israele proteste

Israele, proteste su due fronti contro il governo Netanyahu

Palestinesi e israeliani contro le decisioni del governo di Benjamin Netanyahu. Cosa sta succedendo all’interno del territorio di Israele?


Tensione su più fronti nello Stato di Israele. Allo stato attuale, il governo di Benjamin Netanyahu si trova a dover fronteggiare le proteste sia degli israeliani che dei palestinesi, per ragioni diverse. Il governo più a destra della storia di Israele sta cercando di approvare una riforma del sistema giudiziario che darebbe alla Knesset, il parlamento israeliano, maggior potere decisionale sulle riforme.

Al momento, il sistema di checks and balances interno permette alla Corte Suprema israeliana di ribaltare le scelte del parlamento; ciò, tuttavia, non sarebbe più possibile nel caso di approvazione della legge, in quanto al governo basterebbe una maggioranza semplice (al momento più che raggiungibile) di 61 seggi su 121 per sovvertire qualsiasi opzione di modifica per mano della Corte.

Gli altri due punti previsti dalla riforma sono altrettanto controversi: il primo toglierebbe alla Corte il potere di controllare e rivedere la legalità della cosiddette leggi fondamentali, i provvedimenti che equivalgono alla costituzione del paese. Il secondo punto, invece, va ad intaccare il sistema di nomina dei magistrati della Corte, che finora sono stati assegnati alle loro posizioni da un insieme di giudici già eletti e da politici, in maniera indipendente rispetto al governo.

L’opposizione paventa proprio il rischio di svuotare le prerogative della Corte Suprema, al momento libera dal potere politico e, secondo le parole di Netanyahu , dotata invece di poteri “sproporzionati”. Critiche a questo tentativo arrivano perfino dall’alleato storico di Israele, gli Stati Uniti, con il Presidente Joe Biden che si è definito “molto preoccupato” per la mossa di Israele, non dissimile da quelle che in Europa hanno messo in atto Polonia e Ungheria, le quali hanno effettivamente subordinato il potere giudiziario a quello politico.

ABIR SULTAN / AFP

Contro la riforma della giustizia si sono scatenate delle proteste di massa, che hanno paralizzato il paese: decine di migliaia di manifestanti si sono ritrovati di fronte alla Knesset per dire no al progetto di riforma. Proprio per fermare le contestazioni, il premier Netanyahu e il ministro della Giustizia Yariv Levin hanno deciso di rimandare la decisione sulla riforma a dopo la Pasqua ebraica, non prima però di licenziare il ministro della Difesa Yoav Gallant che aveva chiesto il ritiro per ragioni di sicurezza nazionale.

Altri membri dell’esecutivo non sono stati così accomodanti nei riguardi delle contestazioni e del rinvio, arrivando addirittura a minacciare di far cadere il governo: tra questi troviamo il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che si era opposto al rinvio per non cedere alle pressioni dei manifestanti.


“I Palestinesi non esistono”

Sempre parlando del ministro delle Finanze, la sua affermazione provocatoria secondo cui “i Palestinesi non esistono” sembra voler causare altre scintille. Bezalel Smotrich non è nuovo a questo genere di affermazioni: proprio qualche settimana fa, infatti, aveva esortato a «spazzare via» il villaggio palestinese di Huwara, teatro lo scorso 26 febbraio di una spedizione punitiva di israeliani, con decine di auto e di edifici dati alle fiamme. 

Il suo negazionismo antipalestinese è riuscito anche ad aprire una mezza crisi diplomatica con la Giordania, dal momento che il ministro ha pronunciato la sua «lezione» avendo alle spalle una mappa della Grande Israele, con la Giordania parte integrante del territorio dello Stato ebraico, come appariva sulla bandiera dell’Irgun, l’organizzazione clandestina ebraica fondata nel 1931 e responsabile di svariati attacchi contro palestinesi e britannici.

La negazione dell’esistenza di un altro popolo dovrebbe essere un vero e proprio tabù per un leader di Israele, considerata la storia del popolo ebraico. Eppure, l’intervento di Smotrich non è esattamente una novità: anche la prima ministra Golda Meir aveva pronunciato le stesse parole nel 1969, due anni dopo la Guerra dei sei giorni. Ma le posizioni politiche, a livello internazionale, sono ad oggi diverse, e una simile affermazione ha provocato la preoccupazione dell’Unione Europea, che ha invitato il governo israeliano a sconfessare il ministro per le sue affermazioni pronunciate durante un omaggio a Parigi del dirigente israeliano antipalestinese Jacques Kupfer, morto di cancro nel 2021.

Altre proteste dei palestinesi sono sorte in seguito all’inasprimento delle condizioni di vita nelle carceri, che secondo le affermazioni del ministro della Sicurezza Itamar Ben Gvir sarebbero simili a quelli di un “campo estivo”. I prigionieri politici palestinesi, in risposta ai controlli continui, alla chiusura dei forni del pane, e ad altre misure revocate, hanno deciso di iniziare uno sciopero della fame per il mese di Ramadan, al quale hanno fatto seguito svariate proteste e veglie notturne nei territori della Cisgiordania.

Nel frattempo, la Knesset ha approvato un emendamento ad una legge del 2005 relativa al ritiro israeliano dalla striscia di Gaza e da quattro insediamenti coloniali nella Cisgiordania settentrionale, nelle vicinanze di Jenin. Secondo questo emendamento, sarà lecito per gli israeliani tornare nelle aree dei quattro insediamenti abbandonati. Questo, di fatto, è un annullamento del ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza voluto nel 2005 dal premier di destra Ariel Sharon, che includeva anche l’evacuazione e la distruzione delle quattro colonie.

Anche su questo emendamento, l’Unione Europea è intervenuta, definendo questa mossa un passo indietro nella risoluzione delle tensioni tra Israele e Palestina. È lecito dunque attendersi che, di fronte all’atteggiamento estremista del governo israeliano, l’Europa assuma una posizione ben definita riguardo lo stato di Israele e le sue azioni.

(Foto di Copertina Ohad Zwigenberg / AP)

... ...