Gender pay gap, nuove norme del Parlamento europeo
Lo scorso 30 marzo, il Parlamento europeo ha approvato un nuovo pacchetto di norme, con l’obiettivo di contrastare gli effetti del c.d. “gender pay gap”.
La pandemia da COVID-19 e i relativi effetti negativi socio-economici sugli Stati membri dell’Unione Europea (UE) hanno, nel corso degli ultimi anni, acuito diverse sfide che già sussistevano all’interno del panorama comunitario, tra cui quella relativa al c.d. “gender pay gap”. Si fa riferimento, con tale espressione, al quel fenomeno secondo il quale, a parità di mansioni, sussiste una disparità di trattamento retributivo tra uomini e donne, per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.
A conferma di quanto precisato sopra, già nel periodo precedente alla crisi pandemica – e precisamente il 13 giugno 2019 – il Consiglio dell’UE, attraverso le proprie Conclusioni, esortava gli Stati membri e la Commissione europea a esaminare e migliorare tutte le misure disponibili o a introdurne di nuove, nel tentativo di garantire l’effettiva applicazione, a livello nazionale, del principio giuridico della parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, promuovere tale parità nell’istruzione e nell’occupazione al fine di affrontare la segregazione del mercato del lavoro, nonché agevolare la conciliazione tra lavoro, famiglia e vita privata sia per le donne che per gli uomini.
Il fondamento giuridico della parità tra uomini e donne
La parità tra uomini e donne costituisce un principio fondamentale del diritto dell’UE. Con particolare riguardo alla normativa primaria comunitaria, l’art. 8 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) rappresenta una disposizione in cui vi è incluso un riferimento al principio sopra enunciato. Nel dettaglio, la norma presa in esame statuisce che l’Unione, nelle porre in essere le sue azioni, mira a eliminare le diseguaglianze e, in particolare, «a promuovere la parità, tra uomini e donne».
Se la previsione appena menzionata assume carattere generale, l’art. 157 TFUE ne individua una specificazione, poiché sancisce il principio di parità di retribuzione. In particolare, tale disposizione impone agli Stati membri di garantire l’applicazione del suddetto principio, nonché fornisce una definizione di retribuzione, da intendersi quale «il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo».
La stessa norma specifica che la parità di retribuzione, senza discriminazione fondata sul sesso, implica che la retribuzione corrisposta per uno stesso lavoro pagato a cottimo sia fissata in base a una stessa unità di misura o, se pagato a tempo, sia uguale per uno stesso posto di lavoro. In tale prospettiva, spetta al Parlamento europeo e al Consiglio dell’UE, previa consultazione del Comitato economico e sociale, adottare «misure che assicurino l’applicazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego».
Va precisato, inoltre, che la normativa comunitaria – nel dettaglio, l’art. 157 TFUE – risconosce ai Paesi UE la possibilità di mantenere o adottare «misure che prevedano vantaggi specifici diretti a facilitare l’esercizio di un’attività professionale da parte del sesso sottorappresentato ovvero a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali», senza che ciò possa costituire una violazione del principio della parità di trattamento.
Da ultimo, la parità tra uomini e donne, oltre ad essere risconosciuta all’art. 23 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, trova il proprio fondamento giuridico anche in fonti, quali – a titolo esemplificativo – i Principi 2 e 9 del Pilastro dei diritti sociali proclamato dal Parlamento europeo, dal Consiglio dell’UE e dalla Commissione il 17 novembre 2017, nonché l’art. 11 della Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne (CEDAW).
La Proposta di Direttiva della Commissione europea sul gender pay gap
Nonostante il quadro normativo sopra esposto, ad oggi il divario retributivo di genere persiste in tutta l’Unione, sebbene vi sia stata una riduzione in minima misura nell’ultimo decennio. Secondo i dati Eurostat relativi all’anno 2021, le donne hanno percepito un guadagno su base oraria del 12,7 per cento inferiore rispetto agli uomini nell’UE, e del 13,6 per cento se si considera esclusivamente l’Eurozona. In tale prospettiva, sussistono numerose differenze tra gli Stati membri espresse da un range del 20,7 per cento che va dal -0,2 per cento del Lussemburgo al 20,5 per cento dell’Estonia.
Sulla scorta di tali dati, la Commissione europea, il 4 marzo 2021, ha elaborato una Proposta di Direttiva, accogliendo le diverse richieste dell’Europarlamento volte a evidenziare la necessità di nuove azioni a livello UE, aventi l’obiettivo di migliorare l’applicazione delle disposizioni in materia di parità retributiva; un principio, questo, che gode di una tutela normativa con fonti di rango primario – sopra richiamate – e di diritto derivato – quale la Direttiva 2006/54/CE, integrata nel 2014 da una Raccomandazione della Commissione sulla trasparenza retributiva – e che, nonostante ciò, ad oggi continua a rappresentare una sfida per l’Unione.
Muovendo da quanto precisato, la Proposta di Direttiva è stata elaborata dalla Commissione europea alla luce di specifici obiettivi: dotare i lavoratori dei mezzi necessari per far valere il loro diritto alla parità retributiva attraverso una serie di misure vincolanti in materia di trasparenza retributiva (prima e dopo l’impiego); potenziare la trasparenza dei sistemi retributivi; migliorare la comprensione da parte del pubblico dei concetti giuridici pertinenti; rafforzare l’applicazione dei diritti e degli obblighi relativi alla parità di retribuzione tra uomini e donne.

Gender pay gap, il criterio della trasparenza retributiva
Tra i fattori che, a parere delle Istituzioni comunitarie, contribuiscono a determinare il “gender pay gap”, vi rientra la mancanza di trasparenza in chiave retributiva. Proprio per tale ragione, il nuovo quadro normativo – che sta seguendo la procedura legislativa ordinaria di cui all’art. 294 TFUE – comporterà nuove misure che prevedono, in capo ai datori di lavoro, l’obbligo di comunicare il livello retributivo iniziale e la fascia retributiva da corrispondere al futuro lavoratore prima dell’assunzione, nonché di mettere a disposizione dei lavoratori una descrizione dei criteri utilizzati per definire la retribuzione e l’avanzamento di carriera.
In tale ottica, la trasparenza retributiva – per come concepita nel nuovo quadro normativo – dovrebbe contribuire a contrastare le discriminazioni tra lavoratori, consentendo direttamente a questi ultimi di individuarne la sussistenza, al fine di fronteggiare quei pregiudizi di genere molto comuni nei sistemi retributivi e negli inquadramenti professionali. Come si evince, quindi, il criterio della trasparenza si porrebbe quale strumento per sensibilizzare i datori di lavoro sulla questione e aiutarli a individuare disparità retributive discriminatorie basate sul genere che non possono essere spiegate da validi fattori discrezionali e che sono spesso involontarie.
Il testo della Direttiva prevede, inoltre, il diritto in capo ai lavoratori e ai loro rappresentati di chiedere informazioni non solo sul rispettivo livello retributivo individuale, ma anche su quelli medi dei prestatori di lavoro che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore, A tale scopo, viene previsto il divieto del segreto salariale, che impedirà ai datori di lavoro di inserire apposite clausole contrattuali volte ad ostacolare i lavoratori nell’esercizio del proprio diritto di divulgare informazioni sulla propria retribuzione o di chiedere informazioni in merito ad essa o a quella di altre categorie di prestatori di lavoro.
A completamento del quadro normativo in esame, le disposizioni della Direttiva prevedono per gli Stati membri l’obbligo di introdurre sanzioni dissuasive, proporzionate ed efficaci – come le ammende – in capo ai datori di lavoro che non si conformeranno alle regole, con la possibilità per il lavoratore, in caso di violazioni delle norme, di adire le opportune sedi giurisdizionali nazionali e chiedere il risarcimento del danno subito. A tal riguardo, risulta invertito l’onere della prova: nel dettaglio, sarà il datore di lavoro a dover dimostrare di essersi conformato alle previsioni normative e, di conseguenza, di non avere determinato alcuna discriminazione.
Da ultimo, il progetto legislativo di cui si discute prevede un obbligo di intervento nel caso in cui la dichiarazione obbligatoria sulle retribuzioni di un’azienda o dell’amministrazione pubblica mostra un divario di almeno il 5 per cento; uno scenario, questo, che comporterà l’obbligo per i datori di lavoro di effettuare una valutazione delle retribuzioni in cooperazione con i rappresentanti dei loro dipendenti.
Le tappe passate e future
A seguito della Proposta di Direttiva formulata dalla Commissione europea, il Consiglio dell’UE e l’Europarlamento hanno avviato i relativi negoziati volti a discutere il testo legislativo. Il susseguente accordo è stato raggiunto il 15 dicembre 2022; una tappa, questa, che ha consentito al Parlamento europeo di approvare in via definitiva il nuovo corpus normativo lo scorso 30 marzo, con 427 voti favorevoli, 79 contrari e 76 astensioni.
Secondo la procedura legislativa ordinaria sancita all’art. 294 TFUE, spetterà adesso al Consiglio dell’UE approvare in via formale l’accordo prima che il testo venga varato e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, con le nuove disposizioni che entreranno in vigore 20 giorni dopo la suddetta pubblicazione.