La Gulabi Gang: l’onda rosa contro abusi e violenze in India

La storia dell’associazione indiana “Gulabi Gang”, che si pone l’obiettivo di tutelare le donne dagli episodi di violenza aiutandole a emanciparsi.


Un’onda di numerosi sari rosa invade le strade delle città dell’India del Nord: è la Gulabi Gang. Si tratta di un’associazione nata nel 2006 nello Stato dell’Uttar Pradesh con l’obiettivo di creare una società in cui le donne possano costituirne parte attiva e sempre più emancipate, in cui ricevano un’adeguata istruzione scolastica e combattano ogni forma di corruzione e violenza. Il colore scelto non è casuale: il rosa (gulabi), infatti, è il simbolo della vita e rende il gruppo facilmente identificabile e non confondibile con altre realtà. Oltre al sari portano sempre con sé il lathi, un bastone in bambù, che utilizzano sia come arma di difesa che come strumento punitivo durante le loro “missioni”.

La società indiana pur essendo regolata dalla Costituzione emanata nel 1950 che sancisce l’uguaglianza tra i suoi membri, di fatto non sempre tiene conto di essa. Gli uomini godono di maggiori privilegi rispetto alle donne, che non vedono rispettati i propri diritti ma al contrario sono costrette a sottostare alla volontà del padre, del marito o delle forze dell’ordine. In questo contesto difficile si sono sviluppati dei movimenti, come la Gulabi Gang, con tanta voglia di riscatto e giustizia. 

Al comando del gruppo rosa vi è Sampat Pal Devi, una donna di sessanta anni, semianalfabeta, con una famiglia alle spalle che ha incoraggiato parzialmente le sue richieste di istruzione e che è stata costretta a sposarsi con uno sconosciuto all’età di dodici anni. Con il tempo la voglia di rendersi indipendente dal marito aumentò e imparò da autodidatta a cucire a macchina. In partenza la storia di Sampat è simile a quella di tantissime ragazze indiane, con la differenza che lei voleva aiutare le altre donne a liberarsi dalla condizione di inferiorità in cui si trovavano a vivere. Sampat iniziò a creare dei laboratori di cucito e nel 2006, dopo avere assistito a una violenza pubblica praticata da un uomo verso la propria moglie, decise di fondare l’associazione. Non era una cosa insolita vedere abusi del genere avvenire per strada; erano di uso comune, tanto che nessuno intervenne per placare l’ira del marito. Sampat fu l’unica che difese la donna, il gesto infastidì l’abusatore che iniziò a picchiare anche lei. Per fortuna riuscì a scappare, ma il giorno seguente si presentò dall’uomo con altre donne, e tutte insieme iniziarono a percuoterlo finché non chiese pietà. La notizia si diffuse rapidamente e richiamò altre “sorelle” che vollero contribuire al cambiamento culturale dei loro villaggi.

L’intenzione di sostenere e supportare le donne indiane è il punto cardine del movimento. Non soltanto parole, ma tanti fatti e azioni concrete: dall’istituzione di scuole per provvedere all’educazione femminile, alla creazione di industrie tessili per la creazione di lavoro. Istruzione e centri d’impiego rappresentano le possibilità per le donne di diventare indipendenti economicamente e di essere in condizione di proteggersi da eventuali abusi. Purtroppo vi sono ancora diverse zone rurali in cui la donna è completamente sottomessa prima ai genitori e poi al marito, non riceve alcuna formazione, non gode di alcun diritto e contrae matrimonio da bambina costretta dalla famiglia. 

Sampat si occupa di supervisionare i villaggi, individuando le possibili situazioni da arginare. Con l’aiuto del resto del gruppo organizza dei veri e propri piani d’azione. Nel momento in cui la banda si trova a dovere fronteggiare un sopruso, il primo step prevede la denuncia dell’accaduto presso le stazioni di polizia locale. Se le istituzioni non provvedono a risolvere il problema, come accade spesso, le donne intervengono direttamente andando prima a parlare, per esempio, con il marito colpevole della violenza e, se questo non si dimostra pentito e non cambia il proprio comportamento, prendono con sé la moglie e puniscono fisicamente l’uomo. Secondo alcune testimonianze queste “missioni” risultano avere grande successo, anche se la violenza utilizzata dal gruppo rappresenta sempre l’ultima alternativa

Tra le tante azioni che hanno svolto in questi quattordici anni, molte sono state dedicate anche ai poveri e a chi si trova in difficoltà. Per esempio, nel 2008, a fronte di una centrale elettrica che aveva tagliato l’energia alle case vicine e si proponeva di riattivarla in cambio di denaro e favori sessuali, la Gulabi Gang entrò nell’edificio e risolse la situazione utilizzando il lathi sullo staff. Il grande attivismo che le contraddistingue attira delle antipatie da parte della componente maschile abituata a dominare, delle forze dell’ordine e delle istituzioni che sono complici delle discriminazioni e prepotenze. Questo, però, non scoraggia le combattenti che danno coraggio a tante altre donne: grazie al loro esempio sempre più ragazze hanno iniziato a prendere consapevolezza del proprio valore. 

Sulla storia della Gulabi Gang sono stati girati diversi docufilm come Pink Gang di Enrico Bisi, Gulabi Gang di Nishtha Jain e Pink Saris di Kim Longinotto. La vita di Sampat è raccontata nel libro Moi Sampat Pal, chef de gang en sari rose della casa editrice francese “OH”.

Nel 2010 Sampat è venuta in Italia, ospite alla Fiera del Libro di Torino e durante l’incontro ha raccontato una storia indiana per descrivere il suo impegno nei confronti dei più deboli, incoraggiando le persone presenti a dare il proprio contributo per cambiare la società.

«Il sole un giorno scomparve dal cielo e nessuna stella si sentiva in grado di rimpiazzarlo temendo di non emettere abbastanza luce. Tutti si tiravano indietro e il mondo rischiava di rimanere al buio. A quel punto si levò la voce di un lumino che disse che avrebbe cercato di illuminare il mondo, seppur nel suo piccolo. Ciascun essere umano può essere quel lumino, capace di portare un contributo all’umanità, se lo vuole davvero.»  – Sampat Pal Devi