Sovranità digitale (o del perché un arsenale atomico non basta più)
Il mercato dei dati europeo può contribuire alla supremazia digitale del continente e difenderci dall’aggressività digitale delle superpotenze.
Nessuno scenario spielberghiano alla “Il ponte delle spie”, ma uno più simile a quello della serie tv statunitense Mr. Robot: interessi cinesi e americani che collidono, ingerenze straniere in settori chiave dello sviluppo economico e tecnologico. Se però nello sceneggiato di Sam Esmail non c’è spazio per una reazione europea, nel mondo reale il vecchio continente non sembra intenzionato a restare a guardare.
Seguendo il solco tracciato dal GDPR – di cui avevamo parlato qui – l’UE ribadisce la sua intenzione di imporsi come modello nel mercato dei dati: lo scopo è creare un unico spazio di dati europeo, dove dati personali e non personali siano sicuri e garantiscano uno standard di qualità sufficientemente elevato da permetterne un impiego nel campo dell’intelligenza artificiale, in particolare nell’apprendimento automatico, minimizzando l’impatto ambientale.
Diverse criticità frenano il modello europeo verso la supremazia digitale, prima tra tutte delle infrastrutture ancora non all’altezza. La supremazia digitale passa dalla disponibilità e dall’elaborazione di una mole gigantesca di dati disponibili, con una sempre più accentuata tendenza a processare e analizzare i dati in loco, direttamente su oggetti “smart”, quali auto, elettrodomestici, oggetti di impiego casalingo in generale, o robot: si tratta dell’edge computing, modello di calcolo che si applica all’internet delle cose (IoT).
Ciò richiede una potenza di calcolo adeguata, delle infrastrutture di raccolta dei dati – siano esse antenne 4G, 5G, e (in futuro) 6G, o reti fisiche come le reti in fibra ottica – e delle infrastrutture fisiche per l’archiviazione o l’elaborazione dei dati raccolti (sistemi cloud).
A tal proposito, il cloud computing rappresenta un nodo strategico per il raggiungimento della supremazia digitale: in parole povere, si tratta dell’erogazione di un servizio di calcolo su richiesta. Si può pensare a esso come all’impiego della potenza di calcolo di un terminale da parte di device più piccoli e meno potenti, collegati in rete tra loro.
Al giorno d’oggi vengono erogati diversi tipi di servizi con questa modalità: si pensi alla classica app suite di Google – Google Drive, Calendar, Foto – o a Facebook, in cui il servizio consiste nell’archiviazione di dati e non esplicitamente nell’erogazione di potenza di calcolo utilizzabile. Quest’ultimo è invece il caso dei servizi Amazon Web Services, Google Cloud Functions e Microsoft Azure.
I fornitori di servizi cloud con base in UE sono solo una piccola fetta del mercato internazionale e ciò rappresenta un malus da diversi punti di vista: dal punto di vista della sicurezza in primis, dal momento che stoccando i dati all’estero, essi saranno anche soggetti a regolamentazioni diverse da quella europea. Ad esempio gli USA con l’U.S. Cloud Act consentono l’accesso ai dati per ragioni di ordine pubblico o per attività investigative.
In seconda battuta, non vi è uno standard europeo, che impone a ogni ente pubblico o azienda, l’impiego di questo o quel servizio cloud: come si può intuire, ciò potrebbe creare non poche difficoltà nel mutuo scambio di informazioni in tutto il continente, non potendo contare su un principio di interoperabilità tra le varie piattaforme. Per ultimo, e non per importanza, un’azienda europea operante nel settore del cloud computing andrebbe incontro a una concorrenza spietata, dovendo avere a che fare con giganti del calibro di Amazon, Microsoft – è di qualche giorno fa la notizia di una nuova collaborazione tra Azure e SpaceX di Elon Musk – IBM, Oracle.
Il lancio di un cloud europeo è stato annunciato già nel 2015: nel corso degli anni il progetto è sfociato nella costituzione dell’European Open Science Cloud (EOSC). La vocazione della piattaforma, come si evince dal nome, è di stampo scientifico: lo scopo principale è quello di creare un archivio per la condivisione, l’uso e il riuso di dati per la ricerca scientifica. Progetti simili per le aziende e le pubbliche amministrazioni sono stati proposti in maniera indipendente da Francia e Germania negli anni scorsi, per poi confluire l’anno scorso nel progetto comunitario Gaia-X: di recente, la ministra per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione Paola Pisano ha espresso il suo sostegno al progetto.
Lo sviluppo di servizi cloud deve essere attivamente supportato da un’estensione capillare della rete in fibra ottica, combinata alla complementare diffusione della rete mobile 5G. La supremazia digitale passa, infatti, da una connettività internet basata sulla banda larga ultraveloce: la rete 4G permette una velocità dell’ordine dei 100 Mbps, mentre la velocità di trasmissione dati della rete 5G è di circa 100 volte superiore, permettendo un grado di latenza irrisorio, ovvero una risposta in tempo quasi reale. La velocità di trasmissione dei dati rappresenta un vero e proprio collo di bottiglia per il pieno sviluppo dell’internet delle cose, così come dell’impiego dell’apprendimento automatico in settori amministrativi o di consumo.
Un aspetto da non sottovalutare è quello legato alla sicurezza delle infrastrutture: trattandosi di infrastrutture strategiche per il traffico dei dati, potrebbero essere soggette a cyber-attacchi o a spionaggio industriale e militare. A tal riguardo, eventuali vulnerabilità riguardanti le reti 5G in uno degli Stati membri dell’Unione rischierebbero di compromettere l’intero sistema.
Questo rende l’idea dell’importanza di una tecnologia simile e di quanto la sua robustezza sia importante ai fini della supremazia digitale europea: ciò spiega, in parte, il motivo per cui alcuni Stati europei hanno preferito escludere Huawei – che ha mostrato delle vulnerabilità legate alla componentistica – dal ruolo di fornitore di componenti per la propria rete 5G, tra questi anche il governo italiano, che ha posto il veto su un accordo tra Fastweb e Huawei. Un’altra spiegazione per l’estromissione di Huawei potrebbe risiedere nella recente visita del Segretario di Stato statunitense Mike Pompeo e nella politica americana di contenimento in chiave anti-cinese.

Gli Stati Uniti già nel 2018 avevano adottato una legge che vietava l’acquisto e l’uso di prodotti di telecomunicazioni e sorveglianza di specifiche società cinesi. Il tutto ha assunto una tinta da guerra commerciale in piena regola quando l’amministrazione Trump ha deciso di muovere un attacco diretto a Huawei, inserendola nella blacklist delle aziende che rappresentano una minaccia alla sicurezza nazionale, di fatto vietando a qualsiasi azienda statunitense – divieto poi esteso anche ad aziende che utilizzano forniture americane – di intrattenere rapporti commerciali fino al 2021 con il colosso high tech cinese. Una sorte simile sarebbe probabilmente toccata a TikTok, se non si fosse trovato un accordo al fotofinish con Oracle.
Se è vero che gli USA hanno interessi nel contenere la Repubblica Popolare Cinese, è pur vero che la Cina attua anche nel mercato dei dati una politica che definire aggressiva risulterebbe riduttivo: avevamo già parlato di come TikTok, social network cinese, sia un’eccezionale miniera di dati.
Il social network dei balletti è solo uno dei tasselli nel processo di raggiungimento della supremazia digitale in cui la Cina sta investendo moltissime risorse: dalla formazione della big data valley cinese nella regione del Guizhou, alla China’s National Intelligence Law – che richiede ai cittadini e alle società cinesi collaborazione con i servizi di sicurezza statale nella raccolta di informazioni, senza rivelare tale collaborazione – si tratta di operazioni che mirano a intaccare il monopolio delle big corp statunitensi, forti del supporto di un mercato immenso e di giganti come Alibaba e Tencent.
Il sistema di punteggi sociali, associati a ciascun cittadino, nonché il tracciamento asfissiante della popolazione civile, sono solo alcune delle politiche che il governo cinese attua nella raccolta dati e nel controllo capillare della popolazione.
Come si può notare, l’Europa parte svantaggiata nella gara alla supremazia digitale. L’economia digitale appare trainata da Stati Uniti e Cina, che hanno tutto l’interesse a mantenere il timone ben saldo tra le loro mani. La Cina lo fa allargando il proprio raggio d’azione, puntando al mercato europeo: anche gli USA tentano lo stesso approccio, ostracizzando l’avversario. Ma così come l’UE ha preso consapevolezza delle proprie potenzialità, gli USA iniziano a intravedere una minaccia in questa presa di coscienza: una politica di sovranità digitale europea rappresenterebbe una minaccia per il loro mercato.
Al Vecchio Continente non resta che prendere una decisione: adeguarsi a una delle due vie, da una parte quella del capitalismo rapace americano, che suggerisce uno scenario alla Futurama, con gli spot pubblicitari personalizzati che pur di monetizzare infestano i sogni delle persone, e dall’altra la via autoritaria cinese, il cui scenario distopico sembra uscito da una puntata di Black Mirror (la puntata 3×01 per chi se la fosse persa) con un punteggio sociale cucito addosso. Oppure creare una terza via, all’insegna del rispetto per la persona e per l’ambiente.
Di Salvatore Giancani
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