L’Italia in giallo, arancione e rosso: Governo e Regioni sul tricolore pandemico

 

Bufera tra Governo e “governatori” sull’ultimo Dpcm. Il Ministro Speranza ha chiarito ancora una volta la classificazione delle Regioni, «basta inutili polemiche».


L’impressione che il Governo italiano abbia “inseguito” il virus in un contesto inequivocabilmente costellato di incertezze si conferma anche a questo giro, in occasione dell’ultimo Dpcm firmato dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. L’Italia sembra arrivata piuttosto in ritardo rispetto all’aumento dei contagi e nel Dpcm del 4 novembre, la cui applicazione parte proprio da oggi, anche stavolta si è cercato di non scontentare eccessivamente i cittadini. Come era prevedibile, le Regioni hanno alzato la voce contro Conte sull’ultima azione di Governo che comprende – almeno questa volta – tutti allo stesso modo e in maniera più dura.

Giallo, arancione e rosso: è questo il nuovo tricolore del pericolo coronavirus. Ideato dapprima come un vero e proprio “semaforo”, con il verde assegnato per gli scenari di gravità epidemiologica 1 e 2, alla fine si è optato per un più rassicurante giallo. Come si legge da giorni su tutti i quotidiani nazionali, l’Italia di oggi (e per il prossimo mese) sembra la penisola interessata dalle Guerre d’Italia dei primi secoli dopo l’anno Mille. Umorismo a parte sulle grafiche che hanno diviso l’Italia in Regioni di colore diverso in base alla gravità della situazione sanitaria, il Bel Paese è più “spaccato” che mai. Se le proteste di piazza avevano mostrato fratture profonde e una sofferenza sempre più marcante le differenze tra i lavoratori italiani, adesso ci si mettono anche i presidenti di Regione a portare lo scontro a un livello “competitivo” e interregionale.

Dalla pagina di Eco Internazionale

Le Regioni gialle di fatto continuano nella situazione prefissata dallo scorso Dpcm con raccomandazioni e chiusure serali pressoché totali; le Regioni arancioni subiscono una chiusura 7 giorni su 7 delle attività di ristorazione di ogni tipo, tranne mense e autogrill (fermo restando che è sempre consentito l’asporto e la consegna a domicilio) e di altre attività che prevedono il contatto prolungato tra persone; le Regioni rosse entrano di fatto in una sorta di lockdown in cui è vietato anche lo spostamento all’interno delle aree con mezzi privati, sempre consentendo il movimento ai lavoratori e per tutti i motivi urgenti che siano giustificabili.

Le nuove restrizioni nazionali estendono il “coprifuoco dalle 22 di sera alle 5 di mattina per tutti quanti, esclusi sempre i lavoratori e tutti coloro abbiano un’urgenza particolare e giustificabile. La chiusura serale delle attività di ristorazione accompagna il coprifuoco nell’identificazione di eventuali trasgressori che, con le strade evidentemente deserte, sono più facilmente intercettabili. 

Per quanto riguarda i nodi sulla scuola e sul trasporto pubblico si è raggiunto un compromesso nazionale chiaro. Dalle scuole superiori in su – esclusa l’attività di laboratorio – tutti restano a casa usufruendo della didattica a distanza su telefoni, computer e tablet. Per scuole medie e asili (le primarie), le lezioni in presenza sono ancora consentite, a meno di focolai che decretino la chiusura delle strutture scolastiche interessate. 

La ministra dei Trasporti De Micheli, facendo un triplo salto mortale all’indietro sulla capienza massima dei mezzi pubblici – dichiarata possibile anche fino all’80 per cento – ha riportato la quota dentro gli autobus al 50 per cento. Una cifra senz’altro più ragionevole e (forse) scientificamente più solida rispetto alle idee confuse che si professavano fino a qualche settimana fa in cui sembrava bastasse «il ricambio d’aria dai finestrini» e la «frequente apertura delle porte» per scongiurare il contagio tra i pendolari a bordo del mezzo. 

Il ministro della Salute Speranza, a questo punto, prende il “controllo” della situazione e spetterà a lui (consultando il Comitato Tecnico-Scientifico) decidere eventuali cambiamenti nella classificazione dello scenario – il colore – delle Regioni. In base a criteri oggettivi stabiliti di concerto fra Comitato, Governo e Regioni (21 parametri per la precisione) sarà possibile proseguire l’osservazione della situazione sanitaria delle Regioni e, se necessario, “liberarle” dalle restrizioni o rafforzarne le limitazioni interne per interrompere la catena dei contagi con ordinanze ad hoc. I dati sulla situazione delle strutture ospedaliere e sul tracciamento dei casi positivi al coronavirus in possesso della Asl passeranno alla Regione di settimana in settimana; quest’ultima li comunicherà a sua volta al Ministero, il quale farà le dovute valutazioni, tabella dei parametri epidemiologici alla mano.

Come ha dichiarato nell’informativa alla Camera dei Deputati il ministro Speranza, «la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha formalmente approvato l’8 ottobre un documento dal titolo “Prevenzione e risposte al Covid-19, evoluzione della strategia e pianificazione nella fase di transizione nel periodo autunnale-invernale” (…). I dati vengono caricati ogni settimana dalle Regioni nel database dell’Istituto Superiore di Sanità. La fonte dei dati, quindi, sono le Regioni. I dati vengono valutati dalla cabina di monitoraggio costituita il 29 marzo, della quale fanno parte tre rappresentanti dell’Istituto Superiore di Sanità, tre rappresentanti del Ministero della Salute e tre rappresentanti designati dalla Conferenza delle Regioni. Appare evidente, alla luce di quanto detto, che in tutte le fasi del nostro lavoro c’è stato il pieno coinvolgimento delle principali funzioni scientifiche del Paese come delle Regioni in uno spirito di proficua e leale collaborazione». L’intervento mira infatti a placare gli animi che nelle ultime 48 ore hanno agitato il dialogo tra Regioni e Governo.

Il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana ha immediatamente lamentato come gli ultimi provvedimenti stiano scavalcando la sua autorità. Le sue affermazioni sono state accompagnate dal leader leghista Matteo Salvini che, appoggiando Fontana, ha dichiarato come il presidente lombardo sia stato avvisato dell’allarme rosso (il colore dello scenario assegnato alla sua Regione) quasi in concomitanza con la conferenza stampa di Conte del 4 novembre. La sorpresa appare quantomeno dubbia vista la pregressa conoscenza sia dei parametri scientifici sia dei dati giungono dalle strutture ospedaliere lombarde. 

Anche la Calabria ha criticato duramente la scelta del governo. La Regione spiega in una lettera che l’indice di rischio (RT) nella regione sarebbe «ampiamente sotto controllo» e che la scelta del governo di inserirla tra le regioni rosse è immotivata. Regione Piemonte, attraverso le affermazioni del suo presidente Alberto Cirio, resta sorpresa anche lei, data la difficoltà a «comprendere la logica che ha portato alla decisione di dichiarare il Piemonte una regione rossa». 

In Trentino Alto Adige il problema è esattamente l’opposto: la zona gialla è risultata essere troppo “delicata” rispetto al peggioramento della situazione dei contagi. In Campania, altra zona gialla, sembrava dovesse scattare lo scenario più grave, e invece – fra lo stupore di altre Regioni che hanno immediatamente sentito su di sé calare la discriminazione cromatica – si è optato per lo scenario meno grave, ma in previsione di zone rosse localizzate dove la densità di popolazione è tale da causare situazioni emergenziali e di collasso delle strutture sanitarie. 

Al peggioramento di una qualsiasi situazione regionale o locale potrà fare seguito un’ordinanza del Governo, nello specifico del Ministero della Salute, atta a modificare la classificazione dello scenario epidemiologico. Un decisionismo ben più accentuato rispetto alla lunghissima lista di Dpcm che si sono susseguiti negli ultimi due mesi. La lamentata mancanza di coraggio o di “prendersi le proprie responsabilità” ha, di fatto, spinto il Governo a prendere posizione sulla definizione delle emergenze che, gestite localmente, avevano lasciato ampiamente a desiderare.


 

2 commenti

I commenti sono chiusi