Smog e Covid-19: di aria si può morire
Le azioni necessarie ad abbassare i livelli di smog nelle città italiane non sono mai state una priorità e ci sono costate una condanna dalla Corte di Giustizia dell’Ue.
Il 15 per cento dei nostri morti da Coronavirus è dovuto allo smog e la notizia non ci dovrebbe stupire. Sin dall’inizio della prima ondata è sembrata evidente la correlazione tra smog e rischio di morte derivata da coronavirus. Uno studio condotto da Harvard ha dimostrato che lo smog sarebbe responsabile di 15 decessi su 100.
I numeri hanno da sempre parlato di una Pianura Padana sempre più infettiva e malata rispetto al resto d’Italia e oggi possiamo capire facilmente il perché. Durante l’inverno, questa zona d’Italia arriva a registrare sino a 150.000 particelle per centimetro cubo di PM10, una concentrazione già di per sé mortale; e sarebbe proprio questa condizione ad aver accelerato la diffusione del virus durante la prima ondata. Prima della pandemia non abbiamo agito abbastanza per rendere i livelli di smog meno letali e adesso ne stiamo pagando le conseguenze con la vita.
L’Italia è stata condannata dalla Corte di Giustizia dell’Ue per aver violato le direttive sulla qualità dell’aria in maniera «sistematica e continuata» a partire dal 2008. La Direttiva comunitaria stabilisce un massimo di 35 giorni all’anno di superamento del limite di PM10 di 50 microgrammi/mc. Milano è l’aprifila delle città italiane che valicano “sistematicamente” questo limite, oltrepassato già al 16 di febbraio. Ad oggi sono 66 i giorni di superamento, il doppio del limite indicato.
«La Corte dichiara che l’Italia non ha manifestamente adottato, in tempo utile, le misure» importanti per ridurre l’inquinamento dell’aria nelle zone maggiormente interessate e «non ha dato esecuzione a misure appropriate ed efficaci affinché il periodo di superamento dei valori limite fissati per le particelle PM10 sia il più breve possibile».
Abbiamo procrastinato e le parole della Corte lo rendono evidente: «Mentre l’Italia riteneva indispensabile, segnatamente alla luce dei principi di proporzionalità, di sussidiarietà e di equilibrio tra gli interessi pubblici e gli interessi privati, disporre di termini lunghi affinché le misure previste nei diversi piani relativi alla qualità dell’aria potessero produrre i loro effetti, la Corte osserva, al contrario, che un siffatto approccio si pone in contrasto sia con i riferimenti temporali posti dalla direttiva “qualità dell’aria” per adempiere gli obblighi che essa prevede, sia con l’importanza degli obiettivi di protezione della salute umana e dell’ambiente, perseguiti dalla direttiva medesima».
Che l’inquinamento atmosferico fosse fonte di gravi danni alla salute, e non solo di quella umana, è ormai appurato da tempo, e quello che sta accadendo con il Covid-19 non è altro che la conferma tangibile di qualcosa di largamente dimostrato. Questa condanna deve darci un’altra scossa: non possiamo più aspettare.
«L’abbandono dei combustibili fossili con una rapida transizione energetica ed ecologica è prospettiva ormai inevitabile per evitare il rapido collasso degli ecosistemi dalle conseguenze imprevedibili e offrirà nuove opportunità economiche e condizioni di lavoro in grado di servirsi al meglio delle nuove tecnologie.
Anche alla luce di queste evidenze, il Recovery Fund deve essere occasione ineludibile per investire non più su azioni accessorie, ma soprattutto su progettualità concrete che possano ridurre nel breve/medio periodo l’impatto dell’uomo sull’ambiente», afferma Alessandro Miani, presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale. Le evidenze ci sono, le opportunità pure, ora serve solo la volontà di rendere le nostre città vivibili, sia per il presente che per il futuro.