MES, le considerazioni del governo Meloni
La premier Giorgia Meloni ha riaperto il dibattito sulla ratifica del nuovo MES, a seguito di alcune dichiarazioni rilasciate al Foglio.
La riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), il cui Trattato è stato firmato il 27 gennaio 2021 dai membri dell’Eurogruppo, ha costituito un punto di svolta nel modo di concepire l’assistenza finanziaria prevista attraverso tale strumento. Un passo avanti, questo, frutto dell’esperienza tratta dalla Grande Recessione del 2008 e dalla crisi dei debiti sovrani del 2011.
Nel dettaglio, la logica dell’austerità del passato – basata sull’annullamento delle politiche sociali statali e della sovranità nazionale, nell’ottica, per gli Stati membri in difficoltà, di poter beneficiare delle risorse finanziarie del MES – è stata sostituita da un’impostazione maggiormente devota al rispetto delle regole del Patto di Stabilità e Crescita (PSC), preesistenti alle richieste di fondi eventualmente avanzate dai Paesi UE e, ad oggi, sospese in virtù dell’attivazione della clausola di salvaguardia generale (general escape clause).
Cos’è il MES?
Con l’acronimo MES si fa riferimento a quell’organizzazione internazionale, costituita con un apposito Trattato firmato dagli Stati membri UE appartenenti all’Eurozona, istituita con lo scopo di fornire un’assistenza finanziaria a quei Paesi che hanno subito gli effetti negativi derivanti dalla crisi dei debiti sovrani esplosa nel biennio 2010-2011.
Dal punto di vista giuridico, la sua nascita è stata dettata dall’esigenza di eludere il limite posto dall’art. 123 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), il quale pone un divieto di «concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri, a istituzioni, organi od organismi dell’Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali».
In particolare, i Paesi UE si erano ritrovati di fronte ad un bivio: o avviare un procedimento di riforma dei Trattati, al fine di modificarne le regole e consentire l’applicazione del principio di solidarietà anche in ambito economico, con forme di assistenza permanenti; o agire attraverso strumenti di diritto internazionale e, quindi, al di fuori dell’ordinamento giuridico dell’Unione, come accaduto nel caso del MES.
La seconda opzione, a differenza della prima, ha permesso di evitare alcuni limiti che avrebbero inevitabilmente condizionato la procedura di revisione sopra richiamata: nel dettaglio, le lunghe tempistiche derivanti dalla necessità di trovare un accordo tra tutti gli Stati membri, poiché la modifica di un Trattato richiede, quale requisito fondamentale, l’unanimità; la reticenza di alcuni Paesi UE, non favorevoli all’utilizzo di fondi comunitari per supportare gli Stati in crisi.
Le modifiche alla struttura originaria del MES
Secondo la precedente impostazione, il MES – con un capitale di 700 miliardi di euro, versati pro quota e periodicamente dagli Stati membri dell’Eurozona – riconosceva prestiti ai Paesi in difficoltà, a fronte di una rigida condizionalità economica che si estrinsecava nell’elaborazione di un Memorandum of Understanding (MoU) tra lo Stato membro richiedente e la c.d. Troika, formata dalla Commissione europea, dalla Banca Centrale Europea (BCE) e dal Fondo Monetario Internazionale (FMI).
Nel dettaglio, il MoU veniva redatto a seguito di un negoziato prettamente politico, caratterizzato da uno squilibrio in cui il Paese che necessitava dei fondi si ritrovava costretto ad accettare delle condizioni molto stringenti (sia in termini di politiche da adottare, sia con riguardo agli interessi), pur di beneficiare delle risorse finanziarie; un negoziato, questo, che finiva per determinare una sorta di intrusività nella sovranità nazionale.
L’esperienza maturata attraverso gli shock passati, nonché la più recente pandemia da COVID-19, hanno indotto gli Stati membri a ripensare il funzionamento del MES, prevedendo due sostanziali modifiche: in primo luogo, la sostituzione del MoU con una lettera d’intenti in cui il Paese richiedente si impegna a rispettare – come sopra precisato – le regole del PSC, con la conseguenza che la conformità a norme già conosciute dallo Stato membro (e a cui già a prescindere risulta obbligato) rappresenterebbero l’unica condizione da seguire, escludendo il meccanismo precedente del negoziato politico. In secondo luogo, l’introduzione di un backstop comune, volto ad assicurare l’efficienza dell’economia e la stabilità finanziaria dell’area euro dalle risoluzioni bancarie.
La posizione del governo Meloni
Alla luce delle precisazioni effettuate nei paragrafi precedenti, è ora possibile prendere in considerazione quanto dichiarato dalla Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni, durante la rispettiva intervista rilasciata per il “Foglio”. Nel dettaglio, già il 3 novembre 2022, in occasione della sua prima visita alle Istituzioni europee nella qualità di premier italiano, la questione della ratifica del MES risultava parecchio spinosa, nonostante lo spirito di mutua collaborazione UE-Italia.

Ad oggi, secondo la Presidente Meloni, serve un aggiornamento di alcuni strumenti dell’Unione, alla luce del nuovo scenario geopolitico caratterizzato dallo scoppio del conflitto russo-ucraino e dalle relative conseguenze economiche. In tal senso, la premier italiana ha avuto modo di precisare che «il meccanismo è stato concepito quando eravamo in un altro mondo» ed è proprio per tale ragione che se ne rende necessario un ripensamento, al fine di incrementarne l’utilità e l’efficacia.
Continuando nelle proprie dichiarazioni, la Presidente Meloni ha chiarito la linea dell’esecutivo sulla ratifica del MES, evidenziando l’apertura al dialogo del governo italiano qualora il meccanismo venga concepito quale «veicolo per la crescita». Si tratta di un’affermazione che, da un lato, sembrerebbe sottintendere la necessità che tale strumento costituisca una garanzia per gli Stati membri in caso di crisi; dall’altro, le parole utilizzate dalla premier suggerirebbero un netto stacco dal passato, nel quale il MES costituiva un mezzo attraverso cui mantenere sotto scacco alcuni Paesi UE, come l’Italia.
(Foto di Copertina: Thierry Monasse – Getty Images)