Peppino Impastato e la sua lotta per la libertà

Peppino Impastato ha fatto della sua vita un’intera battaglia, una vera opposizione presente, partecipata e libera. La libertà però non è semplice.


Aveva le braccia tentacolari di una famiglia che mangiava e respirava di crimine e potere. Si sarebbe potuto stare zitto, trovare un lavoro tranquillo da qualche parte grazie a pesanti raccomandazioni, magari in qualche metropoli. In questo momento, magari, sarebbe ancora vivo: una famiglia, una carriera, una bella casa, una bella posizione sociale. Però ognuno decide le sue battaglie nella vita. Per qualcuno la propria battaglia quotidiana è stare tranquilli, è sopravvivere, avere come unico problema decidere cosa mangiare la sera o cosa guardare in televisione. Lui aveva scelto di essere vulnerabile, un «nuddu immiscatu cu nenti» e di fare la cosa giusta. Fare quella cosa giusta, sarebbe stata così la sua battaglia di ogni giorno.

Si è spogliato del privilegio, della sua gabbia dorata, andando a muso duro contro quelle dinamiche contorte tipiche delle famiglie mafiose, anzi, della sua famiglia mafiosa. Non agiva dalle sue protezioni, dai suoi privilegi, da una torre che lo nascondeva. Lui fece vedere sé e ciò che stava attorno, senza freni, agendo col cuore, mettendo a repentaglio anche tutti gli altri organi del suo corpo. 

Fu “Peppino” e non Giuseppe. Ed è per questo che, ben quarantatré anni fa, è stato ammazzato da uomini ben più potenti di un ragazzetto esile di trent’anni. Gli stessi che accettarono di non toccarlo per un po’ di tempo, che lo lasciarono “giocare” con la sua radio libera. I piani però cambiarono non molto lentamente e fecero fuori ogni tassello che avrebbe potuto fargli da scudo.

Peppino Impastato ha fatto della sua vita un’intera battaglia, una vera opposizione presente, partecipata e libera. La libertà però non è semplice. La libertà per essere tale è data da una recinzione che stringe, stanca, poi infine stritola così tanto che sembra un abbraccio caldo, e ci si sta bene, come fosse una culla. 

Cinisi era questo, una terra apparentemente di nessuno, quando era tutta della mafia. Il bar, la tabaccheria, il negozio di vestiti, quello di alimentari, le strade, le forze dell’ordine ed ogni servizio annesso. Era tutto di Cosa Nostra e i cittadini dovevano tutto a quegli uomini disonorati, perché inghiottivano tutto, accalappiavano le intenzioni ed il futuro. In un’area così piccola, gli interessi potevano essere molteplici e sfociavano anche ben oltre i confini di una piccola cittadina siciliana. Ogni passo era ben controllato e maneggiato dalle mani sporche e grezze della mafia.

Peppino Impastato

La notizia della morte di Peppino Impastato non destò inizialmente uno scalpore nazionale. La mattina del 9 maggio 1978 venne ritrovato il corpo esanime dell’allora deputato della Repubblica Italiana, nonché Presidente del Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana, Aldo Moro. Rapito dai terroristi delle Brigate Rosse il 16 marzo precedente fu poi assassinato dai suoi aguzzini.

Davanti l’opinione pubblica, Peppino e la sua storia non esistevano ancora. Era un ragazzo come altri, non era nessun altro. Il telegiornale Rai del 1978 ne parlò per soli circa 50 secondi, riprendendo alcune immagini del comune palermitano: «Forse un attentato, forse un suicidio. Non è ancora chiara la ragione della morte di Giuseppe Impastato, trent’anni. Dilaniato dall’esplosione di una bomba questa notte sui binari del treno Palermo-Trapani. Impastato era candidato nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali del 14 maggio a Cinisi, alle porte del capoluogo siciliano. In seguito ad una perquisizione in casa della madre di Giuseppe Impastato, i carabinieri hanno trovato una lettera in cui il giovane manifestava la volontà di togliersi la vita. Si è trattato di un fallito attentato terroristico, oppure di un suicidio? Per gli investigatori entrambe le ipotesi sono valide. Si indaga negli ambienti della sinistra extraparlamentare di Cinisi, perquisite senza esito le case dei familiari e dei compagni di Impastato».

Fu soltanto nel 2002 che venne riconosciuta pubblicamente e all’interno dei tribunali la verità di quanto accaduto alla giovane e coraggiosa vita di Peppino Impastato. Nel frattempo, però, il caso venne archiviato già due volte, ossia nel 1984 e nel 1992. Furono la madre Felicia e il fratello Giovanni a lottare con tanta tenacia e per così tanti anni verso la giustizia. Il boss Gaetano Badalamenti, anche conosciuto come “Tano Seduto”, fu condannato all’ergastolo, ma morì solo due anni più tardi.

Peppino Impastato
Peppino Impastato

Cosa ne è rimasto allora, dell’eredità di Peppino Impastato? In un’intervista del 2016 il suo amico e collega Salvo Vitale disse: «Ora la mafia va dove c’è ricchezza». Quindi sì, la mafia esiste ancora, ma esiste anche chi la mafia non vuole che esista, c’è chi lo dice apertamente, lo scrive, ci sputa. Anche quando si nasconde nelle ricchezze, nelle poltrone, nei conti in sospeso, nelle elezioni truccate, nelle tasche dei potenti e dei miserabili. 

La sua cara Radio AUT, mezzo che rese possibile la denuncia sfacciata degli efferati attuati dai clan mafiosi del suo territorio, continua in modalità web e con un altro nome, Radio 100 Passi. La sua sede si trova proprio nell’ex dimora della famiglia Badalamenti, ad oggi bene confiscato alla mafia. Intanto Cinisi accoglie ogni anno giovani e giovanissimi, per ricordare insieme non soltanto ciò che ha fatto Peppino, ma anche ciò che hanno fatto tutti gli altri, sia che fossero con lui o contro di lui. 

Ci sono gli adesivi di Addiopizzo, le manifestazioni, gli articoli, Telejato, i film, le canzoni, la street art. C’è una forte espressione che tiene per mano la testimonianza di Peppino Impastato e di chi è riuscito a sopravvivere e a parlare ancora. Esisterà e resisterà sempre qualcuno che non avrà paura e che non si adagerà sulla falsa sicurezza della criminalità organizzata. Perché la mafia, dove sta resta, forse ancora per poco o forse per l’eternità, ma la mafia sarà sempre e soltanto una grande montagna di merda puzzolente.


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