Il valore della natura: servizi ecosistemici e sostenibilità

I servizi ecosistemici sono lo strumento per dare un valore alla natura e andare oltre il pregiudizio secondo cui la difesa dell’ambiente sarebbe un ostacolo allo sviluppo economico.


I servizi ecosistemici sono tutti quei benefici che derivano direttamente o indirettamente dagli ecosistemi, influenzando e promuovendo uno sviluppo sociale sostenibile e garantendo il benessere umano in termini di salute, accesso alle risorse primarie  e sostentamento.  L’espressione ha cominciato a diffondersi grazie al cosiddetto Millennium Ecosystem Assessment (MA), un report richiesto dal segretario generale dell’ONU Kofi Annan nel 2000, con l’obiettivo di fornire informazioni e risposte a domande chiave sull’ambiente. I lavori dei gruppi di ricerca durarono ben quattro anni e il MA venne pubblicato nel 2005, indagando sui seguenti cinque temi:

– la condizione degli ecosistemi, dei servizi ecosistemici e del benessere umano; 
– i cambiamenti degli ecosistemi, dei loro servizi e le conseguenze per il benessere umano;
– le azioni per conservare gli ecosistemi;
– cosa riduce l’efficacia delle decisioni che riguardano gli ecosistemi; 
– quali metodologie sviluppare e usare per rafforzare la valutazione degli ecosistemi e dei servizi.

Nello specifico, il MA individua, nell’ambito del capitale naturale, quattro macro – categorie di servizi eco sistemici: servizi di provvigione (cibo, acqua, materie prime, risorse medicinali); servizi di regolazione (benefici ottenibili attraverso azioni quali la regolazione del clima, l’impollinazione, la prevenzione dell’erosione, la depurazione delle acque reflue, la protezione da eventi estremi); servizi culturali (attività ricreative, turismo, senso d’appartenenza); servizi di supporto (habitat, diversità genetica). 

servizi ecosistemici

Questa classificazione ha un’importanza strategica, in quanto consente di comprendere come e in quale misura i servizi ecosistemici vengano effettivamente modificati dall’attività antropica. A questo proposito il report delle Nazioni Unite pone in evidenza tre gravi problematiche: 

– circa il 60 per cento dei servizi ecosistemici esaminati (15 su 24) sono oggetto di degrado perché utilizzati in modo non sostenibile;
– i cambiamenti che stanno avvenendo all’interno di determinati ecosistemi aumentano la probabilità di mutazione di altri ecosistemi a loro connessi;
– la diminuzione della capacità di un ecosistema di offrire beni e servizi incide in misura sproporzionata sui poveri, facendo aumentare ancora di più le disuguaglianze. Il dato non è da sottovalutare, l’elemento di disparità è uno tra i principali motivi che creano conflitti sociali.

In particolare, la biodiversità e l’ambiente in generale sono attualmente minacciati da fattori come il degrado degli habitat, il cambiamento climatico, il sovra-sfruttamento delle risorse, la presenza di specie aliene e invasive e l’inquinamento. Sebbene “economia” ed “ecologia” siano vocaboli recanti una comune radice etimologica (oikos = casa), storicamente essi hanno seguito percorsi divergenti, trovandosi spesso in contrapposizione soprattutto in forza dell’atavico pregiudizio in base al quale la difesa dell’ambiente costituirebbe un freno allo sviluppo economico. 

La poca consapevolezza circa il valore intrinseco della natura ha influito in modo devastante sugli ecosistemi. Molte scelte di pianificazione e gestione territoriale, infatti, sono state prese seguendo logiche meramente economiche che hanno messo in secondo piano la qualità ambientale, trascurandone l’importanza. 

Prendiamo ad esempio il caso delle foreste. Dal momento che molti dei benefici che esse offrono sono immateriali, questi non hanno un mercato di riferimento né un prezzo di scambio e di conseguenza non rientrano generalmente tra le voci dei bilanci costi/benefici né sono tenuti in alcuna considerazione nei processi decisionali e di intervento. Viceversa, quelle funzioni ecosistemiche che generano servizi di cui è noto il valore monetario (ad esempio, la funzione produttiva forestale che genera legname) hanno più possibilità di  incidere sulle scelte. 

Per far fronte a questo gap di tutela, in alcuni Paesi è emersa, sin dagli anni ‘80, l’idea di valutare tutti i benefici ambientali in denaro. Negli ultimi tempi sono stati fatti notevoli progressi in tal senso e i metodi per eseguire questo tipo di esame si sono raffinati. Nello specifico, tra le tecniche più utilizzate vi sono la valutazione contingente, il metodo dei prezzi edonici, del costo di viaggio e della stima dei danni. 

Nonostante questo genere di valutazione presenti ostacoli politici, etici e metodologici, inserire nei processi decisionali anche i benefici di ciò che non è di mercato può essere utile. L’obiettivo non sarà “vendere” e scambiare davvero la natura come qualsiasi altro prodotto ma rivelare ai decisori di progetti e politiche ambientali le conseguenze dannose del deterioramento del capitale naturale, in modo da intraprendere azioni consapevoli. 

In particolare, si fa riferimento al valore economico totale (VET) che viene diviso in due componenti: il valore d’uso, distinto in diretto, indiretto e di opzione, e il valore di esistenza, ossia il non uso. Il primo si può attribuire ai servizi ecosistemici sfruttati, direttamente, indirettamente o in una prospettiva futura, per ragioni di produzione o consumo. Il secondo, invece, è più difficile da esaminare perché corrisponde a ciò che è intrinseco a una risorsa e non corrisponde a qualcosa di impiegato direttamente. 

La stima dei servizi ecosistemici può dunque avvalersi di: 

– metodi basati su osservazioni dirette, per i beni che hanno un mercato di riferimento e quindi sono commerciabili. Il valore d’uso diretto è definibile attraverso i prezzi di mercato; i costi necessari per produrre i beni; la funzione di produzione, che considera il contributo di un servizio ecosistemico per la fornitura di un altro;

– metodi basati su osservazioni indirette, adatti per i servizi ecosistemici che non hanno un mercato di riferimento, ad esempio i servizi di ricreazione, turistici o culturali, per cui si utilizzano i dati di uno surrogato. Ad esempio si può usare la tecnica del costo di viaggio, che somma il costo del tempo, del mezzo usato per spostarsi ed è utile soprattutto per valutare i servizi turistici di un luogo; quella del costo di surrogazione, ossia considerando quello che si spenderebbe per qualcosa in grado di svolgere la stessa funzione; quella dei costi evitati, per cui si stimano i danni che vengono provocati a una specifica area, ad esempio da eventi naturali catastrofici; quella dei prezzi edonici che ricava il valore di un servizio ecosistemico non commerciabile dai prezzi di mercato di beni che sono influenzati dal servizio. Si utilizza in questo caso il mercato del lavoro o immobiliare per ricavare, ad esempio, il valore attribuito al paesaggio dal prezzo di un immobile influenzato dalla presenza della natura.

– metodi basati sull’enunciazione delle preferenze, tra cui molto usata è la valutazione contingente per calcolare i valori di un luogo (ad esempio un bosco) in base alle scelte delle persone intervistate. Un’ulteriore tecnica è quella della disponibilità a pagare (WTP) o ad accettare (WTA), in cui le persone dichiarano quanto sarebbero disposti a pagare per un determinato servizio o bene che non è sul mercato (ad esempio l’aria pulita). Spesso per attribuire un valore risulta utile anche riferirsi al mondo normativo, ossia alle conseguenze a cui si va incontro per la violazione di leggi e regolamenti ambientali.

La valutazione economica ambientale comporta difficoltà di natura tecnica e istituzionale, politica ed etica. I problemi tecnici riguardano la disponibilità dei dati che, a seconda del bene da stimare può essere più o meno alta. Ci sono servizi ecosistemici che grazie alla loro tangibilità e all’esistenza di un relativo mercato di scambio hanno maggiori dati disponibili (ad esempio i servizi produttivi). Per altri invece, come i servizi culturali o sociali, è necessario fare ipotesi per cui il valore economico potrebbe non rispecchiare quello reale. Esistono anche difficoltà istituzionali e politiche, che riguardano l’impiego di risorse e personale specializzato che riesca a realizzare accurate analisi. 

Valutare economicamente i beni ambientali ha tuttavia dei vantaggi: la trasparenza, poiché attraverso stime monetarie si manifesta chiaramente l’importanza di eventuali danni ambientali; la possibilità di realizzare un bilancio tra vantaggi e svantaggi di una politica ambientale; l’opportunità di definire misure di internalizzazione delle esternalità; infine rende più facile comunicare e comprendere il valore dell’ambiente grazie al confronto con altri servizi e capitali. 

Nonostante il risultato della valutazione possa non essere del tutto esatto, lo scopo è quello di informare e sensibilizzare il più possibile i decisori sulle conseguenze dei progetti e delle politiche per l’ambiente, non quello di rendere commerciabile il capitale naturale.