzione dalla volontà di speculare su potenziali cure e vaccini. Il pressing sulla formazione e sulla realizzazione di progetti di ricerca che riguardano i virus Sars-Cov-2 dei pipistrelli è infatti patrocinato dal partito che, come argomentato efficacemente dal testo, entra a piene mani nelle aule universitarie, così come negli ospedali e nei laboratori di ricerca. 

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Nel caso specifico dei virus Sars-Corona c’è però da chiedersi per quali scopi reali di prevenzione e con quali modalità di gestione e contenimento del rischio di contaminazione, i ricercatori fedeli al partito continuino a entrare nelle grotte della Cina abitate da diverse specie di pipistrelli. Questi ultimi, come noto, sono portatori sani di una gran quantità di virus, per loro innocui, ma per poter procedere con gli esperimenti, i ricercatori devono inviare degli “esperti” a raccoglierne il guano e catturarne alcuni esemplari. 

Gatti, con le sue ricerche, ci mostra che le condizioni in cui vengono effettuati questi prelievi sono tutt’altro che regolari, e come esse violino qualsiasi protocollo igienico di base, cosa che dovrebbe squalificare a livello internazionale l’idoneità dei laboratori di biosicurezza cinesi di livello 3 e 4 a entrare in possesso di virus altamente pericolosi. 

L’indagine, è stata condotta dall’autore proprio a partire dagli articoli ufficialmente pubblicati da ricercatori cinesi su riviste scientifiche di fama internazionale, confrontati con i report di gestione dei laboratori spesso redatti da scienziati del luogo. 

«I laboratori in Cina non hanno prestato sufficiente attenzione allo smaltimento dei rifiuti biologici. I rifiuti di laboratorio possono contenere virus, batteri o microbi fabbricati dall’uomo con un impatto potenzialmente mortale su esseri umani, animali e piante. Alcuni ricercatori dopo gli esperimenti scaricano materiali di laboratorio nelle fognature, senza alcuna procedura specifica di smaltimento biologico» (C. Liu et al., Biosafety Guideline Issued to Fix Chronic Management Loopholes at Virus Labs, in “Global Times”, February 2020 – L’infinito errore, pag. 362). A questa testimonianza presente nel libro, se ne aggiungono molte altre che testimoniano anche casi in cui le cavie da laboratorio sono state rivendute sul mercato nero, cioè per il consumo alimentare.

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Nel 2003, molti ricorderanno lo scoppio della prima epidemia di Sars, con casi acclarati in Vietnam, USA, Canada, Taiwan, Hong Kong, Cina, Singapore, e Italia (solo 4 casi). Nella lotta contro la Sars si distinse il medico italiano Carlo Urbani (scomparso a Bangkok nel 2003) che, compresa fin da subito la gravità della situazione e la contagiosità della malattia, redasse un efficace protocollo di sicurezza per tutti gli operatori sanitari, che grazie anche alla collaborazione degli enti locali riuscì a frenare quella che oggi possiamo chiamare una vera e propria pandemia evitata. Il sacrificio di Carlo Urbani, morto contagiatosi mentre cercava una cura per la Sars, avrebbe dovuto essere onorato rimettendo immediatamente al centro il protocollo di sicurezza da lui stesso ideato e che si era nei fatti dimostrato efficace. 

Già nel 2003, la Cina mostrò tuttavia il suo volto peggiore, quello della censura, nascondendo i primi casi di Sars sul territorio della Repubblica Popolare, obbligando i medici a non divulgare la notizia dei ricoveri e dei decessi in ospedale. Per questa azione deplorevole furono inviati a Pechino degli ispettori dell’OMS che portarono alle dimissioni del ministro della sanità cinese Zhang Wenkang. Il generale Jiang Yanyon, “colpevole” di aver rivelato la verità sulla gestione della Sars in Cina, nonostante fosse un pensionato già allora, subisce ancor oggi la ritorsione del regime con la carcerazione domiciliare, come pubblicato dal Guardian il 9 febbraio 2020.

Il filo rosso che Gatti ci propone di seguire narrando questi fatti e mettendoli insieme come tessere di un grande puzzle, ci porta a dover ammettere insieme a lui che nei diciassette lunghi anni che separano la prima epidemia (potenziale pandemia) di Sars da quella odierna di Sars-Cov-2, poco o nulla sia cambiato nel governo cinese.

C’è stata però questa volta una differenza non trascurabile, che rende questa storia decisamente più oscura; si tratta del comportamento dell’OMS, e in special modo del suo vertice, il medico eritreo, Tedros Adhanom Ghebreyesus, laureato in biologia e specializzato in malattie infettive, nonché ministro della sanità in Etiopia dal 2005 al 2012 e degli esteri dal 2012 al 2016. Nel maggio 2017, è stato eletto direttore generale dell’OMS e trovandosi in carica allo scoppio della pandemia da Sars-Cov-2 è indubbiamente un protagonista centrale di questa complicatissima storia, per quel che concerne perlomeno l’indagine sulle presunte responsabilità cinesi che hanno portato l’epidemia di coronavirus a trasformarsi in una pandemia generalizzata e a tratti incontrollata. 

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Dr Tedros Adhanom Ghebreyesus – UN Geneva

Il direttore dell’OMS ha infatti negato per lungo tempo lo stato di emergenza internazionale, sostenendo ancora il 23 gennaio 2020 che quella del coronavirus fosse un’emergenza soltanto in Cina (oggi sappiamo che a gennaio il virus aveva già bussato alla porta di casa nostra). Il direttore negò persino che fosse comprovata la trasmissione da persona a persona al di fuori della Cina, come se i virus circolassero con GPS integrato e infine dichiarò di non conoscere l’origine del virus e la sua capacità di diffusione. Non una parola sulla precedente epidemia di Sars, non una parola sul protocollo Urbani, non una parola sugli articoli scientifici che testimoniano la malversazione dei laboratori cinesi che fanno ricerche sui coronavirus dei pipistrelli. Nulla. 

Parallelamente alle dichiarazioni del dottor Tedros Adhanom Ghebreyesus, Gatti sottolinea una strana coincidenza. Mercoledì 29 gennaio 2020, l’agenzia Nuova Cina controllata dal Consiglio di stato (Xinhua) pubblica in inglese una notizia: «La Cina è rimasta la principale fonte di investimenti diretti esteri in Etiopia». (UN Report, in “Xinhua”, January 2020). Frase che sembra una sorta di avvertimento, se non una vera e propria minaccia contro l’organismo (l’OMS) che ha facoltà di mettere sotto accusa la Cina, di nuovo. 

Sorprende infatti che all’indomani di questa notizia l’OMS raccomandi l’utilizzo nei documenti ufficiali del nome “2019-nCov”, facendo piazza pulita nelle menti e quindi nei fatti dei legami genetici di questo nuovo virus con la prima Sars del 2003.

L’indagine di Gatti si conclude ricostruendo l’ora zero della pandemia da Sars-Cov-2 e non risparmia la gestione emergenziale da parte del governo italiano, il quale il 13 gennaio 2020, nella persona del suo ministro degli esteri Paola De Micheli, ha raddoppiato i voli Italia-Cina sullo sfondo dell’accordo chiamato Belt and Road Initiative, la nuova via della seta che avvicinerà sempre più il mercato cinese a quello europeo. L’imprudenza di questa decisione – per non dire la follia – resta testimoniata dal fatto che l’Italia resta caso unico dato che nessun altro Paese europeo ha aumentato esponenzialmente le comunicazioni con la Cina in quel periodo. Questo quadro, se sommato al fatto che l’Italia è stato il Paese europeo più duramente colpito all’inizio della pandemia, amplia notevolmente le proporzioni del disastro, un disastro che si poteva e si doveva evitare.

Solo una richiesta di verità

In conclusione, quello che differenzia i cercatori della verità dai complottisti è l’accuratezza della loro ricostruzione logica dei fatti e delle prove. Al termine della lettura di questa inchiesta non si trovano ragioni tali per credere che essa sia viziata da un pregiudizio anti cinese. Al contrario, in essa si trova un esempio del libero esercizio della ragione, la quale non conosce opportunismi politici o progettualità di sviluppo economico e, nel cercare la verità, ama sé stessa, consapevole che salario delle bugie sia solo l’ignoranza.

«La verità è sempre lì, che la vediamo o no, che scegliamo di vederla o no. Alla verità non interessano i nostri bisogni o ciò che vogliamo. Non le interessano i governi, le ideologie, le religioni.  Lei rimarrà lì, in attesa tutto il tempo […] per ogni menzogna che diciamo, contraiamo un debito con la verità. Presto o tardi quel debito va pagato» (L’infinito errore, pag. 631).


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