L’aeroporto palermitano di Punta Raisi, il decollo del malaffare

Nella prima settimana di gennaio del 1960 iniziavano ad atterrare su una delle nuovissime piste di Punta Raisi i primi velivoli della storia dell’aeroporto palermitano. L’impianto era destinato a sostituire l’impianto di Boccadifalco, ben più piccolo e vicino all’area cittadina. L’aeroporto venne basato su un contestato progetto elaborato nel 1954, progetto che conoscerà critiche e infiltrazioni della criminalità organizzata.

Costato circa cinque miliardi di lire e concluso definitivamente nel 1968 con la costruzione di una pista trasversale, la storia dell’aeroporto presenterà diverse orribili macchie. Lo scalo palermitano sarà protagonista di gravi incidenti – Montagna Longa in primis – ingressi della mafia negli appalti e soppressione degli oppositori all’operazione di espropriazione e costruzione. Uno su tutti – nascita del quale ricorre il 5 gennaio – è Peppino Impastato, giovane vittima della mafia ancora oggi esempio di lotta al malaffare.

Già prima della costruzione la stampa sottolineò l’inadeguatezza del sito per le attività di un aeroporto. Di certo l’aeroporto di Boccadifalco, all’epoca il terzo scalo nazionale, non era più adeguato alle esigenze di traffico cittadine. Aumentava la richiesta di voli nazionali ed internazionali, la società “accelerava” la sua corsa all’esplorazione del mondo, il commercio richiedeva ritmi più rapidi, persone e capitali dovevano volare in una rete sempre più fitta.

La location che era stata scelta inizialmente per la costruzione del nuovo aeroporto era quella compresa tra la zona di Aspra e quella di Acqua dei Corsari, a ridosso della zona Sud di Palermo. Questa scelta avrebbe reso l’aerostazione più facilmente raggiungibile. La zona era inoltre meno soggetta a problemi legati al vento. Ma il Consorzio Autonomo per l’Aeroporto di Palermo decise invece di costruire a Cinisi, sulla costa, nella zona soprannominata Punta Raisi, vicino al territorio del boss mafioso Gaetano Badalamenti.

Inutile ricordare come tutti i tecnici avessero dato parere negativo per questioni note quali la presenza di forti correnti, le montagne vicine e l’inevitabilità dello scirocco. Sta di fatto che nel 1956 inizia l’iter per la costruzione della struttura con due piste parallele, una di rullaggio ed una strumentale.

C’erano voluti ben due anni per approvare il progetto di costruzione a Punta Raisi. Si era andati oltre le critiche provenienti da più parti. Primo problema: i forti venti meridionali (lo scirocco appunto) condizionavano partenze ed atterraggi. Ed ecco subito in arrivo altro cemento: la progettazione di un’ulteriore pista trasversale rispetto alle altre due portò da subito nuovi (problematici) cantieri per lo scalo.

Oltre la già citata ventosità della zona, causa di forte turbolenza per i venti di caduta, effetto diretto delle alture adiacenti, vi era la notevole distanza dal centro abitato di Palermo.

Il collegamento stradale – una serie interminabile di curve “in costiera” – risultava estremamente disagevole per diverse ragioni: in primo luogo lo sviluppo del tracciato, dispendioso nella realizzazione; in secondo luogo l’attraversamento in ben quattro punti della linea ferroviaria Palermo-Trapani.

punta raisi

La fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta furono fondamentali: gli edifici originari verranno affiancati e poi sostituiti o adibiti a nuove funzioni, si costruisce una nuova torre di controllo e un nuovo terminal passeggeri, si ampliano anche i piazzali. Tutto in conseguenza di un maggiore afflusso di traffico passeggeri nello scalo palermitano di Punta Raisi. Lo scalo era collegato già allora – con mezzi per lo più di Alitalia – ad importanti città come Roma, Napoli, Reggio Calabria, Catania, Milano e la tappa internazionale Tunisi.

Ma gli ultimi anni Sessanta furono anche quelli più infuocati. Siamo nel 1968: dopo annose critiche si è conclusa da tempo la costruzione dello scalo. Si sta lavorando alla pista per l’atterraggio nelle giornate di scirocco, quella trasversale. La procedura d’esproprio parte senza alcuna pubblicità. La delibera appesa all’albo non verrà mai vista dagli interessati – per ovvi motivi, date le modalità di “affissione” – e nessuno riuscì ad appellarsi. Da un giorno all’altro i tecnici iniziarono le prime rilevazioni ufficiali sul territorio. Sarà un anno di mattanza.

Il Consorzio Espropriandi aveva l’obiettivo di cancellare 200 terreni agricoli a conduzione familiare, gran parte dei quali di soggiorno permanente dei proprietari. C’erano frutteti, agrumeti e uliveti per ettari ed ettari. La terza pista avrebbe permesso di chiudere la zona costiera e militarizzarla, tutto a vantaggio della villeggiatura degli aeroportuali e degli speculatori sulla vendita dei terreni sul mare. S’inserisce qui l’azione di Peppino Impastato nella lotta contro la costruzione della pista, quest’ultima inefficace aggiramento del problema scirocco.

I contadini parteciparono alle manifestazioni di protesta. Ma le illegalità denunciate non bastarono. Le rilevazioni e gli accertamenti sulla consistenza dei terreni vennero condotti con l’assistenza di due funzionari regionali, in violazione del Dl 19 agosto 1917, n 1399 che prescriveva la «residenza nel luogo d’esproprio» per i testimoni. L’intervento delle Forze dell’Ordine fu l’ennesima soppressione di diritti. I tafferugli non mancarono in occasione dell’incontro fra i contadini di Cinisi e i Carabinieri venuti a scortare le ruspe.

Nell’episodio che vede un gruppo di manifestanti sdraiarsi davanti le ruspe per impedire i lavori, la repressione dello Stato fu violenta. Furono massacrati tutti a botte: donne, vecchi e ragazzi. Non c’erano neanche i soldi per chi subiva l’esproprio pubblico: una casa distrutta in cambio della vuota attesa di un indennizzo. E delle bastonate.

Per quella terza pista si assistette a un vero e proprio scempio, spesso dimenticato. Nel profumo di limone nell’aria, fra gli alberi con le radici per aria, venivano abbattute case ancora arredate. In piedi, in lacrime, chi non aveva più casa né terra. L’indennizzo per i terreni arrivò dopo quattro lunghi anni, con prezzi dalle 200 alle 700 lire per metro quadro. Le valutazioni a ribasso distrussero nella totale beffa la struttura agricola di Cinisi. Com’era già noto, le giornate di scirocco avrebbero fatto sì che il traffico venisse sospeso e gli aerei spostati verso Trapani o Catania. La pista non era servita davvero.

Per questo scalo, e in particolare per l’ultima fatale “pista per lo scirocco”, sono passati oltre sessant’anni dal suo effettivo ingresso fra i grandi aeroporti italiani. Ma vogliamo anche ricordare tutto ciò che sta all’ombra degli aerei.

Famiglie emigrate, anziani privati della propria vita e delle proprie coltivazioni, i morti di crepacuore, i bastonati che lottavano per i propri diritti, i 350 morti in due incidenti aerei, le opinioni dei piloti sulla sicurezza dello scalo palermitano e, soprattutto, l’eliminazione di Peppino Impastato il 9 maggio del 1978, a pochi giorni dalla sua denuncia di una massiccia opera di speculazione mafiosa nel Progetto Z10, con un giro di 6 miliardi nella costa di Cinisi.

Sotto il sole, invece, resta un aeroporto sempre più importante, più moderno, più affollato con una lunga storia, persino ironica e tragica allo stesso tempo, a partire dal suo nome: Aeroporto Internazionale Falcone e Borsellino”.