Mediterranea Saving Humans: quando la solidarietà è sotto accusa
Le gravi accuse mosse nei confronti di Mediterranea Saving Human fanno parte di una narrazione tossica che ormai stigmatizza le azioni di solidarietà. Purtroppo, come è già accaduto in passato, la macchina del fango è già in atto.
La mattina del Primo marzo è scattata una vasta operazione coordinata dalla Procura della Repubblica di Ragusa nei confronti della Ong Mediterranea Saving Humans, accusata di aver effettuato un trasbordo di migranti sulla Mare Jonio dopo aver concluso un presunto accordo commerciale.
I principali indagati, per il loro ruolo ricoperto sulla nave durante l’avvenimento contestato dalla Procura, sono: l’attivista Luca Casarini, l’ex assessore comunale di Venezia Beppe Caccia, il regista Alessandro Metz e il comandante Pietro Marrone. Le perquisizioni, coordinate dal procuratore Fabio D’Anna ed effettuate dalla Guardia di Finanza, la polizia e la Guardia Costiera sono avvenute a Trieste, Venezia, Palermo, Bologna, Lapedona, Mazara Del Vallo, Montedinove e Augusta, sia in abitazioni private che in sedi sociali riconducibili all’organizzazione e alla società armatrice della Mare Jonio, Idra.
Nonostante la Procura abbia ribadito che l’Ong non è sotto inchiesta, le pesanti accuse che pendono su alcuni dei principali esponenti dell’organizzazione – favoreggiamento dell’immigrazione irregolare e di violazione delle norme del codice di navigazione – costituiscono un danno all’immagine di Mediterranea, che dalla sua fondazione ha promosso la pratica del soccorso civile in mare.

Il caso Mediterranea: cosa è successo
Il pomeriggio del 3 agosto 2020 Alarm Phone segnala la presenza in zona SAR maltese di un’imbarcazione partita dalle coste libiche con a bordo 27 migranti; nonostante l’imbarcazione stesse per affondare, i migranti sono stati soccorsi soltanto il 5 agosto da un mercantile battente bandiera danese, la Maersk Etienne, sotto indicazione del centro soccorsi maltese. I migranti resteranno sulla Etienne a largo di Malta per altri 38 giorni, in attesa di poter di aver assegnato un porto di approdo.
La mancata assegnazione di un porto, infatti, ha causato una lunga fase di stallo che ha acuito frustrazioni e condizioni di salute psico-fisiche già precarie: accertate le condizioni dei naufraghi da parte dei medici di Mediterranea, l’11 settembre (37 giorni dal soccorso dell’imbarcazione) viene eseguito il trasbordo dei migranti sulla Mare Jonio e, in accordo con le autorità italiane, infine, il 12 settembre il Viminale assegna Pozzallo come porto sicuro per effettuare lo sbarco.
Secondo le indagini eseguite dalla Procura di Ragusa, innanzitutto, il trasbordo dei migranti dalla Etienne alla Jonio pare sia avvenuto senza alcun accordo con le autorità, sia maltesi che italiane, dimostrando così la presunzione di potersi sostituire alle autorità statali; a questo si aggiunge l’accusa nei confronti del personale medico di essere saliti al bordo del mercantile illegittimamente, senza tener conto però del fattore emergenziale che questa situazione ha sviluppato.
Tuttavia, la contestazione più grave risulta essere la conclusione di un presunto accordo di natura commerciale tra le società armatrici delle due navi, somma di denaro ingente considerato dalla procura come «un corrispettivo per il servizio reso». Dunque, secondo l’accusa gli imputati non hanno agito per solidarietà, ma per lucro.
Tra gli atti dell’indagine vi sono sia i tabulati telefonici che la ricevuta di un pagamento di 125 mila euro effettuato dalla compagnia danese Maersk, datato il 30 novembre (dunque mesi dopo il trasbordo).
Come ha spiegato prontamente Alessandro Metz su Repubblica, questo pagamento è una liberalità da parte della Maersk, effettuato seguendo le disposizioni della Convenzione di Londra del 1989, che codifica la modalità di aiuto e supporto in acque internazionali tra assetti navali diversi.
Per quanto riguarda il motivo del bonifico, Metz ha aggiunto che la Maersk ha deciso di aiutare economicamente Mediterranea, dopo aver ricevuto informazioni sulle inchieste aperte nei confronti dell’organizzazione a seguito del trasbordo dell’11 settembre 2020 e il conseguente fermo della Mare Jonio, periodo durante il quale Mediterranea ha dovuto affrontare ingenti spese pari a 270 mila euro; la preferenza della liberalità invece di una semplice donazione è dettata da una scelta legale degli avvocati della Maersk per fornire maggiore trasparenza nella rendicontazione del bilancio.
La macchina del fango è già in atto
Nonostante le contestazioni debbano ancora essere accertate in sede processuale, e sembra proprio che la Procura non abbia in mano prove schiaccianti, la macchina del fango nei confronti di Mediterranea è già in azione, con l’intento di stigmatizzare le azioni di solidarietà volte al soccorso in mare e confondendole volutamente con favoreggiamento all’immigrazione clandestina.
Ciò che sta accadendo a Mediterranea non è diverso da quello che è successo al modello Riace, sistema di accoglienza che l’allora sindaco Mimmo Lucano aveva costruito insieme ai suoi cittadini, costituendo non solo un nuovo percorso di accoglienza dei migranti ma anche una nuova possibilità di sviluppo per le aree interne. Il processo nei confronti di Lucano si è concluso con il rigetto dell’appello del Pm di Locri da parte dei giudici del Riesame di Reggio Calabria, con la motivazione che tale processo è stato costruito su un quadro giudiziario inconsistente e fondato su «elementi congetturali e presuntivi».
Non è diverso neanche da quello che è accaduto a fine febbraio all’associazione Linea d’Ombra di Trieste, accusata di favoreggiamento all’immigrazione clandestina perché fornisce supporto ai richiedenti asilo che percorrono la rotta balcanica e che riescono a raggiungere il territorio italiano nonostante i continui e illegali respingimenti a catena alla frontiera, che iniziano in Italia e si concludono in Bosnia, passando per la Slovenia e la Croazia.
O ancora, non è diverso da ciò che sta accadendo ad altre 20 persone, tra paramedici e volontari, che tra il 2016 e il 2017 erano impegnati nei salvataggi in mare con gli equipaggi di Iuventa, Medici Senza Frontiere e Save The Children, e adesso sono indagate per favoreggiamento all’immigrazione clandestina.
Ciò che si contesta è il reato di solidarietà
Come si evince dalle inchieste sopracitate, negli ultimi cinque anni si è riscontrata un’inversione di tendenza nel modo di descrivere il fenomeno dell’immigrazione, sia nei media che nelle scelte politiche. Il cambiamento nella narrazione del fenomeno è riscontrabile anche nelle inchieste svolte nei confronti di chi agisce in modo solidale.
Ci troviamo ormai davanti a una prassi ben definita: chiunque aiuta un migrante potrebbe essere accusato di favoreggiamento di immigrazione irregolare, ai sensi dell’art. 12 del Testo Unico sull’Immigrazione. Accuse pretestuose che hanno l’intento di indebolire quelle associazioni e organizzazioni che continuano a compiere gesti solidali nei confronti dei migranti, giungono nel territorio italiano attraverso la rotta balcanica o attraversando il Mediterraneo, o ancora chi tenta di attraversare la frontiera italo-francese.
Questa narrazione tossica tenta di scardinare il principio di solidarietà che contraddistingue l’operato di molti individui, associazioni e organizzazioni. Essi provano a resistere contro le diverse e ormai numerose inchieste, nella speranza che tutto verrà chiarito al più presto.
E come sottolineato nel Comunicato stampa dei Garanti di Mediterranea: «La solidarietà e il soccorso in mare non sono e non potranno mai essere reato. Al contrario sono azioni che assecondano la legge del mare e le leggi internazionali, ma soprattutto che salvano l’onore dell’Italia e dell’Europa».
Copertina di mediterranearescue.org