La statua di Carlo V e la leggenda dei cinque Giudici

Quella di Piazza Bologni è sicuramente una tra le statue più famose a Palermo, che incuriosisce turisti e gli stessi palermitani. 


Nel 1535 l’imperatore Carlo V d’Asburgo visitò il regno di Sicilia a seguito dell’impresa di Tunisi. Con l’intento di “controllare” i suoi nuovi possedimenti italiani, una volta approdato nell’isola siciliana venne accolto come un salvatore, avendo sconfitto i mori che imperversavano sulle coste. Il 20 agosto sbarcò a Trapani, da lui definita come “chiave del Regno”, per poi procedere con il tour siciliano fino a Palermo, il 13 settembre 1535, soggiornando a Palazzo Ajutamicristo.

La statua

Nel 1630, cent’anni dopo la sua visita in Sicilia, venne commissionata una statua commemorativa allo scultore Scipione Li Volsi (Junior), della celebre famiglia di artisti di bottega Li Volsi, ai tempi molto attivi sul territorio siciliano.

L’opera era inizialmente pensata per essere installata al centro dei Quattro Canti (piazza Vigliena) in una delle nicchie destinate ai re, ma essendo già presenti altre statue in marmo, la bronzea statua dell’imperatore venne trasferita a Piazza Bologni, subendo diversi spostamenti nel periodo fascista (per mantenere una buona visibilità ai gerarchi del periodo, ma tornando ufficialmente al suo posto con la fine dei conflitti della Seconda guerra mondiale).

Il piedistallo su cui poggia, ornato da trofei militari, fu realizzato nel 1631 da Giacomo Cirasolo e Luigi Geraci, mentre le relative decorazioni (l’aquila, l’idra e le colonne di Ercole, che rappresentano rispettivamente l’impero, l’eresia luterana e l’impero oltre lo stretto di Gibilterra) vennero realizzate l’anno successivo da Giovanni Travaglia. 

La mano di Carlo V

La figura di Carlo V venne rappresentata ricoperto d’alloro, pianta della vittoria, in abiti da guerra e provvisto di armatura e spada. Con la mano sinistra stringe un bastone di comando, con la mano destra, abbassata e con le dita aperte, giura obbedienza al Regno di Sicilia e fedeltà alla Costituzione. 

Quella stessa mano destra, nel corso degli anni, ha stimolato la curiosità e la fantasia più fervida dei palermitani (celebre la frase correlata “a Palermo ‘a munnizza è alta così”) ma, tra le tante interpretazioni, una in particolare merita attenzione: secondo una leggenda infatti, quella mano aperta indica il numero cinque, cioè “tutti e cinque i giudici infedeli dovranno essere scorticati vivi”. Ma chi erano questi cinque giudici infedeli?

La leggenda e la “discesa dei giudici”

Nella Palermo del XVI secolo, un giovane rimasto orfano ereditò tutti i beni dei ricchi genitori, che furono però affidati al tutore che amministrava i beni del ragazzo. Una volta divenuto adulto chiese quindi aiuto a cinque famosi giudici, che furono intercettati dal tutore: corrotti e ben pagati, ignorarono la richiesta del giovane. 

Allora il povero orfano, sapendo che l’imperatore Carlo V si trovava in visita in Sicilia, chiese un’udienza all’imperatore, raccontandogli tutta la storia. Mosso da un forte senso di giustizia, il re escogitò un piano: si travestì da abate e seguì tutta la causa tra il ragazzo e il tutore.

Quando i giudici corrotti stavano per emanare la sentenza e darla vinta al tutore, l’imperatore si alzò dalla sedia, svelò la sua vera identità e diede ragione al ragazzo, costringendo il tutore a cedere tutti i beni.

I giudici invece, essendo stati corrotti, li fece scorticare vivi, e con le loro pelli fece rivestire cinque sedie del Tribunale di Palermo: questa sarebbe stata la fine di tutti i giudici che cedevano alla corruzione. 

Un’altra versione vede sempre il giovane derubato da una ricca eredità, ma a derubarlo è lo stesso abate (che nella versione prima viene impersonificato da Carlo V). Cresciuto da una famiglia povera, il ragazzo si appella anche qui a dei giudici, che anche qui vengono corrotti dall’abate. Per sdebitarsi lavora per un anziano chiavettiere, che sentendo la sua storia si commuove e chiama l’imperatore per riportare giustizia. Carlo V lanciò un ordine verso i giudici corrotti, facendoli legare alle corse dei cavalli e trascinati lungo quella strada che venne poi chiamata “calata dei giudici” (oggi “Discesa dei giudici”).

Nonostante le leggende, diverse testimonianze concordano sull’interesse di Carlo V, arrivato in Sicilia, nei confronti dei magistrati ma, di questi, nessuno fu mai scorticato vivo.


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