Ritiro dalla Convenzione di Istanbul, proteste in Turchia

Il recesso della Turchia dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne ha scatenato l’ennesima ondata di proteste contro il governo di Erdogan.


Il 20 Marzo la Turchia si è ritirata dalla Convenzione di Istanbul, quella stessa Convenzione che per prima aveva ratificato e firmato nel 2012. La “Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”, conosciuta semplicemente come Convenzione di Istanbul, è stata sottoscritta ad Istanbul l’11 Maggio del 2011, firmata da 34 Stati ma ratificata soltanto da 12.

Essa rappresenta il primo strumento internazionale e di cooperazione tra Stati, giuridicamente vincolante, il cui scopo è quello di proteggere le donne, a livello globale, da qualsiasi possibile tipo di violenza di genere, intendendo con tale espressione qualsiasi forma di violenza rivolta alle donne in quanto tali e fondata dunque su una vera e propria discriminazione basata sul sesso, sull’appartenenza al genus “donna”.

L’art. 3, lett.a, della Convenzione di Istanbul con l’espressione “violenza contro le donne” fa riferimento non soltanto ad atti idonei a provocare una sofferenza fisica, morale, sessuale ma anche alla privazione della libertà e ad ogni forma di coercizione nei confronti delle donne. 

Sottolinea, poi, alla lett. b, attraverso l’espressione “violenza domestica”, la riconducibilità di questi atti a contesti familiari o all’attuazione degli stessi da parte di chi è legato alla donna da un precedente o attuale rapporto di parentela o coniugio, in quanto è proprio all’interno del nucleo familiare e tra soggetti legati da un particolare tipo di rapporto che, nella maggior parte dei casi, si manifestano queste forme di violenza. 

Rientrano in tali categorie gli atti persecutori, i matrimoni forzati, l’infibulazione e le mutilazioni genitali in generale, la sterilizzazione forzata, l’aborto forzato e le molestie sessuali, lo stupro.

Considerate la portata e il rilievo della Convenzione, appare evidente che il recesso della Turchia dall’accordo, avvenuto a seguito di un confronto con il Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen e giustificato da Erdogan come «unico modo per preservare e tutelare i valori della famiglia tradizionale e l’unità familiare», rappresenta un vero e proprio affronto all’uguaglianza e alla libertà delle donne.

Secondo il Presidente tali valori sarebbero messi in discussione dalla stessa Convenzione, dal momento che in essa sono presenti disposizioni dirette ad incoraggiare le donne a chiedere il divorzio e a reclamare la propria eguaglianza. Questa decisione ha condotto il principale partito di opposizione, il CHP guidato da Kemal Kilicdaroglu, a scagliarsi contro il Governo, dichiarando la sua intenzione di impugnare il decreto presidenziale che ha ufficializzato il ritiro.

Migliaia di persone sono scese nuovamente nelle piazze di Istanbul ed Ankara con cartelli con su scritto “No al ritiro dalla Convenzione di Istanbul”, indumenti e berretti viola, manifestando la loro netta opposizione nei confronti di una scelta umiliante e reazionaria. 

convenzione di istanbul

La violenza in Turchia dilaga, i femminicidi sono all’ordine del giorno e le donne vivono in condizioni di forte disuguaglianza sia da un punto di vista personale che lavorativo. Nella parte orientale della Turchia, ancora oggi, molte donne sono costrette a contrarre matrimonio in età adolescenziale e infantile. 

Quasi il 40% delle donne turche ha dichiarato di aver subito violenza, stupri, abusi dal proprio marito. Violenze spesso non denunciate alle istituzioni, dal momento che denunciarle significherebbe peggiorare la propria situazione personale in uno Stato in cui si tenta la riconciliazione tra marito e moglie piuttosto che l’allontanamento. 

Ogni anno vengono uccise circa 300 donne, nel 2019 il numero registrato è stato pari a 474 decessi. Anche Amnesty International, nel rapporto 2019-2020 ha denunciato le precarie condizioni in cui vivono le donne turche. 

Appare dunque difficile comprendere perché la libertà e la vita delle donne debbano essere ulteriormente messe in pericolo dall’assenza di leggi che puniscano gli autori di queste tipologie di reati e per la mancanza di garanzie e tutela da parte dello Stato. Uno Stato che dovrebbe tutelarne i diritti e, invece, non dà loro nessuna certezza.

Foto di Ulaş Baycan